True
2024-09-12
Trump zoppica e Harris non brilla. Ma per i media la dem ha trionfato
Donald Trump e Kamala Harris nel faccia a faccia televisivo (Ansa)
La macchina retorica favorevole a Kamala Harris si è rimessa in moto (d’altronde, quando mai si era fermata?). Secondo la maggior parte dei media, la candidata dem avrebbe stravinto il dibattito di martedì con Donald Trump. A conforto di questa narrazione, viene citato l’instant poll della Cnn, secondo cui la vicepresidente si sarebbe aggiudicata il confronto con il favore del 63% degli spettatori contro il misero 37% racimolato dall’avversario. Siamo sicuri che le cose stiano così?
Cominciamo subito col dire che Trump ha deluso le aspettative. Il tycoon è infatti caduto in varie delle trappole che la Harris aveva man mano disseminato con l’unico obiettivo di provocarlo e farlo uscire dai gangheri. Pur evitando di andare in escandescenze, il repubblicano si è più volte mostrato innervosito e, in alcuni segmenti del confronto, è apparso fuori fuoco e meno incisivo di quanto necessario. Alcune uscite poi, come quella sui clandestini che mangerebbero i gatti, avrebbe potuto risparmiarsele, essendo subito diventate carburante per gli attacchi dei dem contro di lui.
Ciò detto, questo non vuol dire che la Harris abbia brillato. Tutt’altro. Se come provocatrice si è rivelata efficace, non è tuttavia riuscita a scrollarsi di dosso l’immagine di candidata preimpostata. Non solo. Quando le sono state fatte domande scomode (specialmente sull’economia), la vicepresidente si è mostrata incredibilmente vaga. Trump si è inoltre rivelato discretamente abile nel legarla a doppio filo all’impopolare Joe Biden: una strategia, quella del tycoon, che ha irritato la Harris. «È importante ricordare all’ex presidente che non stai correndo contro Joe Biden, stai correndo contro di me», ha dichiarato la candidata dem.
Un altro punto a favore di Trump è stato quando il tycoon si è chiesto per quale ragione la Harris, vicepresidente in carica da oltre tre anni, non abbia implementato le misure che propone oggi. «Ha iniziato dicendo che farà questo, farà quello, farà tutte queste cose meravigliose. Perché non l’ha fatto? È lì da tre anni e mezzo», ha tuonato Trump. Tra l’altro, chi aveva assoluta necessità di vincere nettamente martedì era proprio la vicepresidente, per rilanciare una campagna che, nelle ultime due settimane, aveva mostrato segnali di stanchezza. L’ex presidente, di contro, può ancora vantare dei fondamentali più solidi rispetto all’avversaria.
Insomma, a conti fatti non si può proprio parlare di una vittoria della Harris. Tutto questo, con buona pace dell’instant poll della Cnn: d’altronde, a seguito del primo dibattito di Trump con Hillary Clinton nel settembre 2016, la stessa emittente riferì che l’ex first lady aveva vinto con il 62%. Eppure ricordiamo tutti come andarono a finire le elezioni di quell’anno. Inoltre, Reuters ha intervistato ieri dieci elettori indecisi prima del confronto: dopo averlo visto, sei si sono detti propensi a votare Trump, tre la Harris e uno non ha ancora le idee chiare.
Un altro elemento da considerare è il doppiopesismo del factchecking attuato dai due moderatori di Abc che, molto severi nei confronti di Trump, non lo sono stati altrettanto con la sua avversaria. I due giornalisti hanno contestato all’ex presidente le sue affermazioni sugli immigrati che mangerebbero i gatti e sull’aumento del tasso di criminalità negli ultimi anni. Eppure, quando è stata la Harris a proferire fake news, non le hanno detto nulla. La vicepresidente ha infatti accusato Trump di aver sostenuto che, in caso di mancata vittoria a novembre, negli Usa si verificherebbe un «bagno di sangue». In realtà, con quella dichiarazione (risalente al marzo scorso), Trump, durante un comizio, si stava riferendo all’economia americana e, in particolare, al settore automobilistico. Non stava invocando stragi o violenza. I due moderatori, però, non sono intervenuti a correggere la Harris. È anche per questo che il tycoon è andato su tutte le furie: ha parlato di dibattito «truccato» e non ha chiarito se accetterà un secondo confronto, come chiesto dalla rivale.
