2021-04-20
Trasporto, tamponi, aule da areare. La scuola teme una falsa ripartenza
Daniele Franco (Ansa/iStock)
Stanziati 309 milioni per i bus, però per i presidi «gli effetti non si vedono». C'è l'ipotesi di ingressi scaglionati. Mancano protocolli sulla ventilazione, irrealizzabili i test di massa. Patrizio Bianchi glissa: «Affronteremo i problemi».La leader di Fdi dopo il colloquio con l'esecutivo: «Nessuno ci ha illustrato il piano, così il Parlamento finirà ai margini». Matteo Renzi lusinga il premier e Daniele Franco: «Ottimo confronto».Lo speciale contiene due articoli.Un rientro a scuola molto complicato. Mancano pochi giorni al 26 aprile, quando gli studenti delle zone gialle e arancioni torneranno tutti in presenza (solo al 50% nelle superiori delle Regioni in rosso, ormai davvero poche), ma se il governo non lavora in fretta al nuovo decreto legge rischiamo di trovarci nella stessa situazione dello scorso settembre. Senza banchi a rotelle, per la fortuna degli istituti che non li hanno voluti e con la rabbia di chi ha dovuto disfarsene in quanto dannosi per la schiena dei ragazzi, però con tanti problemi ancora irrisolti. Il ministro dell'Istruzione, Patrizio Bianchi, sta preparando una circolare che dopo il dl preciserà alle scuole che cosa è possibile fare per evitare assembramenti, ovvero ingressi scaglionati, ore da 50 minuti, didattica digitare integrata, turnazione. Gli stessi modelli organizzativi che erano previsti anche a inizio anno scolastico, però scarsamente applicati. Ora si pretende di trovare soluzioni a meno di una settimana dalla riapertura. Preoccupano sempre i trasporti, troppo affollati, un tema che riguarda soprattutto gli alunni delle superiori. Il premier Mario Draghi ricorda che sono già stati stanziati 390 milioni di euro per aumentare il numero dei bus, «ma quando ne vedremo gli effetti?» è la prima domanda che pone Antonello Giannelli, presidente dell'Anp, l'Associazione nazionale presidi. Alla Verità il presidente della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga, ha ribadito che «occorre differenziare molto gli orari di entrata negli istituti». «C'è un limite fisiologico rappresentato dal numero insufficiente di bus», aggiunge Fedriga, che assieme a Upi e Anci ha chiesto un incontro al governo per rivedere gli orari scolastici perché «servono anni e non mesi per ordinare nuovi mezzi». Sulla stessa linea il governatore del Veneto, Luca Zaia, fa presente che solo nella sua Regione servirebbero un migliaio di pullman in più. «Portando la didattica in presenza al 100% da lunedì prossimo, la norma dice che il bus deve restare riempito al 50%», ha detto ieri in conferenza stampa, quindi «bisogna raddoppiare la dotazione». Poiché è molto difficile che si riesca, il presidente leghista vede come possibili soluzioni «lo scaglionamento di arrivo degli studenti con turni a orari sfalsati, oppure rendere facoltativa da parte dei genitori la scelta di far fare la Dad ai figli, oppure ridurre la percentuale in presenza arrivando magari al 75%». Nell'incontro di oggi tra governo e Regioni si discuterà proprio di ingressi scaglionati o di aumento della capienza consentita sui mezzi. C'è poi la questione assembramento. «Se si torna al 100% in molte aule non sarà possibile rispettare il metro di distanziamento», osserva Giannelli, ma il Cts di cui si aspetta il parere non è favorevole alla riduzione della distanza minima. «Da mesi chiediamo che vengano rivisti i criteri delle formazioni delle classi con un massimo di 20 alunni, la creazione di spazi per le scuole dove poter fare didattica, una anagrafe degli edifici scolastici il tracciamento dei contatti, tamponi ripetuti: tutto è rimasto senza risposta», protesta Mario Rusconi, presidente Anp Lazio. Insegnanti, docenti e sindacati chiedono l'aggiornamento del protocollo di sicurezza fermo all'estate scorsa. Non si tratta solo di mascherine obbligatorie dai 6 anni in su, distanze, lavaggio delle mani, ma anche di dotare le scuole di impianti di ventilazione controllata, che assicurano il ricambio d'aria e riducono del 99,6% la concentrazione delle particelle infette. Inoltre, servono a climatizzare gli edifici. La semplice apertura delle finestre non basta a mettere in sicurezza le aule, gli esperti lo ripetono e non vengono ascoltati perché i 150 milioni stanziati dal decreto Sostegni servono anche per comprare mascherine, gel e termoscanner, non solo nuovi impianti. Tra le incognite ci sono i tamponi, che dovrebbero aiutare a tracciare i positivi. L'immunologo Sergio Abrignani ha dichiarato alla Repubblica che immunità dei docenti e «un programma di test salivari rapidi sugli studenti renderanno la scuola ancora più sicura», ma lo screening ovunque con i test rapidi appare irrealizzabile in tempi brevi, per i costi e la mancanza di personale. Più probabile un monitoraggio