2024-11-30
Comune di Tropea sciolto per mafia solo perché «è probabile che ci sia»
Il municipio di Tropea. Nel riquadro, il sindaco Giovanni Macrì (Ansa-IStock)
Mentre Decaro sbraitava per l’invio di ispettori a Bari, il municipio calabrese veniva azzerato per ’ndrangheta. Un atto che l’Avvocatura dello Stato difende così: «È in terra di infiltrazioni, è plausibile che siano avvenute».Flashback. Marzo 2024. Il sindaco di Bari, Antonio Decaro, in carica da dieci anni, grida al «golpe»: «Oggi è stato firmato un atto di guerra nei confronti della nostra città. Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, mi ha comunicato che è stata nominata la commissione per verificare l’ipotesi di scioglimento del Comune».Un atto dovuto ex lege, in realtà, dopo l’arresto di 130 persone in una inchiesta della Dda, la Direzione distrettuale antimafia, che ha svelato un presunto intreccio mafia-politica, con voto «di scambio» alle Comunali del 2019, e possibili, conseguenti «infiltrazioni» in Consiglio comunale (con il coinvolgimento di una consigliera comunale eletta con il centrodestra poi passata con il centrosinistra) e in altre aziende municipalizzate. Decaro spara a palle incatenate: è un atto politico «a orologeria», a tre mesi dalle elezioni, su sollecitazione «di alcuni parlamentari della destra e di due membri del governo».La destra si sarebbe, quindi, adeguata a quello che una certa sinistra ha fatto per anni: cercare di abbattere l’avversario per via giudiziaria, in questo caso amministrativa. Com’è finita si sa, a conferma di quanto scritto da Concita De Gregorio su Repubblica (e per questo è stata perculata da Gustavo Bialetti su questo giornale): «Il ciclo dell’indignazione giudiziaria si è esaurito». Ovvero: speculare sulle inchieste non porta consensi. A Bari ha vinto Vito Leccese, in precedenza capo di gabinetto di Decaro. Che, nel frattempo, è stato eletto al Parlamento europeo, con mezzo milione di preferenze. Così come Marco Bucci è diventato governatore della Liguria a suon di voti, prendendo il posto di Giovanni Toti, dimissionario per le note vicende con successivo patteggiamento. Ma, attenzione. Negli stessi giorni della furibonda polemica «negroamara», il 23 aprile il Consiglio dei ministri delibera lo scioglimento del Consiglio comunale di Tropea con sindaco Giovanni Macrì di Forza Italia, in quanto non impermeabile alla ‘ndrangheta. Già così la tesi per cui Giorgia Meloni e Piantedosi volevano colpire la sinistra in Puglia, non regge alla controprova: nei confronti di un’amministrazione di centrodestra si è approdati al commissariamento.Si chiedeva Tiziana Maiolo su Il dubbio del 25 aprile: «Chissà se Decaro esprimerà solidarietà a Macrì. Che, non essendo un uomo di sinistra, non ha la pretesa della sacralità antimafiosa e dell’immunità personale e di partito». La vicenda di Tropea, rinomata località turistica conosciuta anche all’estero, riveste tuttavia un preoccupante carattere specifico. Macrì presenta ricorso contestando tutti gli episodi che testimonierebbero la «colleganza». E qui c’è la «perla» su cui Leonardo Sciascia e Andrea Camilleri avrebbero imbastito uno dei loro strepitosi racconti, al di là di precedenti giurisprudenziali, norme, codicilli e Tuel, il testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.L’Avvocatura dello Stato, con una memoria difensiva per la presidenza della Repubblica, il governo, il ministero dell’Interno e la prefettura di Vibo Valentia, confuta la puntigliosa replica di Macrì. Con le seguenti parole: «L’univocità, rilevanza e concretezza degli elementi sintomatici del pericolo di condizionamento dell’apparato locale alla criminalità organizzata appaiono tali da resistere alle doglianze avversarie strumentalmente tese a smontare, in chiave atomistica, gli episodi enucleati dall’amministrazione e a ridimensionare la portata indiziaria di ciascuno degli aspetti evidenziati, senza riuscire tuttavia ad inficiare l’impressione complessiva di un Comune indubbiamente esposto all’illegalità e al condizionamento criminale, alla luce dell’applicazione del criterio del “più probabile che non”». Tradotto dall’assiro-burocratese: «Il ricorso del sindaco, teso a smontare in modo pignolo - sminuendo gli indizi raccolti - il puzzle messo insieme dagli organi competenti, non riesce a eliminare l’impressione di un Comune senza dubbio infiltrato dalla ‘ndrangheta, sulla base di un principio probabilistico». Incredibile. In base a quello che appare un teorema, «dove c’è criminalità è più probabile che le amministrazioni siano infiltrate, piuttosto che non», allora dovrebbero essere sciolti tutti quei Comuni che si trovano in aree ad alta densità criminale, quindi la quasi totalità di quelli al Sud, data la presenza quasi capillare di camorra, Sacra corona unita, ‘ndrangheta e mafia.Come se non bastasse, l’Avvocatura ha dalla sua una pronuncia, per me altrettanto spiazzante, del Consiglio di Stato del 22 settembre 2020: «Idonee a costituire presupposto di uno scioglimento sono anche situazioni che - di per sé - non rivelano direttamente, né lasciano presumere, l’intenzione degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata». Peggio mi sento. Siamo al comma 22. I fatti «di per sé» non contano. Rileva «il contesto», titolo appunto di un romanzo di Sciascia. E tanti saluti alla «certezza del diritto» se episodi che non dimostrano l’intenzione di favorire il crimine organizzato, diventano comunque possibili presupposti della «complicità» con esso.In attesa di conoscere se il ricorso di Macrì sarà accolto o meno (l’udienza è fissata per l’8 gennaio 2025 davanti al Tar del Lazio) - essendo io garantista «fino a prova contraria» ma, soprattutto, orgoglioso figlio di un calabro - ricordo ciò che dovrebbe essere pacifico: se è vero che tutti gli ndranghetisti sono calabresi, non tutti i calabresi sono ndranghetisti. Nonostante il contesto.
Crollano le forniture di rame, mercato in deficit. Trump annuncia: l’India non comprerà più petrolio russo. Bruxelles mette i dazi sull’acciaio, Bruegel frena. Cina e India litigano per l’acqua del Tibet.
Elly Schlein (Imagoeconomica)