2018-04-21
Trump bandisce i telefoni cinesi. Così regala ad Apple 7 miliardi
Il divieto di esportazione rifilato dagli Stati Uniti al colosso Zte è la nuova puntata della guerra commerciale con il Dragone. Tim Cook esulta con Samsung e Lg, mentre piangono i fornitori. Ora ci si aspetta una reazione da Pechino. La Casa Bianca apre un altro fronte. I Paesi produttori di petrolio si riuniscono con l'intento di portare il barile almeno a 80 dollari. Washington chiede di tagliare i costi.Sette anni di vacche magre per il colosso cinese della telefonia Zte e circa 7 miliardi di fatturato che finiranno nelle tasche degli americani (la Apple è il primo produttore negli Stati Uniti) e dei coreani (Samsung e Lg sono al secondo e terzo posto nel podio dei maggiori produttori di telefonia mobile). È il risultato che avrà il divieto di esportazione negli Usa per sette anni che il segretario del commercio Wilbur Ross ha inflitto a Zhongxing telecommunications equipment corporation (Zte corporation).Il conto è presto fatto: Zte, colosso da 14 miliardi di fatturato nel 2017, nella terra dello Zio Sam aveva una quota dell'11,5% all'interno di un mercato che nel 2017 valeva 55 miliardi di dollari e che nel 2018, secondo le stime, dovrebbe crescere fino a 62,9 miliardi. Pallottoliere alla mano circa 7,2 miliardi, la quota di Zte, finiranno nelle tasche di Apple, Lg e Samsung. È chiaro che il provvedimento emesso dal Bureau of industry and security del dipartimento statunitense del commercio altro non è se non un altro capitolo della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. Nei mesi scorsi la Casa Bianca aveva anche negato la possibilità di partecipare a bandi per la fibra. Il colosso cinese in una nota diffusa ieri ha spiegato che, «l'ordine di divieto non solo avrà un impatto grave sulla sopravvivenza e sullo sviluppo di Zte, ma causerà anche danni a tutti i partner di Zte, tra cui un gran numero di aziende statunitensi».In effetti, la scelta farà felici molte aziende americane, ma ne scontenterà altre: mentre Apple festeggia, infatti, tutti i fornitori che da sempre hanno costruito alcune componenti dei telefonini della Zte soffrono. La californiana Qualcomm, ad esempio, produce i chip per il 70% degli smartphone del gruppo cinese e non è chiaro se continuerà a farlo. Lo stesso vale anche per altri fornitori di componentistica come Neophotonics, Xilinx e Qorvo. Ma come mai gli Stati Uniti hanno punito tanto duramente l'azienda? Tutto è iniziato poco più di un anno fa quando Zte venne accusata di aver infranto l'embargo per cui avrebbe venduto apparati per le telecomunicazioni in Iran e Corea del Nord rilasciando, per giunta, false dichiarazioni a fronte di specifiche richieste governative da parte degli Stati Uniti. La vicenda si concluse con il pagamento di una maxi multa da 1,2 miliardi di dollari e uno stop alle esportazioni in America, poi sospeso.Ora, a distanza di un anno, il governo degli Stati Uniti ha scoperto che Zte avrebbe mentito davanti al Bureau of industry and security sui dichiarati (e mai avvenuti) provvedimenti disciplinari verso i dirigenti aziendali direttamente colpevoli delle infrazioni contestate. Non solo i manager non sarebbero stati licenziati, ma persino premiati. Ciò ha fatto andare su tutte le furie il segretario Ross che ha deciso di rendere la sanzione verso Zte di nuovo operativa. Va detto che gli Stati Uniti non sono nuovi a questo genere di provvedimenti. Nel 2014 il gruppo bancario francese venne multato per 8,8 miliardi di dollari per aver violato l'embargo con Cuba, Iran e Sudan tra il 2002 e il 2009. La banca avrebbe aggirato il divieto internazionale effettuando pagamenti in dollari nei tre Paesi.Una vicenda simile ha riguardato nel 2014 anche Credit suisse, la seconda banca svizzera, che dovette pagare oltre 500 milioni di dollari per evitare un procedimento giudiziario con le autorità americane. Nel 2009 lo stesso gruppo fu costretto a pagare altri 530 milioni di dollari per aver fatto affari in Sudan. Sempre nel 2009 la banca britannica Lloyds ammise di aver favorito transazioni finanziarie con l'Iran (più Libia e Sudan) e accettò di pagare una multa di 350 milioni di dollari. Nel 2016 fu la volta della società di telecomunicazioni olandese Vimpelcom. In quel caso il gruppo fu costretto a pagare 835 milioni di dollari per aver pagato delle tangenti ad alcuni esponenti del governo usbeco per entrare nel mercato delle tlc. La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina sembra dunque essere entrata nel vivo. Sembra logico ritenere che la Cina (e forse anche Zte) risponderà al fuoco con una contromossa. Al momento non è ancora dato sapere come risponderà il dragone cinese, ma qualcosa accadrà. Intanto però le aziende pronte a spartirsi i ricavi delle reti digitali 5G in terra americana hanno un concorrente in meno a cui pensare. Gianluca Baldini<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/trump-bandisce-i-telefoni-cinesi-cosi-regala-ad-apple-7-miliardi-2561817827.