È poi emerso un caso sull’aborto. Differentemente dagli scorsi mesi, l’ex presidente, martedì, ha evitato di impegnarsi esplicitamente nel porre il veto a un eventuale divieto federale dell’interruzione di gravidanza. Dall’altra parte, anche la Harris si è mostrata ambigua sull’aborto tardivo, vale a dire quello con travaglio indotto in fase avanzata di gestazione: pratica impopolare tra i cittadini americani, che, secondo Trump, i dem e la stessa Harris punterebbero a promuovere. «Fanno l’aborto al nono mese», ha dichiarato. Va detto che la vicepresidente non ha esplicitamente sostenuto questa pratica. Tuttavia non l’ha neppure chiaramente esclusa.
Il National Catholic Register ha riportato che, l’anno scorso, il vice della Harris, il governatore del Minnesota Tim Walz, ha firmato una legge statale che impone «di prendersi cura del neonato nato vivo» anziché di «preservare la vita e la salute del neonato nato vivo» (come era invece previsto da una precedente norma del 1976). Axios ha anche riferito che la legge del Minnesota «non prevede alcun limite gestazionale per l’aborto, il che significa che la procedura può essere eseguita in qualsiasi momento della gravidanza». In secondo luogo, quando il moderatore, martedì, ha chiesto alla Harris «se sostenga delle restrizioni al diritto di una donna all’aborto», la vicepresidente ha glissato. Lo stesso Politico ha sottolineato che la candidata dem «non ha detto quali restrizioni» applicherebbe all’interruzione di gravidanza. Insomma, pur non sostenendo esplicitamente l’aborto tardivo, l’ambiguità della Harris non pare neppure escluderlo. D’altronde, a luglio, sempre Politico riportò che una parte del mondo pro-choice vorrebbe che la vicepresidente osasse di più e non si limitasse a invocare il ritorno a Roe v. Wade (che consentiva l’interruzione di gravidanza entro le prime 22 settimane di gestazione).
La «gattara» Swift: «Voterò Kamala»
Alla fine è arrivato. Pochi minuti dopo la conclusione del dibattito televisivo tra Donald Trump e Kamala Harris, Taylor Swift ha dato il proprio endorsement alla candidata dem. «Voterò per Kamala Harris perché combatte per i diritti e le cause che credo abbiano bisogno di un guerriero che le sostenga», ha scritto la cantante sul suo profilo Instagram, che conta circa 283 milioni di follower, firmandosi «gattara senza figli» (un riferimento polemico al running mate di Trump, JD Vance, che, nel 2021, aveva definito in questo modo le donne ai vertici del Partito democratico americano). «Non ero un fan di Taylor Swift» ha replicato il candidato repubblicano, per poi aggiungere: «Sembra sempre sostenere un democratico, e probabilmente ne pagherà il prezzo sul mercato».
A ottobre 2020, la cantante aveva dato il proprio endorsement alla candidatura di Joe Biden. Tutto questo, mentre negli scorsi mesi si rincorrevano voci sul fatto che stesse per fare altrettanto quest’anno con il candidato presidenziale dem. Alla fine l’endorsement è arrivato. Ma c’è da chiedersi: che cosa comporterà? Molti già sostengono che, grazie ai suoi numerosi fan, la Swift sposterà montagne di voti a favore della Harris: tanto più che la star è originaria di uno Stato cruciale come la Pennsylvania. Tuttavia attenzione ai facili automatismi. Secondo un sondaggio commissionato a maggio da Newsweek, il 18% degli americani disse di essere disposto a seguire l’endorsement della stella del pop, mentre il 15% dei rispondenti sostenne che avrebbe votato in senso contrario. Il 55% degli intervistati, infine, riferì di non tenere in considerazione l’opinione politica della Swift.
