2020-06-04
Trump invita Putin al G11 e apparecchia lo scambio di territori Serbia-Kosovo
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Vladimir Putin e Donald Trump (Ansa)
Donald Trump sta cercando di accrescere la pressione globale nei confronti del regime asiatico. L'idea di convocare un G11, ovvero le economie più sviluppate della terra insieme a India, Corea del Sud, Australia e Russia, ha spiazzato le leadership di molte capitali europee, soprattutto Berlino. Obiettivo: distaccare la Russia dall'abbraccio mortale con Pechino nel quale Vladimir Putin è stato spinto contro la sua volontà dalle sanzioni economiche di Barack Obama in seguito all'annessione della Crimea. Chiudere la partita del Kosovo con uno scambio territoriale significa in verità fornire alla Russia il precedente internazionale con cui definire i propri interessi in Ucraina orientale e Crimea. Uno scambio di cortesie realpolitiche tra i due ex nemici della guerra fredda.Il Covid-19 non cambierà la storia delle relazioni internazionali ma è certamente un acceleratore delle dinamiche capace di svelare, prima di quanto sperassero molti strateghi occidentali, le debolezze delPartito comunista cinese e della leadership di Xi Jinping. Il presidente cinese negli ultimi anni ha portato il Paese sulla via dell'inevitabile conflitto con le altre potenze cercando di contraddire le inesorabili leggi della logica che storicamente dimostrano come un Paese sia destinato al suicidio qualora tenti di conseguire contemporaneamente una massiccia ascesa diplomatica, economica e militare. Tale approccio non fa altro che aumentare esponenzialmente la reazione dei contendenti e può avere effetti deleteri qualora il Paese che lo persegue sia anche a casa propria un gigante coi piedi d'argilla. Senza le esportazioni la Cina ha un'economia asfittica incapace di garantire la sopravvivenza del mercato. Il settore pubblico assorbe l'80 percento dei finanziamenti bancari ma rappresenta solo il 25 percento del Pil. È inserendosi in questa sindrome da incapacità strategica che Donald Trump sta cercando di accrescere la pressione globale nei confronti del regime asiatico. L'idea di convocare un G11, ovvero le economie più sviluppate della terra insieme a India, Corea delSud, Australia e Russia ha spiazzato le leadership di molte capitali europee, soprattutto Berlino. Tuttavia, la proposta è la dimostrazione definitiva della continuità strategica statunitense indipendentemente dall'inquilino della Casa Bianca. Il G11 non è altro che la riproposizione in termini trumpiani, cioè più bilaterali e meno multilaterali, del cordone sanitario e di contenimento della Cina voluto in passato da Obama e noto come Partnership Transpacifica (TPP).A tale funzione Trump aggiunge quella di distaccare la Russia dall'abbraccio mortale con Pechino nel quale Vladimir Putin è stato spinto contro la sua volontà dalle sanzioni economiche di BarrackObama in seguito all'annessione della Crimea. Sanzioni che hanno creato l'innaturale alleanzasinorussa. Una mostruosità geopolitica che ha fortemente limitato le combinazioni internazionali a disposizione di Europa e Usa per influenzare positivamente i comportamenti destabilizzanti dell'ordine mondiale del Partito comunista cinese. Qualora la mossa del presidente americanoriuscisse, ironia del destino, la Cina si ritroverebbe vittima del medesimo principio del containment acui essa, all'epoca di Nixon, aderì dalla parte di Washington contro l'Unione Sovietica.Ma per capire se il piano di Trump riuscirà ad avere successo nei prossimi mesi è necessario guardare ai Balcani. È alle porte di casa nostra che si gioca la partita globale basata su uno scambio di favori tra Washington e Mosca. A partire dal 20 giugno fino alla fine di luglio nella regione vi saranno le elezioni parlamentari di Croazia, Macedonia e Serbia. In tutti e tre i casi non vi è dubbio che i risultati saranno a favore delle visioni americane di riordino della regione e le ambasciate statunitensi di Skopje e Belgrado hanno spinto affinché le tornate elettorali si tenessero nel periodo estivo in modo da garantire scenari politici locali stabili tra settembre e novembre. Donald Trump vorrebbe chiudere la partita del Kosovo prima delle sue elezioni presidenziali. Uno scambio territoriale tra Belgrado e Pristina dovrebbe cementare per i prossimi anni la legittimazione internazionale delle due capitali unitamente alla proiezione americana nei Balcani allo scopo di controllare meglio le future mosse dei Russi, fermare del tutto l'espansionismo cinese basato sulla piattaforma del partenariato tra Cina e i Paesi dell'Europa centrale e orientale e diminuire lo spazio di manovra geoeconomico tedesco. Agli occhi di Washington Berlino è colpevole d'intelligenza col nemico avendo facilitato l'entrata di Pechino, di cui è il primo partner commerciale europeo, nel ventre molle del continente, e quindi dell'alleanza nordatlantica, pur di divenire la stazione finale del progetto cinese della Nuova via della seta. Perché tutti pezzi del mosaico fossero al loro posto in tempo utile per i piani di Washington nelle settimane scorse in Kosovo è dovuto cadere il governo del contestatore Albin Kurti dimostratosi incapace di comprendere che l'esistenza del suo Paese è legata alla volontà americana.Conseguentemente, dopo una breve crisi istituzionale, da ieri il nuovo primo ministro è Avdulah Hoti, un rappresentante di chiara fede transatlantica del partito cristiano democratico Ldk che si appoggerà a una coalizione parlamentare sostenuta, non a caso, anche dalla minoranza serba.Chiudere la partita del Kosovo con uno scambio territoriale significa in verità fornire alla Russia il precedente internazionale con cui definire i propri interessi in Ucraina orientale e Crimea. Uno scambio di cortesie realpolitiche tra i due ex nemici della guerra fredda. Dopo che la Crimea è stata annessa da Putin proprio rifacendosi alle procedure di consultazione elettorale e autodeterminazione sostenuti in passato da Washington nel caso kosovaro sono ora gli Usa stessi a spingere il tutto alle massime conseguenze pur di far uscire i Balcani da una lunga fase di continui ricatti geopolitici e riportare la Russia a volgere nuovamente lo sguardo verso Occidente.