2020-12-14
«Trattati da Regione canaglia per una fisima burocratica»
Parla il governatore abruzzese Marco Marsilio, dopo il braccio di ferro con lo Stato sulla zona arancione. «Governo lento sia a chiudere sia ad aprire: decide in base a numeri vecchi di un mese».L'Abruzzo è stato per due volte l'unica Regione rossa d'Italia. Dopo l'atto di forza del presidente, Marco Marsilio, che ha disposto il rientro in arancione, è partito un braccio di ferro con lo Stato: alla fine, il Tar dell'Aquila ha dato ragione a Roma. E l'Abruzzo è tornato rosso. Ma solo per un giorno: Roberto Speranza ha istituito, a decorrere da ieri, la zona arancione. Una «esibizione muscolare», la chiama il governatore, che l'ha sdegnato.Si aspettava che sarebbe finita così? Con il Tar che bocciava la sua ordinanza?«Poteva finire anche peggio».Ovvero?«Il Tar aveva ricevuto già mercoledì scorso l'impugnativa del governo. Invece, giovedì, ha respinto la richiesta di una decisione monocratica, senza ascoltare l'altra parte. E siamo arrivati a venerdì». Ed è successo l'inevitabile.«Il governo, venerdì, ha ritardato la cabina di regia, mettendo il presidente del Tar nella condizione di non sapere che il ministro Speranza aveva già predisposto il ritorno in zona arancione».Ma perché lei ha agito di sua iniziativa?«Io avevo sentito Speranza più volte. Sono stato anche al ministero».E allora?«Ho caldeggiato l'ipotesi di un rientro anticipato in zona arancione. Poi, in cabina di regia, è arrivata la relazione del nostro direttore del dipartimento Sanità, Claudio D'Amario».Con quale risultato?«Nessuno: la sera del 4 dicembre, il ministro ha confermato che saremmo rimasti in zona rossa almeno fino a ieri».Quindi, lamenta di essere rimasto inascoltato?«Hanno trattato l'Abruzzo come una Regione canaglia, che agisce in spregio delle regole e persino della vita. Ma se è per questo, io avevo istituito la zona rossa in anticipo».Ecco: qualcuno dice che, per evitare di passare da tifoso delle chiusure, lei abbia messo in piedi una sceneggiata.«Io non sono tifoso né delle chiusure né delle aperture».Come stanno le cose?«Rivendico il buon senso. E la facoltà di inasprire le misure quando la situazione peggiora e di allentarle quando migliora. Senza certi irrigidimenti burocratici».Condivide almeno il sistema delle zone colorate?«Oddio, le Regioni avevano un'altra idea...».Ovvero? Meglio differenziare per aree, che chiudere ovunque.«Nella prima fase, il lockdown nazionale è servito a tamponare i ritardi nelle misure di contenimento nelle aree più colpite. Ma da aprile, abbiamo avuto aree d'Italia a contagio zero. A quel punto, era diventato difficile giustificare le chiusure».In questa fase, invece?«Ora il contagio è uniforme. Forse avrebbe avuto senso tirare il freno a novembre, mettendo in sicurezza tutto il Paese, per poi riaprire a dicembre, lasciando liberi gli italiani a Natale e facendo ripartire il turismo invernale».Torniamo al braccio di ferro con il governo. È giusto che possiate decidere in autonomia solo ulteriori restrizioni, ma per allentare i divieti dobbiate chiedere permesso al ministero?«Si comportano come se le Regioni fossero abbastanza intelligenti da capire i pericoli, ma troppo stupide per decidere se la situazione è migliorata. È un criterio senza fondamenti costituzionali».In questi mesi, le attribuzioni sono state chiare? A volte è parso che il governo centralizzasse le decisioni, per poi scaricare sulle Regioni le colpe degli errori.«È successo molte volte, sì. Peraltro, nella prima fase, il governo non è stato reattivo nemmeno quando le Regioni chiedevano di chiudere».A che allude?«A marzo avevo ravvisato la necessità di istituire alcune zone rosse. Quando chiesi al governo le ordinanze ministeriali, mi furono negate. Anzi, mi chiesero più volte di non fare nulla».Davvero?«È andata così. Alla fine, poiché mi arrivavano le relazioni delle Asl, ho dovuto pensarci io, contro il parere del governo».Che però non impugnò nulla.«No, anzi. Poco dopo cambiò la regole e autorizzò le Regioni ad adottare misure restrittive. Passato un altro po' di tempo, consentirono anche gli allentamenti».A ridosso dell'estate.«Così è cominciata la stagione dei protocolli. E quello ha fatto molto comodo al governo».Perché?«Perché loro non erano stati in grado di varare protocolli di sicurezza adeguati. L'hanno fatto le Regioni, perché altrimenti non avremmo riaperto nemmeno gli stabilimenti balneari. Sarebbe stato un danno economico enorme». E poi?