Va poi tenuto conto del fatto che, nella politica americana, l’appoggio dello star system può essere utile in termini di raccolta fondi e di copertura mediatica (non a caso l’endorsement è arrivato subito dopo il dibattito presidenziale). Tuttavia, le celebrities di voti ne spostano pochi. Nel 2016, Hillary Clinton ebbe il sostegno di numerosi attori e cantanti: a partire dall’influente Beyoncé, che si impegnò in prima persona per lei. Questo non garantì comunque la vittoria all’ex first lady. Era invece il 1964 quando John Wayne, all’epoca un mito vivente di Hollywood, fece campagna a favore dell’allora candidato presidenziale repubblicano Barry Goldwater: quest’ultimo tuttavia alla fine perse malamente contro il democratico Lyndon Johnson. D’altronde, può rivelarsi un errore confondere la psicologia di un fan o di un follower con quella di un elettore.
Ma Taylor Swift non è l’unica a essersi interessata al dibattito di martedì. Il Cremlino ha infatti espresso disappunto per il fatto che, durante il confronto, Vladimir Putin è stato citato più volte. «Il nome di Putin è usato, diciamo, come uno degli strumenti della lotta politica dentro gli Usa. Questo non ci piace affatto», ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Il nome dello zar è emerso soprattutto quando Trump e la Harris hanno battagliato sulle cause e sulle possibili soluzioni del conflitto russo-ucraino. La candidata dem ha accusato l’avversario di essere morbido con Mosca. Trump, dal canto suo, ha ricordato che fu l’amministrazione Biden-Harris a dare l’ok al gasdotto Nord Stream 2 e ha inoltre promesso che, se tornerà alla Casa Bianca, parlerà sia con Putin che con Volodymyr Zelensky per tentare di porre fine alla guerra in corso. Qualche giorno fa, lo zar aveva dato sarcasticamente il proprio endorsement alla vicepresidente.
Continua a leggereRiduci
Il tycoon cade nei tranelli della sfidante al dibattito e fa uscite discutibili. La progressista, però, glissa sui temi scomodi. Come l’aborto tardivo, introdotto dal suo vice in Minnesota, sul quale non ha mai espresso contrarietà.Endorsement della popstar Taylor Swift alla candidata dem con frecciatina a J. D. Vance per la vecchia frase sulle donne senza figli. Il Cremlino irritato dallo scontro in tv: «Lasciate in pace Vladimir Putin».Lo speciale contiene due articoliLa macchina retorica favorevole a Kamala Harris si è rimessa in moto (d’altronde, quando mai si era fermata?). Secondo la maggior parte dei media, la candidata dem avrebbe stravinto il dibattito di martedì con Donald Trump. A conforto di questa narrazione, viene citato l’instant poll della Cnn, secondo cui la vicepresidente si sarebbe aggiudicata il confronto con il favore del 63% degli spettatori contro il misero 37% racimolato dall’avversario. Siamo sicuri che le cose stiano così?Cominciamo subito col dire che Trump ha deluso le aspettative. Il tycoon è infatti caduto in varie delle trappole che la Harris aveva man mano disseminato con l’unico obiettivo di provocarlo e farlo uscire dai gangheri. Pur evitando di andare in escandescenze, il repubblicano si è più volte mostrato innervosito e, in alcuni segmenti del confronto, è apparso fuori fuoco e meno incisivo di quanto necessario. Alcune uscite poi, come quella sui clandestini che mangerebbero i gatti, avrebbe potuto risparmiarsele, essendo subito diventate carburante per gli attacchi dei dem contro di lui.Ciò detto, questo non vuol dire che la Harris abbia brillato. Tutt’altro. Se come provocatrice si è rivelata efficace, non è tuttavia riuscita a scrollarsi di dosso l’immagine di candidata preimpostata. Non solo. Quando le sono state fatte domande scomode (specialmente sull’economia), la vicepresidente si è mostrata incredibilmente vaga. Trump si è inoltre rivelato discretamente abile nel legarla a doppio filo all’impopolare Joe Biden: una strategia, quella del tycoon, che ha irritato la Harris. «È importante ricordare all’ex presidente che non stai correndo contro Joe Biden, stai correndo contro di me», ha dichiarato la candidata dem.Un altro punto a favore di Trump è stato quando il tycoon si è chiesto per quale ragione la Harris, vicepresidente in carica da oltre tre anni, non