2023-08-08
Transizione imposta a colpi di sentenze. Le madamine svizzere fan causa al governo
Il «Ny Times» gongola per un (vecchio) caso finito alla Corte dei diritti umani. E prevede: «Produrrà un effetto domino».Gli ingredienti per una bella zuppa «intersezionale» ci sono tutti: il cambiamento climatico, le donne attiviste, per di più anziane, per di più fragili. E i governi insensibili, machisti, capitalisti, che non proteggono le cittadine vulnerabili. La pietanza perfetta per nutrire le narrazioni ecofemministe del New York Times, il quale ha dedicato un ampio reportage al caso delle circa 2.400 signore over 64 svizzere, riunite nel gruppo KlimaSeniorinnen Schweiz, che hanno trascinato l’esecutivo elvetico dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo. La suprema autorità del Paese, non essendosi ancora spesa abbastanza per ridurre le emissioni climalteranti, le avrebbe infatti esposte a disagi e malanni: pericoli di colpi di calore, disturbi respiratori, oltre alla scocciatura di doversi tappare in casa nelle ore più torride della (ex) bella stagione. «Non si riesce a uscire, non si respira», lamenta una settantunenne, che dichiara di non sentirsi nemmeno più in condizione di svolgere le basilari faccende di casa, quando c’è la canicola. «Amavo l’estate», sospira un’altra, «e adesso ne sono minacciata». Pare di sentire l’attrice Giorgia Vasaperna, solo con una differenza che ammonta a una cinquantina di primavere. Una più afosa dell’altra, s’intende. Le protagoniste della rimostranza, alcune di lingua italiana, lamentano i picchi di temperatura raggiunti, a luglio, persino nelle località di montagna: oltre 36 gradi e mezzo, con una media del periodo intorno ai 15 gradi, uno in più del secolo XIX. Immancabili, poi, i dati sul repentino scioglimento dei ghiacciai alpini. Ce n’è abbastanza per tirare in ballo i diritti umani. Ed è questo a rendere davvero interessante la vicenda. Leggendo l’articolo del New York Times, si apprende che il procedimento legale, in realtà, era cominciato nel 2016, dinanzi ai tribunali locali, che hanno bocciato i ricorsi per carenza di elementi, convincendo l’associazione, nel 2020, a rivolgersi alla Corte Edu, dove sono già arrivati fascicoli simili dal Portogallo e dalla Francia. La domanda è: cosa spinge una delle principali testate americane a dilungarsi, con tre anni di ritardo, sulla storia tutto sommato marginale di un plotone di madamine svizzere ecologiste? Per trovare la logica, dobbiamo recuperare il report della sezione Onu che si occupa di ambiente, l’Unep, di cui vi abbiamo parlato sulla Verità qualche settimana fa. In quel documento si teorizza esplicitamente la necessità di consolidare un environamental rule of law, una sorta di «Stato di diritto ambientale», nel quale il vecchio «imperio della legge» viene integrato con un requisito fondamentale: tutti sotto la medesima legge, purché la legge diventi green. La prospettiva suggerita dalle Nazioni Unite è che «i governi e gli attori privati» siano sottoposti «a sempre più sfide e costretti a rendere conto» del loro operato, grazie a una valanga di cause intentate da singoli individui od organizzazioni. La mole dei procedimenti sta già crescendo a ritmi sostenuti: dagli 884 del 2017, ai 1.550 del 2020, ai 2.180 censiti il 31 dicembre 2022. Il progetto di fondo è chiaro: costringere gli Stati ad adottare politiche verdi a colpi di sentenze. Dove non dovessero arrivare i regolamenti europei o la Bidenomics, accompagnati da martellanti campagne mediatiche e sponsorizzati da giovani testimonial in ansia patologica per il futuro, arriveranno le toghe. E il grimaldello ideale sono proprio i diritti umani. Per due motivi: primo, le rivendicazioni formulate nel linguaggio dei bisogni essenziali delle persone trasformano immediatamente gli eventuali contestatori in persecutori privi di scrupoli e di pietà; secondo, quel pulsante attiva le corti internazionali, che scavalcano le giurisdizioni interne e possono scardinare le resistenze delle maggioranze recalcitranti. Lo ha capito bene una delle esperte citate dal giornale della Grande Mela, Annalisa Savaresi, dell’Università di Stirling, in Scozia: l’iniziativa delle signore svizzere, profetizza pertanto l’esperta, innescherà «un effetto domino». Non vi sfugge quale rischi di essere la vittima sacrificale della via giudiziaria alla transizione verde: non tanto il potere dei governi, quanto la centralità dei meccanismi democratici. È vero che un corpo elettorale non è autorizzato a perpetrare qualsiasi ingiustizia, solo perché ha dalla sua il consenso; è per questa ragione che molte costituzioni incorporano principi inviolabili, o che esistono organismi giudiziari sovranazionali, la cui funzione dovrebbe essere quella di sanzionare gli abusi. Ma è altrettanto vero che la fumosità dei caratteri che deve possedere una pretesa per diventare un diritto si presta ai facili trucchi di chi, dietro il velo dell’«umanità», cerca la scorciatoia per imporre un’agenda politica. In questo caso, le riforme ambientaliste, che di classi medie, coltivatori, e proprietari di immobili e auto, faranno carne di porco. D’altronde, i maiali inquinano.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)