«A Ferragosto, se la sono presa con noi, per quattro discoteche non in regola».Hanno detto che non eravate autorizzati a riaprirle.«I protocolli erano il risultato di un'intesa tra 21 Regioni. Ci si riempie la bocca di “unità nazionale", “coesione"... Non era, quella, una forma di collaborazione da incoraggiare?».Sulle discoteche, dunque, non avete responsabilità?«Responsabilità? Ci siamo assunti quella di far ripartire il Paese. Altro che irresponsabili. Al contrario, certi ministri non firmano le carte per paura delle conseguenze penali».E i controlli?«I controlli spettano allo Stato, tramite le forze dell'ordine, e ai Comuni, tramite la polizia municipale. Bastava dare un segnale, agendo sulle poche realtà fuori norma: qualche locale in Sardegna, sulla riviera romagnola e in Puglia».In buona sostanza, i ministri Francesco Boccia e Speranza, impugnando la sua ordinanza, hanno semplicemente voluto far vedere chi comanda?«Un'esibizione muscolare. Il messaggio era questo: Marco, se te la facciamo passare liscia, ognuno farà quello che vuole. Il punto è che hanno la fisima della permanenza in una certa fascia per 21 giorni».L'Abruzzo ha un Rt inferiore ad alcune Regioni gialle, come Puglia ed Emilia Romagna. Lo screening di massa all'Aquila ha rivelato 54 positivi su oltre 23.000 tamponi. Qual era il parametro che vi metteva in difficoltà? I posti letto?«Sì, siamo sopra la soglia di sicurezza, ma certe Regioni, che nel frattempo sono passate al giallo, hanno dieci o venti punti percentuali in più di saturazione negli ospedali».Come sta evolvendo la situazione?«Migliora rapidamente. S'è più che dimezzato il numero dei contagiati, è quadruplicato quello dei guariti, sono calati i ricoveri. Perciò dico che la regola dei 21 giorni è solo una fissazione burocratica. Serve più duttilità: bastava che il ministro prendesse atto dei numeri».Ma perché parla di 21 giorni? Non sono 14?«Per come il ministro applica la norma, non c'è alcuna possibilità di restare in una certa zona per due settimane».C'è qualche doppiopesismo rispetto alle Regioni di sinistra?«Non mi avventuro in simili letture: Speranza ha litigato anche con presidenti della sua maggioranza. La questione riguarda una incomprensibile rigidità nell'applicazione delle regole, in entrambi i sensi».Si spieghi.«Se per la zona rossa avessi aspettato il governo, avrei perso cinque giorni».Quindi, il governo è lento a chiudere e lento a riaprire?«Esatto, perché il Cts e il ministero analizzano dati che sono vecchi di una settimana. Se ci aggiunge la fissazione dei 21 giorni, capisce che io sabato ho avuto l'Abruzzo rosso in virtù di dati di quasi un mese prima».Domenico Arcuri ha accusato le Regioni di avergli fatto arrivare in ritardo il piano per la riorganizzazione degli ospedali. Aveva ragione?«Il nostro era pronto a inizio agosto. Tanto che Arcuri, a me, aveva pure confidato che avevo ragione a protestare».Cos'è successo, allora?«Il commissario ha dovuto smontare i piani di alcune Regioni, che il ministero aveva approvato anche se prevedevano fino a tre anni di durata dei lavori. Chiaramente, essendo il Paese in emergenza, era assurdo».Com'è andata a finire?«Che a me, la delega per far partire i bandi, è arrivata solo l'8 di ottobre. Nonostante questo, siamo riusciti a far partire tutti i cantieri ed entro metà gennaio avremo altri 66 posi di terapia intensiva».E i medici?«La penuria c'è sempre: sul personale specializzato, non puoi colmare in pochi mesi un gap decennale. Difatti, facciamo fatica persino a spendere i soldi che ci hanno dato per il personale, mentre per altre voci di spesa, come quelle per le sanificazioni o i medicinali specifici per i malati di Covid, non abbiamo rimborsi».La preoccupa la riapertura delle scuole, a gennaio?«Sì. Il nostro comitato tecnico regionale ci aveva chiesto di chiudere gli istituti di ogni ordine e grado. Non l'abbiamo potuto fare, per le famiglie sarebbe stato un disastro».Come vi regolerete?«Adesso abbiamo messo in atto gli screening di massa. Poi, punteremo sui test rapidi alle superiori, quando riapriranno».In conclusione: per la zona gialla, quanto dovranno aspettare i cittadini abruzzesi?«Già oggi siamo molto vicini a valori da zona gialla. Se il trend continua nei prossimi dieci giorni, riaprirò l'interlocuzione con il ministero».Per anticipare la riapertura?«Almeno per riconoscere la decorrenza della zona arancione dall'8 dicembre, anziché da ieri».