abbia implementato le misure che propone oggi. «Ha iniziato dicendo che farà questo, farà quello, farà tutte queste cose meravigliose. Perché non l’ha fatto? È lì da tre anni e mezzo», ha tuonato Trump. Tra l’altro, chi aveva assoluta necessità di vincere nettamente martedì era proprio la vicepresidente, per rilanciare una campagna che, nelle ultime due settimane, aveva mostrato segnali di stanchezza. L’ex presidente, di contro, può ancora vantare dei fondamentali più solidi rispetto all’avversaria.Insomma, a conti fatti non si può proprio parlare di una vittoria della Harris. Tutto questo, con buona pace dell’instant poll della Cnn: d’altronde, a seguito del primo dibattito di Trump con Hillary Clinton nel settembre 2016, la stessa emittente riferì che l’ex first lady aveva vinto con il 62%. Eppure ricordiamo tutti come andarono a finire le elezioni di quell’anno. Inoltre, Reuters ha intervistato ieri dieci elettori indecisi prima del confronto: dopo averlo visto, sei si sono detti propensi a votare Trump, tre la Harris e uno non ha ancora le idee chiare.Un altro elemento da considerare è il doppiopesismo del factchecking attuato dai due moderatori di Abc che, molto severi nei confronti di Trump, non lo sono stati altrettanto con la sua avversaria. I due giornalisti hanno contestato all’ex presidente le sue affermazioni sugli immigrati che mangerebbero i gatti e sull’aumento del tasso di criminalità negli ultimi anni. Eppure, quando è stata la Harris a proferire fake news, non le hanno detto nulla. La vicepresidente ha infatti accusato Trump di aver sostenuto che, in caso di mancata vittoria a novembre, negli Usa si verificherebbe un «bagno di sangue». In realtà, con quella dichiarazione (risalente al marzo scorso), Trump, durante un comizio, si stava riferendo all’economia americana e, in particolare, al settore automobilistico. Non stava invocando stragi o violenza. I due moderatori, però, non sono intervenuti a correggere la Harris. È anche per questo che il tycoon è andato su tutte le furie: ha parlato di dibattito «truccato» e non ha chiarito se accetterà un secondo confronto, come chiesto dalla rivale.È poi emerso un caso sull’aborto. Differentemente dagli scorsi mesi, l’ex presidente, martedì, ha evitato di impegnarsi esplicitamente nel porre il veto a un eventuale divieto federale dell’interruzione di gravidanza. Dall’altra parte, anche la Harris si è mostrata ambigua sull’aborto tardivo, vale a dire quello con travaglio indotto in fase avanzata di gestazione: pratica impopolare tra i cittadini americani, che, secondo Trump, i dem e la stessa Harris punterebbero a promuovere. «Fanno l’aborto al nono mese», ha dichiarato. Va detto che la vicepresidente non ha esplicitamente sostenuto questa pratica. Tuttavia non l’ha neppure chiaramente esclusa. Il National Catholic Register ha riportato che, l’anno scorso, il vice della Harris, il governatore del Minnesota Tim Walz, ha firmato una legge statale che impone «di prendersi cura del neonato nato vivo» anziché di «preservare la vita e la salute del neonato nato vivo» (come era invece previsto da una precedente norma del 1976). Axios ha anche riferito che la legge del Minnesota «non prevede alcun limite gestazionale per l’aborto, il che significa che la procedura può essere eseguita in qualsiasi momento della gravidanza». In secondo luogo, quando il moderatore, martedì, ha chiesto alla Harris «se sostenga delle restrizioni al diritto di una donna all’aborto», la vicepresidente ha glissato. Lo stesso Politico ha sottolineato che la candidata dem «non ha detto quali restrizioni» applicherebbe all’interruzione di gravidanza. Insomma, pur non sostenendo esplicitamente l’aborto tardivo, l’ambiguità della Harris non pare neppure escluderlo. D’altronde, a luglio, sempre Politico riportò che una parte del mondo pro-choice vorrebbe che la vicepresidente osasse di più e non si limitasse a invocare il ritorno a Roe v. Wade (che consentiva l’interruzione di gravidanza entro le prime 22 settimane di gestazione).<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/trump-harris-taylor-swift-elezioni-2669172754.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-gattara-swift-votero-kamala" data-post-id="2669172754" data-published-at="1726136564" data-use-pagination="False"> La «gattara» Swift: «Voterò Kamala» Alla fine è arrivato. Pochi minuti dopo la conclusione del dibattito televisivo tra Donald Trump e Kamala Harris, Taylor Swift ha dato il proprio endorsement alla candidata dem. «Voterò per Kamala Harris perché combatte per i diritti e le cause che credo abbiano bisogno di un guerriero che le sostenga», ha scritto la cantante sul suo profilo Instagram, che conta circa 283 milioni di follower, firmandosi «gattara senza figli» (un riferimento polemico al running mate di Trump, JD Vance, che, nel 2021, aveva definito in questo modo le donne ai vertici del Partito democratico americano). «Non ero un fan di Taylor Swift» ha replicato il candidato repubblicano, per poi aggiungere: «Sembra sempre sostenere un democratico, e probabilmente ne pagherà il prezzo sul mercato». A ottobre 2020, la cantante aveva dato il proprio endorsement alla candidatura di Joe Biden. Tutto questo, mentre negli scorsi mesi si rincorrevano voci sul fatto che stesse per fare altrettanto quest’anno con il candidato presidenziale dem. Alla fine l’endorsement è arrivato. Ma c’è da chiedersi: che cosa comporterà? Molti già sostengono che, grazie ai suoi numerosi fan, la Swift sposterà montagne di voti a favore della Harris: tanto più che la star è originaria di uno Stato cruciale come la Pennsylvania. Tuttavia attenzione ai facili automatismi. Secondo un sondaggio commissionato a maggio da Newsweek, il 18% degli americani disse di essere disposto a seguire l’endorsement della stella del pop, mentre il 15% dei rispondenti sostenne che avrebbe votato in senso contrario. Il 55% degli intervistati, infine, riferì di non tenere in considerazione l’opinione politica della Swift. Va poi tenuto conto del fatto che, nella politica americana, l’appoggio dello star system può essere utile in termini di raccolta fondi e di copertura mediatica (non a caso l’endorsement è arrivato subito dopo il dibattito presidenziale). Tuttavia, le celebrities di voti ne spostano pochi. Nel 2016, Hillary Clinton ebbe il sostegno di numerosi attori e cantanti: a partire dall’influente Beyoncé, che si impegnò in prima persona per lei. Questo non garantì comunque la vittoria all’ex first lady. Era invece il 1964 quando John Wayne, all’epoca un mito vivente di Hollywood, fece campagna a favore dell’allora candidato presidenziale repubblicano Barry Goldwater: quest’ultimo tuttavia alla fine perse malamente contro il democratico Lyndon Johnson. D’altronde, può rivelarsi un errore confondere la psicologia di un fan o di un follower con quella di un elettore. Ma Taylor Swift non è l’unica a essersi interessata al dibattito di martedì. Il Cremlino ha infatti espresso disappunto per il fatto che, durante il confronto, Vladimir Putin è stato citato più volte. «Il nome di Putin è usato, diciamo, come uno degli strumenti della lotta politica dentro gli Usa. Questo non ci piace affatto», ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Il nome dello zar è emerso soprattutto quando Trump e la Harris hanno battagliato sulle cause e sulle possibili soluzioni del conflitto russo-ucraino. La candidata dem ha accusato l’avversario di essere morbido con Mosca. Trump, dal canto suo, ha ricordato che fu l’amministrazione Biden-Harris a dare l’ok al gasdotto Nord Stream 2 e ha inoltre promesso che, se tornerà alla Casa Bianca, parlerà sia con Putin che con Volodymyr Zelensky per tentare di porre fine alla guerra in corso. Qualche giorno fa, lo zar aveva dato sarcasticamente il proprio endorsement alla vicepresidente.
Monterosa ski
Dopo un’estate da record, con presenze in crescita del 2% e incassi saliti del 3%, il sipario si alza ora su Monterosa Ski. In scena uno dei comprensori più autentici dell’arco alpino, da vivere fino al 19 aprile (neve permettendo) con e senza gli sci ai piedi, tra discese impeccabili, panorami che tolgono il fiato e quella calda accoglienza che da sempre distingue questo spicchio di territorio che si muove tra Valle d’Aosta e Piemonte, abbracciando le valli di Ayas e Gressoney e la Valsesia.
Protagoniste assolute dell’inverno al via, le novità.
A Gressoney-Saint-Jean il baby snow park Sonne è fresco di rinnovo e pronto ad accogliere i piccoli sciatori con aree gioco più ampie, un nuovo tapis roulant per prolungare il divertimento delle discese su sci, slittini e gommoni, e una serie di percorsi con gonfiabili a tema Walser per celebrare le tradizioni della valle. Poco più in alto, a Gressoney-La-Trinité, vede la luce la nuova pista di slittino Murmeltier, progetto ambizioso che ruota attorno a 550 metri di discesa serviti dalla seggiovia Moos, illuminazione notturna, innevamento garantito e la possibilità di scivolare anche sotto le stelle, ogni mercoledì e sabato sera.
Da questa stagione, poi, entra pienamente in funzione la tecnologia bluetooth low energy, che consente di usare lo skipass digitale dallo smartphone, senza passare dalla biglietteria. Basta tenerlo in tasca per accedere agli impianti, riducendo così plastica e attese e promuovendo una montagna più smart e sostenibile, dove la tecnologia è al servizio dell’esperienza.
Sul fronte di costi e promozioni, fioccano agevolazioni e formule pensate per andare incontro a tutte le tasche e per far fronte alle imprevedibili condizioni meteorologiche. A partire da sci gratuito per bambini sotto gli otto anni, a sconti del 30 e del 20 per cento rispettivamente per i ragazzi tra gli 8 e i 16 anni e i giovani tra i 16 e i 24 anni , per arrivare a voucher multiuso per i rimborsi skipass in caso di chiusura degli impianti . «Siamo più che soddisfatti di poter ribadire la solidità di una destinazione che sta affrontando le sfide di questi anni con lungimiranza. Su tutte, l’imprevedibilità delle condizioni meteo che ci condiziona in modo determinante e ci spinge a migliorare le performance delle infrastrutture e delle modalità di rimborso, come nel caso dei voucher», dice Giorgio Munari, amministratore delegato di Monterosa Spa.
Introdotti con successo l’inverno scorso, i voucher permettono ai titolari di skipass giornalieri o plurigiornalieri, in caso di chiusure parziali o totali del comprensorio, di avere crediti spendibili in acquisti non solo di nuovi skipass e biglietti per impianti, ma anche in attività e shopping presso partner d’eccellenza, che vanno dal Forte di Bard alle Terme di Champoluc, fino all’avveniristica Skyway Monte Bianco, passando per ristoranti di charme e botteghe artigiane.
Altra grande novità della stagione, questa volta dal respiro internazionale, l’ingresso di Monterosa Ski nel circuito Ikon pass, piattaforma americana che raccoglie oltre 60 destinazioni sciistiche nel mondo.
«Non si tratta solo di un’inclusione simbolica», commenta Munari, «ma di entrare concretamente nei radar di sciatori di Stati Uniti, Canada, Giappone o Australia che, già abituati a muoversi tra mete sciistiche di fama mondiale, avranno ora la possibilità di scoprire anche il nostro comprensorio». Comprensorio che ha tanto da offrire.
Sotto lo sguardo dei maestosi 4.000 del Rosa, sfilano discese sfidanti anche per i più esperti sul carosello principale Monterosa Ski 3 Valli - 29 impianti per 52 piste fino a 2.971 metri di quota - e percorsi più soft, adatti a principianti e bambini, nella ski area satellite di Antagnod, Brusson, Gressoney-Saint-Jean, Champorcher e Alpe di Mera; fuoripista da urlo nel regno imbiancato di Monterosa freeride paradise e tracciati di sci alpinismo d’eccezione - Monterosa Ski è il primo comprensorio di sci alpinismo in Italia. Il tutto accompagnato da panorami e paesaggi strepitosi e da un’accoglienza made in Italy che conquista a colpi di stile e atmosfere genuine. Info: www.monterosaski.eu.
Continua a leggereRiduci
content.jwplatform.com
Dal foyer della Prima domina il nero scelto da vip e istituzioni. Tra abiti couture, la presenza di Pierfrancesco Favino, Mahmood, Achille Lauro e Barbara Berlusconi - appena nominata nel cda - spiccano le assenze ufficiali. Record d’incassi per Šostakovič.
Non c’è dubbio che un’opera dirompente e sensuale, che vede tradimenti e assassinii, censurata per la sua audacia e celebrata per la sua altissima qualità musicale come Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmítrij Šostakóvič, abbia influenzato la scelta di stile delle signore presenti.