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-casa-bianca-apre-anche-il-fronte-del-petrolio" data-post-id="2561817827" data-published-at="1757705069" data-use-pagination="False"> La Casa Bianca apre anche il fronte del petrolio Mohammed bin Salman LaPresse Donald Trump entra a gamba tesa sulla questione dei prezzi del petrolio: ieri il presidente Usa ha accusato l'Opec - l'associazione dei Paesi produttori che ha tenuto un meeting a Jeddah, in Arabia Saudita, insieme alla Russia - di tenere le quotazioni a livelli eccessivamente alti. «Sembra che l'Opec lo stia facendo di nuovo. Con quantità record di petrolio ovunque, comprese navi completamente cariche in mare, i prezzi del petrolio sono tenuti artificialmente molto alti. Non va bene e non sarà accettato», ha tuonato Trump via Twitter nelle prime ore della giornata.Non si è fatta attendere la replica del ministro saudita dell'Energia, Khaled al-Faleh, che ha risposto a Trump: «Non ho notato alcun impatto sulla domanda con gli attuali prezzi». Il ministro ha aggiunto: «La ridotta intensità energetica e l'alta produttività globale degli input energetici mi portano a pensare che c'è la capacità di assorbire l'aumento dei prezzi». Ma le parole di Trump hanno immediatamente portato a un'inversione di marcia nelle quotazioni del greggio, che stavano per chiudere la seconda settimana consecutiva al rialzo proprio grazie alle intenzioni, ribadite dall'Opec nel vertice di ieri, di non modificare gli accordi sui tagli alla produzione, nonostante i prezzi petroliferi siano ai massimi dai tre anni, con il greggio che viaggia intorno ai 70 dollari al barile. Secondo il ministro dell'Energia russo Alexander Novak, che partecipa agli incontri perché l'accordo sui tagli riguarda anche altri grandi produttori non-Opec come la Russia, occorre che la stabilizzazione dei prezzi si protragga per alcuni mesi, prima di valutare qualsiasi cambiamento alla politica di tagli alla produzione: a giugno l'Opec+, sigla che indica i Paesi del cartello e gli altri produttori, potrebbe tornare a parlarne ma solo se sarà ritenuto necessario. Il ministro saudita al-Faleh ha auspicato che l'Opec + continui la sua collaborazione nel 2019 - oltre la scadenza prevista a fine anno - e ha ribadito che Opec e alleati sono ancora lontani dal raggiungimento degli obiettivi, aprendo quindi alla possibilità di un'ulteriore riduzione delle scorte.L'obiettivo di Russia e Paesi Opec sembra comunque quello di un'alleanza duratura nel tempo. Secondo alcuni osservatori alla Russia, che si contende con l'Arabia Saudita lo scettro di maggior produttore di petrolio al mondo, piace l'idea di stabilizzare il patto con l'Opec per poter controllare meglio il mercato. Come ha sottolineato il ministro Novak, «abbiamo creato basi solide per una collaborazione futura tra Paesi Opec e non Opec che va al di là della dichiarazione di cooperazione». Alla fine del 2016 i Paesi produttori, Opec e non Opec, avevano raggiunto un accordo per tagliare la produzione di 1,8 milioni di barili al giorno e ridurre così l'eccesso di offerta a livello globale. Grazie all'accordo, i prezzi del greggio sono arrivati sopra i 70 dollari, dai 29 del gennaio 2016, e per ora la collaborazione sembra funzionare. Tanto che il principe saudita Mohammed bin Salman aveva detto, alla fine di marzo: «Stiamo lavorando per passare da un accordo annuale a uno che duri 10-20 anni: abbiamo già un'intesa di massima ma non ancora sui dettagli». Secondo Bloomberg, l'obiettivo dell'Arabia Saudita è portare i prezzi a un livello di 80 dollari al barile. Ora la mossa di Trump apre nuovi, imprevedibili scenari.Chiara Merico
Gabriele D'Annunzio (Getty Images)
Lo spettacolo Gabriele d’Annunzio, una vita inimitabile, con Edoardo Sylos Labini e le musiche di Sergio Colicchio, ha debuttato su RaiPlay il 10 settembre e approda su RaiTre il 12, ripercorrendo le tappe della vita del Vate, tra arte, politica e passioni.
Il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida (Ansa)
Lo stabilimento Stellantis di Melfi (Imagoeconomica)