2024-12-17
La Treccani si tuffa sul «rispetto». Ma la parola ormai è senza significato
È vocabolo dell’anno, che il buonismo woke ha svuotato di senso. In primis perché non siamo tutti uguali, il Della Casa insegna.«L’atteso non si compie, e all’inatteso un dio apre la via», parola di Euripide, venticinque secoli fa. Vorrei conoscere il dio che ha ispirato Valeria Della Valle e Giuseppe Patota, condirettori del Vocabolario Treccani, a designare il «rispetto» come parola dell’anno. Per stare al passo coi tempi hanno dovuto però motivare la loro opzione con affermazioni politicamente corrette che la rendono un po’ meno sincera e coraggiosa. Scrivono che rispetto va tenuto, si potrebbe dire nel massimo rispetto, «tanto più oggi in cui la mancanza di rispetto è alla base della violenza esercitata quotidianamente nei confronti delle donne, delle minoranze, delle istituzioni, della natura e del mondo animale». Sia consentito a un modestissimo autore di due volumi sul Galateo (GalaTime e GalaTime atto secondo, Maretti Editore) scritti con Petra Carsetti che è la vera maestra di Galateo, di dissentire da questa motivazione che circoscrive il rispetto a mera indicazione politica estratta dalla cronaca. Rispetto non è la parola dell’anno, ma è la prima radice della nostra identità etnica e culturale se ammettiamo che siamo figli del cristianesimo e prima ancora della filosofia dei primordi. Basterebbe ricordarsi come Socrate risponde a Critone che gli propone di corrompere le guardie per liberarlo dalla condanna: «Se io accogliessi il tuo invito decreterei che la cosa più importante è vivere, ma la cosa più importante è invece vivere bene e significa condursi con onestà e giustizia». Sarà poi Gesù di Nazareth a spiegare agli uomini che all’offesa si risponde porgendo l’altra guancia e che si deve a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio. Di certo leggendo l’Antico e il Nuovo Testamento troveremmo esempi a iosa d’invito al rispetto. Da qui partì monsignor Giovanni Della Casa nella stesura del suo manualetto (in forma di dialogo platonico) che ha titolo assai complesso: Trattato nel quale sotto la persona d’un vecchio idiota ammaestrante un suo giovanetto, si ragiona de modi, che si debbono o tenere, o schifare nella comune conversatione, cognominato Galatheo overo de costumi. Gli stessi Valeria Della Valle e Giuseppe Patota nell’indicare l’estrema attualità del rispetto pongono questo accento educativo: «Dovrebbe essere posta - questa parola - al centro di ogni progetto pedagogico, fin dalla prima infanzia». Viene un po’ di nostalgia a considerare che a partire da metà del Cinquecento con appunto il Galateo l’Italia ha il primato della didattica dei «buoni costumi». Il fatto è però che il Galateo ha una sua portata rivoluzionaria che mette in discussione tanto l’incultura woke quanto il politicamente corretto e la dilagante maleducazione che - dalla musica alla comunicazione passando per i social- è oggi considerata un valore aggiunto. Se si predica il rispetto come accezione del politicamente corretto se ne depotenzia l’effetto e lo si riduce a manifestazione esteriore; il rispetto implica il riconoscimento della diversità. Si è tutti in parità in quanto uomini, si hanno tutti i medesimi diritti, ma sommamente si hanno dei doveri e soprattutto non si è tutti uguali. Il Galateo stabilisce delle gerarchie anagrafiche (ecco il rispetto per gli anziani) di genere, di condizione fisica (i più deboli vanno protetti), il Galateo impone delle regole che non sono convenzioni, ma debbon diventare convinzioni e sarebbe interessante occuparsi del trattatello che fu prodromico alla stesura del Galateo. Il Della Casa lo intitola: De officiis inter tenuiores et potentiores amicos. Significa che le differenze vanno riconosciute, ma non debbono essere ostacolo alla relazione. Sarebbe sufficiente scorrere i trenta capitoletti del Galateo per definire e cosa sia il rispetto e come debba praticarsi. Ne prendo taluni: I buoni costumi sono utili alla società; Le azioni si devono fare non a proprio arbitrio, ma per il piacere di coloro con i quali si è in compagnia; Sul linguaggio da tenere durante la conversazione: chiarezza, onestà; Evitare parole sconce o dal doppio senso o le cerimonie fatte per tornaconto o per adulazione. Due precetti farebbero assai comodo ai politici e nella comunicazione: Prima di parlare bisogna sapere cosa dire - il tono della voce, scelta delle parole dal miglior suono e dal miglior significato; Lasciare che anche gli altri parlino - non interrompere qualcuno quando parla - il soverchio dire reca fastidio, il soverchio tacere odio. Infine: Il costume e la ragione sono i maestri per porre freno alla natura - l’educazione deve essere impartita fin nella più tenera età. Ed è qui che abbiamo peccato. Si ricorderà quanta polemica si sia fatta sul ripristino del voto in condotta. Del pari non è negando il presepe, o sostituendo Gesù con Cucù per non offendere i non cristiani che si costruisce il rispetto, non è evitando di prendere atto come insegna la Bibbia (Genesi 1-27) che «Dio creò l’uomo a sua immagine; li creò maschio e femmina» che si determina il rispetto. È educando al rispetto che si ottiene rispetto, è imponendo regole che si ottiene il rispetto. Il ministro dell’istruzione Giuseppe Valditara potrebbe istituire cattedre e lezioni di Galateo per produrre il rispetto del rispetto, sarebbe una rivoluzione. Come quella che produsse monsignor Della Casa in più ricordandosi del paradosso della tolleranza di Karl Popper: «L’eccessiva libertà non può trasformarsi che in eccessiva schiavitù». Perché rispetto e tolleranza non sono sinonimi, anzi per ottenere rispetto bisogna essere talvolta intolleranti. Sommamente verso la maleducazione.