«Quando preparo gli abiti delle mie clienti per la Prima della Scala, tengo sempre conto del tema dell’opera», spiega Lella Curiel, sessanta prime al suo attivo e stilista per antonomasia della serata più importante del Piermarini. Così ogni volta la Prima diventa un grande esperimento sociale, di eleganza ma anche di mise inopportune. Da sempre, la platea ingioiellata e in smoking, si divide tra chi è qui per la musica e chi per mostrarsi mentre finge di essere qui intendendosene. Sul piazzale, lo show comincia ben prima del do di petto. Le signore scendono dalle auto con la stessa espressione di chi affronta un red carpet improvvisato: un occhio al gradino e uno ai fotografi. Sono tiratissime, ma anche i loro accompagnatori non sono da meno, alcuni dei quali con abiti talmente aderenti che sembrano più un atto di fede che un capo sartoriale.
È il festival del «chi c’è», «chi manca» ma tutti partecipano con disinvoltura allo spettacolo parallelo: quello dei saluti affettuosi, che durano esattamente il tempo di contare quanti carati ha l’altro. Mancano sì il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio, il presidente del Senato e il presidente della Camera ma gli aficionados della Prima, e anche tanti altri, ci sono tutti visto che è stato raggiunto il record di biglietti venduti, quasi 3 milioni di euro d’incasso.
Sul palco d'onore, con il sindaco Beppe Sala e Chiara Bazoli (in nero Armani rischiarato da un corpetto in paillettes), il ministro della Cultura Alessandro Giuli, l’applaudita senatrice a vita Liliana Segre, il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana accompagnato dalla figlia Cristina (elegantissima in nero di Dior), il presidente della Corte Costituzionale Giovanni Amoroso, i vicepresidenti di Camera e Senato Anna Ascani e Gian Marco Centinaio e il prefetto di Milano Claudio Sgaraglia. Nero imperante, quindi, nero di pizzo, di velluto, di chiffon ma sempre nero. Con un tocco di rosso come per l’abito di Maria Grazia compagna di Giuseppe Marotta («è un vestito di sartoria, non è firmato da nessun stilista»), con dettagli verdi scelti da Diana Bracco («sono molto rigorosa»). Tutto nero l’abito/cappotto di Andrée Ruth Shammah («metto sempre questo per la Prima con i gioielli colorati di mia mamma»). E così quello di Fabiana Giacomotti molto scollato sulla schiena («è di Balenciaga, l’ultima collezione di Demna»).
Ma esce dal coro Barbara Berlusconi, la più fotografata, in un prezioso abito di Armani dalle varie sfumature, dall’argento al rosso al blu («ho scelto questo abito che avevo già indossato per celebrarlo»), accompagnata da Lorenzo Guerrieri. Fresca di nomina nel cda della Scala (voluta da Fontana), si è soffermata con i giornalisti. «La scelta di Šostakovič - afferma - conferma che la Scala non è solo un luogo di memoria: è anche un teatro che ha il coraggio di proporre opere che fanno pensare, che interrogano il pubblico, lo sfidano, e che raccontano la complessità del nostro tempo. La Lady è un titolo "ruvido", forte, volutamente impegnativo, che non cerca il consenso facile. È un'opera intensa, profonda, scomoda, ma anche attualissima per i temi che propone». E aggiunge: «Mio padre amava l'opera e ho avuto il piacere di accompagnarlo parecchi anni fa a una Prima. Questo ruolo nel cda l'ho preso con grande impegno per aiutare la Scala a proseguire nel suo straordinario lavoro». Altra componente del cda, Melania Rizzoli, in nero vintage dell’amica Chiara Boni, arrivata con il figlio Alberto Rizzoli. In nero Ivana Jelinic, ad di Enit, agenzia nazionale del Turismo. In blu firmato Antonio Riva, Giulia Crespi moglie di Angelo, direttore della Pinacoteca di Brera. In beige Ilaria Borletti Buitoni con un completo confezionato dalla sarta su un suo disegno. Letteralmente accerchiati da giornalisti, fotografi e telecamere Pierfrancesco Favino con la moglie Anna Ferzetti, Mahmood in Versace («mi sento regale») e Achille Lauro che dice quanto sia importante che l’opera arrivi ai giovani. Debutto lirico per Giorgio Pasotti mentre è una conferma per Giovanna Salza in Armani e ospite abituale è l’artista Francesco Vezzoli.
