2018-06-20
I dazi alla Cina fanno cadere le Borse. Usa e Canada litigano per le aragoste
Mentre il Senato stoppa l'apertura a Zte, il presidente Donald Trump impone nuove tariffe su altri 200 miliardi di merci cinesi. Pechino: «È un ricatto». Colpiti dalla guerra commerciale anche i crostacei del Maine. Ne approfitta Justin Trudeau.La guerra commerciale a suon di dazi e controdazi tra Stati Uniti e Cina si arricchisce di un nuovo capitolo. Ieri notte, il presidente statunitense, Donald Trump, ha sferrato un nuovo attacco alla Cina, ordinando a Robert Lighthizer, numero uno dell'Agenzia del commercio, di individuare altri 200 miliardi di dollari di merci cinesi da sottoporre a ulteriori dazi del 10%. È la risposta di Washington a Pechino, che due giorni fa aveva annunciato tariffe del 25% su 50 miliardi di dollari di merci a stelle e strisce. Ma anche la decisione del Dragone non era nata dal nulla, bensì come reazione alla decisione di Trump di imporre dazi del 25% a 50 miliardi di dollari di merci cinesi. Trump vuole l'ultima parola e così ha già avvertito che qualora il governo di Xi Jinping decidesse di rispondere a questa seconda ondata di dazi, lui metterà nel mirino altri 200 miliardi di beni. La mossa, bollata dal ministero del Commercio di Pechino come un «ricatto», ha affossato Wall Street e le Borse asiatiche (Shanghai -3,78%, Shenzhen -5,77%, Hong Kong -3%, Tokyo -1,77%) e messo in difficoltà quelle europee. Piazza Affari, trainata dai bancari, torna in positivo sul finale di seduta, salvo poi chiudere in negativo di 0,07%. In flessione anche tutte le altre piazze: Francoforte cede l'1,22% e Parigi l'1,10%. Trump sembra quindi voler riaffermare la dottrina del suo ex stratega Steve Bannon, che poche ore prima di venire licenziato dalla Casa Bianca disse alla rivista liberal The American prospect: «Siamo in guerra economica con la Cina. Uno dei nostri due Paesi sarà egemone nei prossimi 25-30 anni e saranno loro se non entriamo in questo scontro». E basta leggere altre frasi di allora, quando Trump sembrava deciso a sfidare militarmente la Corea del Nord di Kim Jong Un, per notare che alla Casa Bianca sembrano aver rispolverato quella dottrina. Spiegava Bannon, che la questione vera è la «guerra economica» con la Cina mentre lo scontro con la Corea del Nord è «secondario». Annunciando i nuovi dazi, Trump ha usato parole non troppo diverse da quelle di Bannon: la Cina, ha detto, ha dimostrato di essere determinata a «mantenere gli Stati Uniti in una situazione di svantaggio permanente e iniquo». E ancora: «Dopo il completamento del necessario processo legale, le tariffe entreranno in vigore se la Cina rifiuterà di mutare le proprie pratiche, e se insisterà nell'imposizione delle nuove tariffe che ha recentemente annunciato». L'obiettivo è quello promesso in campagna elettorale, proprio durante l'ascesa di Bannon nelle gerarchie trumpiane: ridurre il deficit della bilancia commerciale (che, per quanto riguarda i beni, con la Cina nel 2017 era pari da oltre 375 miliardi) tramite i dazi.A poco sembrano quindi essere serviti i negoziati intrapresi dai due governi ad aprile. Con questa mossa Trump vorrebbe forzare Pechino a impegni concreti e quantificabili, a cominciare dall'aumento promesso delle importazioni di prodotti agricoli ed energia statunitensi. Anche se, a dire il vero, a Washington ancora attendono le «rilevanti modifiche alle sue leggi e regolamenti» per la protezione della proprietà intellettuale, compresa la legge sui brevetti promesse a maggio dalla Cina. Ma le vittime dello scontro tra Washington e Pechino potrebbero essere le aragoste canadesi. Con le nuove tariffe, i commercianti del Maine rischiano di veder allontanarsi ancor di più il mercato cinese, ritenuto fondamentale anche per compensare le minori esportazioni verso l'Europa causate dall'accordo commerciale tra il Canada e l'Unione europea. Annie Tselikis, a capo dell'associazioni di venditori di aragoste del Maine, teme che i crostacei a stelle e strisce possano costare fino al 45% in più di quelli provenienti dal Canada, un mercato già in ascesa. Si sa che tra il presidente statunitense e l'omologo canadese, Justin Trudeau, non scorre buon sangue: il consigliere economico della Casa Bianca, Peter Navarro, ha attaccato Trudeau a margine del G7 tenutosi pochi giorni fa nella capitale canadese Ottawa dicendo: «C'è uno speciale posto all'inferno per qualunque leader si impegni in una diplomazia in cattiva fede con Trump». Difficile, a questo punto, che alla Casa Bianca qualcuno possa dolersi se mai uno Stato membro dell'Ue - magari l'Italia, viste le recenti uscite del ministro dell'Agricoltura, Gian Marco Centinaio - decidesse di far saltare il Ceta.Nelle ultime ore anche il Senato statunitense è entrato nella guerra con la Cina, ribaltando, con il voto favorevole di 85 senatori su 100, l'accordo voluto da Trump con Zte, ripristinando così che ha sancito lo stop al bando sull'acquisto di microprocessori e altri parti statunitensi, imposto dopo che il big cinese delle telecomunicazioni aveva violato l'embargo sulla vendita a Iran e Corea del Nord. Sarebbe, secondo i trumpiani, il tentativo dei neoconservatori di destabilizzare la Cina sperando, in futuro, di ridimensionare il regime. Ma la principale preoccupazione alla Casa Bianca è che la mossa dei senatori riveli agli occhi cinesi un presidente senza il controllo della politica estera del suo Paese. E non è questo il messaggio che Trump vuole recapitare in questi giorni a Pechino. Tanto che già si parla di veto presidenziale.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)