2020-09-17
Trieste e Taranto, cinesi nella lista nera Usa
Xi Jinping e Sergio Mattarella (Ansa)
Il Dipartimento di Stato ha messo al bando la più grande impresa del Dragone, la Cccc, che ha in progetto una partnership con il porto adriatico ed è anche interessata allo scalo ionico. Per il governo tenere i piedi in due staffe sarà sempre più difficile.A fine mese il Segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, dopo aver fatto visita al Vaticano incontrerà più di un rappresentante del nostro governo. Per annunciare il suo sbarco a Roma ha recapitato un messaggio potenzialmente devastante per gli accordi siglati tra Italia e Pechino sulla Via della seta. Come più volte è stato scritto, il perno principale della strategia di espansione cinese si muove attorno alla portualità. La Penisola è al centro del Mediterraneo e quindi per definizione una leva logistica verso il Nord Europa fondamentale per dare input alla Via della seta stessa. Il Dipartimento di Stato americano ha messo al bando la più grande impresa del Dragone, La China communication construction company. Detta anche Cccc. Il colosso ha firmato con il presidente dell'autorità portuale di Trieste un memorandum meno di un anno fa. Dentro l'accordo la possibilità di sviluppare lo scalo in partnership, una joint venture in Slovacchia e un canale preferenziale per esportare il nostro vino all'ombra della muraglia. Non a caso la firma del documento è avvenuta a Shanghai alla presenza di Zeno D'Agostino, il presidente del porto, e Luigi Di Maio che per l'occasione ha lodato le reciproche sinergie. Solo che adesso quella stessa controparte per gli Stati Uniti è da mettere al bando.Le aziende americane che operano e lavorano con Cccc avranno bisogno di permessi speciali. Sicuramente gli Usa imporranno le medesime clausole anche ad altre nazioni. Tradotto: pure all'Italia. Intervistato dal Piccolo, D'Agostino fino a ora grande sostenitore dei cinesi, grazie anche all'approvazione del ministero dei Trasporti e soprattutto della filiera piddina che da sempre si occupa di autorità portuali, ha detto che spetta a Roma dire chi sia strategico oppure no. E prima di rompere con Cccc bisogna che sia il governo italiano a dirlo. D'Agostino non ignora che Trieste gode di una zona franca eredità del Dopo guerra. Sa anche che pure gli americani conoscono le potenzialità di una zona franca all'estremità settentrionale dell'Adriatico. E i riflettori sono accesi. Il che significa che adesso la palla passa a Di Maio e al ministro Paola De Micheli, da cui dipendono i nostri scali portuali. I due dovranno affrontare il tema prima di quanto immaginino. Non solo perché Mike Pompeo è in arrivo in Italia, ma anche perché i segnali che la guerra non convenzionale tra Cina e Usa si stia incattivendo sono tanti. A cominciare dall'attenzione posta sulla questione del 5G, fino al recente rapporto su Taranto. Redatto dalla nostra intelligence, punta il dito su due aziende. Una è la turca Yilport e l'altra è ancora una volta Cccc. Nel caso pugliese, il colosso di Pechino sarebbe interessato a convincere l'azienda a fare una sorta di portage. Altra ipotesi che agli Stati Uniti non piacerebbe molto. Da fine agosto le entità governative americane non fanno acquisti da fornitori che utilizzano un certo tipo di tecnologia cinese - per capirsi Huawei e Zte - e ciò dovrebbe far capire alla politica romana che tenere i piedi in due staffe sarà sempre più difficile. Vale per i porti, le infrastrutture e soprattutto le reti Web. Il nostro Paese a differenza della Gran Bretagna, non ha bandito la tecnologia di Pechino, anzi come più volte abbiamo scritto noi de La Verità, il Dpcm del 7 agosto scorso (con cui è stato autorizzato un contratto tra Tim e Huawei) solo apparentemente mostra la faccia cattiva con Pechino, in realtà apre le porte alla collaborazione con le nostre Tlc. E pure su questo tema rischiano in futuro di arrivare sberle a stelle e strisce. La nascita della rete unica in Italia imporrà un ruolo strategico e pure operativo a Cdp. Cassa controlla anche Cdp reti. Il 35% è stato acquistato anni fa da una controllata di China State Grid. A quanto risulta a La Verità , così come è accaduto a Cccc, pure il colosso cinese della tramissione elettrica potrebbe finire falciato dalla spada di Mike Pompeo. In fondo basta che partecipi a un progetto infrastrutturale considerato dal Dipartimento Usa «espansionistico». Se China State Grid dovesse finire nella black list, a quel punto la società guidata da Fabrizio Palermo si troverebbe con una patata bollente tra le mani. Innanzitutto, salterebbe la riorganizzazione delle società prodromica alla rete unica e - ma questo avverrebbe solo in caso di guerra aperta con gli Usa - la messa al bando americana potrebbe avere anche ricadute sul lato finanziario. E i fondi Usa che comprano bond della Cassa non sono pochi. Tale scenario sembra più una minaccia che qualcosa che si possa effettivamente realizzare. D'altronde il soprannome di Big Mike non vale solo per la stazza ma anche per l'aggressività politica che il braccio destro di Donald Trump mostra in giro per il mondo. Per il momento c'è già tanto di cui preoccuparsi anche solo per il porto di Trieste. Basti pensare che uno dei primi effetti dalla pace siglata tra Dubai e Gerusalemme (promossa da Trump) è il rilancio del porto di Haifa. Stop alle aziende cinesi e partnership con quelle emiratine con grande soddisfazione della Casa Bianca.
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco