2020-04-01
Tre miliardi per i senza contratto. Ma finora nessuno ha visto un euro
Il reddito di emergenza potrebbe andare a 10 milioni di persone. Silenzio sui tagli alle tasse. I dipendenti dovranno dare garanzie proprie per la cassa integrazione in anticipo. Di concreto ci sono solo le promesse.Sarebbe fin troppo facile parlare del cosiddetto «decreto aprile» ricordando che oggi è il primo aprile, il giorno dei proverbiali «pesci». Gli italiani non hanno alcuna voglia di scherzare, anche perché finora nessuno ha visto arrivare nemmeno un euro, eppure sembra prospettarsi un'altra volta l'ennesimo balletto di anticipazioni, veline, bozze destinato a trascinarsi fino all'immediata vigilia di Pasqua (realisticamente giovedì 9 o venerdì 10, certamente dopo l'Eurogruppo del 7 aprile), quando il governo dovrebbe varare il provvedimento. Secondo la linea di Roberto Gualtieri, diversa da quella di tutti gli altri Paesi, che hanno già deciso corposi interventi, il governo vuole prima un avallo Ue.Intanto, del provvedimento - fino a ora - non si sa nulla, ufficialmente. Primo. Non si sa che tipo di sospensioni fiscali verranno decise stavolta, essendo stata scaricata su giugno una grandinata di scadenze più quelle già esistenti (a cominciare dall'Imu). Sono sul tavolo le proposte delle opposizioni, ribadite ieri dalla Lega in una conferenza con Matteo Salvini, Alberto Bagnai e Claudio Durigon, a partire da quella di un «anno bianco»: ipotesi finora scartata dal governo, che ha mandato avanti il direttore dell'Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, di fatto per dichiararla a suo avviso non sostenibile. Ci sono proposte di mediazione: e cioè sospensione per un tempo ampio, con recupero spalmato successivamente nel tempo (ad esempio, fino a 120 rate), in modo da non strozzare nessuno. Anche qui, nessuna risposta. Il timore di molti è che Gualtieri voglia applicare il metodo già testato il 16 marzo: attendere l'ultimo minuto utile e contestualmente decidere il rinvio più circoscritto possibile, di fatto costringendo molti - nel dubbio - a pagare. Secondo. Si prepara una maxi beffa per gli autonomi. Su diversi media, per tutta la giornata di ieri, veline governative accompagnate da relativa grancassa annunciavano che i 600 euro di marzo diventerebbero 800 ad aprile. Peccato che dei primi 600 nessuno abbia ancora visto nulla. E che, per questa seconda tranche, il viceministro Antonio Misiani abbia parlato di maggiore «selettività». La sensazione è che sarà allargata la prova diabolica richiesta ai professionisti: quella di dimostrare di avere avuto una significativa perdita di fatturato nel primo trimestre. Cosa che già di per sé è difficile: ma anche un bambino comprende che, per moltissimi autonomi e partite Iva, il dramma è e sarà proprio il secondo trimestre di questo 2020. Terzo. Gran discussione intorno al famoso «reddito di emergenza», che dovrebbe scattare come rete di protezione anche per chi è in condizione di «nero» o di «grigio», come curiosamente continuano a dire - quasi si trattasse di una cosa normale e naturale - gli uomini della maggioranza. C'è almeno da sperare che - contestualmente - scatti anche l'obbligo di emersione, di aprire una partita Iva, in modo di uscire dal nero.Intanto, si discute su come dovrebbe essere erogato questo «mini reddito»: i grillini insistono per collegarlo in qualche modo al reddito di cittadinanza (anche se il solo fatto che si pensi a un'altra misura dovrebbe farli riflettere sul fallimento della loro ricetta del 2018-2019), ma nel governo c'è chi spinge per replicare il meccanismo del coinvolgimento dei Comuni. Lo stesso meccanismo perverso della mancetta alimentare presentata sabato scorso da Giuseppe Conte: stanziare pochissimo, passare la patata bollente ai sindaci ed esporre loro al caos e alle proteste delle persone.Secondo le voci di queste ore, per questa misura dovrebbero essere stanziati circa 3 miliardi. E qui torna utile il paragone con il reddito di cittadinanza: a fine ottobre scorso, le domande (tra reddito e pensione di cittadinanza) furono più di 1 milione e mezzo, e quelle accolte circa 1 milione (per l'esattezza, 900.000 per il reddito di cittadinanza, e 120.000 per la pensione di cittadinanza). Stavolta, se si dispone di una cifra più che dimezzata (3 miliardi) rispetto al reddito di cittadinanza e occorre coprire una fascia almeno dieci volte più grande (10 milioni di persone, inclusi i 3 in nero), cosa esce fuori? Circa 300 euro teorici. Ma - lo ripetiamo ancora - si tratta di pure ipotesi e scenari, visto che al momento non c'è un solo elemento ufficiale al quale ci si possa riferire.Ed è evidente che, se il sistema è andato in crisi per misure molto più limitate, l'attuazione di un piano del genere è per lo meno una gigantesca incognita. Ecco dunque i tre elementi chiave, tutti in negativo: promesse, assenza (per ora) di qualunque erogazione, incognita organizzativa. Restando invece alle ultime 24 ore, un protocollo siglato tra l'Abi e le parti sociali attenua la questione dell'anticipo della cassaintegrazione, evitando l'attesa di due mesi di cui l'Inps ha solitamente bisogno per sbrigare la pratica. Tuttavia, a meno di novità, il lavoratore dovrà prestare garanzie proprie (non c'è garanzia pubblica, infatti) e ottenere un prestito fino a 1.400 euro per nove settimane.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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