attraverso gruppi di alunni, ipotesi alla quale starebbe lavorando il ministero della Salute. I sindacati hanno chiesto il completamento delle vaccinazioni dei docenti e nell'incontro di ieri a viale Trastevere si è discusso anche di esami di Stato e reclutamento insegnanti. Luca Vessio, precario pugliese di 39 anni, ha scritto al ministro Bianchi: «Il buon senso oggi chiederebbe l'abilitazione automatica e l'assunzione di tutti coloro che hanno superato il concorso straordinario fino ad esaurimento cattedre, e solo dopo attingere dalla graduatoria dell'ordinario». Il ministro, in un videomessaggio per l'avvio della Settimana civica, ha detto che «bisogna educarsi a vivere insieme», dimenticando di aggiungere che se i ragazzi non possono andare a scuola in sicurezza, non torneranno a vivere insieme. E sulle incognite resta vago: la scuola in presenza «è un segno importante, affronteremo i problemi». Quando?<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/trasporto-tamponi-aule-da-areare-la-scuola-teme-una-falsa-ripartenza-2652636815.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="meloni-azzanna-draghi-sul-recovery" data-post-id="2652636815" data-published-at="1618858631" data-use-pagination="False"> Meloni azzanna Draghi sul Recovery Difficilmente basteranno gli incontri ufficiali per risolvere i nodi politici più scottanti sulla governance del Recovery plan. Detto questo, con i faccia a faccia di ieri con Fdi e Italia viva, Mario Draghi ha praticamente concluso il giro di consultazioni a Palazzo Chigi con le forze politiche (oggi è la volta di Leu), prima di passare alle parti sociali, per poi licenziare nel cdm la sua versione del Pnrr e illustrarla alle Camere il 26 e 27 aprile. Sarà in quel frangente, a ridosso della scadenza del 30 aprile (che il premier continua a dire di voler rispettare) entro cui inviare il piano a Bruxelles, che anche le perplessità dei partiti di maggioranza verranno a galla, dopo quelle espresse in maniera energica da Giorgia Meloni dal fronte dell'opposizione. Perché il problema, a quanto pare, è che nell'architettura immaginata dall'ex-presidente della Bce per gestire e smistare i fondi del Recovery, in cima a tutto ci sarebbe un supercomitato formato interamente da ministri tecnici (Daniele Franco, Vittorio Colao, Roberto Cingolani ed Enrico Giovannini), con il rischio concreto che i partiti non tocchino palla per tutta la durata della partita. E visto che la levata di scudi contro task force e tecnici vari è stata alla base del tonfo del Conte bis, sarà necessario su questo trovare una quadra che salvi la coerenza e non urti la suscettibilità del Parlamento. Ma che l'esecutivo sia in ritardo, che il Parlamento rischi di avere un ruolo ornamentale e che la strada sia tutt'altro che agevole lo ha fatto capire, come accennato, la leader di Fdi, Giorgia Meloni, alla fine dell'incontro (durato circa un'ora e mezza) con Draghi. «Ad oggi», ha rivelato la Meloni, «noi non conosciamo il Pnrr del governo, che non ha ritenuto di illustrare il piano e ha piuttosto chiesto le nostre proposte. In teoria il Pnrr va presentato entro il 30 di aprile, il presidente Draghi verrà in Aula il 26 aprile, quindi quattro giorni prima. Il rischio che il Parlamento e segnatamente l'opposizione non abbiano la possibilità di giudicare questo piano», ha proseguito, «e di dire la propria, nei tempi e nei modi che una Repubblica parlamentare richiede, è molto alti. Temo che ci sia stato confermato che il ruolo del Parlamento in questa vicenda sarà molto marginale e questa è una cosa che noi non ci sentiamo di avallare e sostenere». «Abbiamo chiesto», ha detto ancora, «di avere tempi giusti per poter valutare il piano nel suo complesso e poi fare le nostre proposte». Altro tema che non poteva essere eluso nell'incontro, quello delle modalità delle riaperture, sulle quali pendono ancora numerose incertezze e incongruenze denunciate dagli stessi lavoratori interessati: «Serve un cambio di paradigma», ha detto Giorgia Meloni, «rispetto a quello che abbiamo visto fino a oggi. Nelle prerogative di un governo c'è stabilire i modelli e le regole comportamentali per fermare il contagio, non stabilire se e quando un cittadino deve uscire di casa o aprire o chiudere un'attività. Non si può consentire che il governo decida delle libertà fondamentali delle persone». Comprensibilmente diversi i toni usati da Matteo Renzi, al termine dell'incontro con il premier: il leader di Iv, in un tweet, ha parlato di «ottimo confronto» e di «vera svolta su vaccini, piano di rilancio e credibilità internazionale dell'Italia».
Nucleare sì, nucleare no? Ne parliamo con Giovanni Brussato, ingegnere esperto di energia e materiali critici che ci spiega come il nucleare risolverebbe tutti i problemi dell'approvvigionamento energetico. Ma adesso serve la volontà politica per ripartire.