Poi, in 500, alla cena di gala firmata dallo chef 2 stelle Michelin nella storica Società del Giardino Davide Oldani. E così la Prima resta quel miracolo annuale in cui tutti, almeno per una sera, riescono a essere la versione più scintillante (e leggermente autoironica) di sé stessi.
Continua a leggereRiduci
Guido Guidesi (Imagoeconomica)
Le Zis si propongono come aree geografiche o distretti tematici in cui imprese, startup e centri di ricerca possano operare in sinergia per stimolare l’innovazione, generare nuova occupazione qualificata, attrarre capitali, formare competenze avanzate e trattenere talenti. Nelle intenzioni della Regione, le nuove zone dovranno funzionare come poli stabili, riconosciuti e specializzati, ciascuno legato alle vocazioni produttive del proprio territorio. I progetti potranno riguardare settori differenti: manifattura avanzata, digitalizzazione, life science, agritech, energia, materiali innovativi, cultura tecnologica e altre filiere considerate strategiche.
La procedura di attivazione delle Zis è così articolata. La Fase 1, tramite manifestazione di interesse, permette ai soggetti coinvolti di presentare un Masterplan, documento preliminare in cui vengono indicati settore di specializzazione, composizione del partenariato, governance, spazi disponibili o da realizzare, laboratori, servizi tecnologici e prospetto di sostenibilità. La proposta dovrà inoltre includere la lettera di endorsement della Provincia competente. Ogni Provincia potrà ospitare fino a due Zis, senza limiti invece per le candidature interprovinciali. La dotazione economica disponibile per questa fase è pari a 1 milione di euro: il contributo regionale finanzia fino al 50% delle spese di consulenza per la stesura dei documenti necessari alla Fase 2, fino a un massimo di 100.000 euro per progetto.
La Fase 2 è riservata ai progetti ammessi dopo la valutazione iniziale. Con l’accompagnamento della Regione, i proponenti elaboreranno il Piano strategico definitivo, che dovrà disegnare una visione a lungo termine con orizzonte al 2050. Il programma di sviluppo indicherà le azioni operative: attrazione di nuove imprese e startup innovative, apertura o potenziamento di laboratori, creazione di infrastrutture digitali, percorsi formativi ad alta specializzazione, incubatori e servizi condivisi. Sarà inoltre definito un modello economico sostenibile e un sistema di monitoraggio basato su indicatori misurabili per valutare impatti occupazionali, tecnologici e competitivi.
I soggetti autorizzati alla presentazione delle candidature sono raggruppamenti pubblico-privati con imprese o startup come capofila. Possono partecipare enti pubblici, Comuni, Province, camere di commercio, università, centri di ricerca, enti formativi, fondazioni, associazioni e organizzazioni del terzo settore. Regione Lombardia avrà il ruolo di coordinatore e facilitatore. All’interno della direzione generale sviluppo economico sarà istituita una struttura dedicata al supporto dei territori: un presidio tecnico incaricato di orientare, assistere e valorizzare le progettualità, monitorando l’attuazione e la coerenza con gli obiettivi strategici.
Nel corso della presentazione istituzionale, l’assessore allo Sviluppo economico, Guido Guidesi, ha dichiarato: «Cambiamo per innovare. Le Zis saranno il connettore dei valori aggiunti di cui già disponiamo e che metteremo a sistema, ecosistemi settoriali che innovano in squadra tra aziende, ricerca, formazione, istituzioni e credito. Guardiamo al futuro difendendo il nostro sistema produttivo con l’obiettivo di consegnare opportunità ai giovani». Da Confindustria Lombardia è arrivata una valutazione positiva. Il presidente Giuseppe Pasini ha affermato: «Attraverso le Zis si intensifica il lavoro a favore delle imprese e dei territori. Apprezziamo la capacità di visione e la volontà di puntare sui giovani».
Ogni territorio svilupperà la propria specializzazione, puntando su filiere già forti o sulla creazione di nuovi segmenti tecnologici. Il percorso non prevede limiti settoriali ma richiede sostenibilità economica e capacità di generare ricadute occupazionali misurabili.
Continua a leggereRiduci