2019-06-18
Totti fa il Cesare: «Mi hanno pugnalato»
L'icona giallorossa scarica la Roma in diretta tv: ammainata l'ultima bandiera. Con il suo addio l'annata 2019/2020 stravolge ogni certezza: lo juventinissimo Antonio Conte all'Inter, i bianconeri si ritrovano l'arcinemico Maurizio Sarri.Nelle bandiere soffiamoci il naso. Sarebbe l'ultimo gesto di ribellione nichilista nei confronti del potere della tradizione in uno sport che all'epica e alla retorica si abbevera tutte le mattine: il pallone. Noi lì a collezionare biografie di Garrincha e a darci martellate sugli zebedei per la garra charrua mentre l'ex capitano della Juventus (Antonio Conte), va ad allenare l'Inter e il nemico numero uno dei bianconeri (quel Maurizio Sarri che diceva «per avere un rigore serve la maglia a strisce») siede sulla panchina a strisce. Noi lì a cercare colonne sonore per sviolinare meglio sulle vite da mediano e un lunedì di giugno Francesco Totti decide di lasciare la Roma. Come se la Tour Eiffel decidesse di farsi una sgambata lontano da Parigi.Bisogna cominciare da lui, ultima bandiera strappata in un giorno senza vento. Lui che avrebbe giocato fino a 50 anni camminando e bruciando altri allenatori; lui che ha vissuto due stagioni da simbolo e da parafulmine; lui che alla fine voleva fare il manager ma si è accorto che il destino di un re di Roma è quello di stare seduto sul trono al fresco mentre comandano altri. Nella vita comandano sempre altri, in particolare coloro che detengono il pacchetto di maggioranza. Così Totti se ne va con una conferenza stampa nel Salone d'onore del Coni e una diretta su Rai 2 al posto di Squadra omicidi Istanbul, neanche fosse il premier Giuseppe Conte all'ultimo chilometro di governo. Ma c'è da capire la solennità perché questo è più di uno strappo, è violenza.«Tanti dirigenti hanno detto che sono troppo ingombrante per questa società, però non pensavo che un giorno avrei potuto dire: ciao Roma. Non ho mai avuto la possibilità operativa di lavorare nell'area tecnica della Roma, hanno ingaggiato l'allenatore e il direttore sportivo senza neppure chiamarmi. Mi hanno invitato a Londra due giorni prima quando avevano già deciso tutto». Totti avrebbe voluto sentirsi al centro della squadra a smistare palloni o consigli, come sempre. Ma il presidente James Pallotta e il consigliere da comodino Franco Baldini gli hanno fatto il cucchiaio: Paulo Fonseca in panchina e Gianluca Petrachi dietro la scrivania del direttore sportivo. Dopo l'addio di Daniele De Rossi a sua insaputa, per Totti è stato lo schiaffo finale. La conclusione della storia è molto amara: «Il pensiero fisso di alcune persone dall'inizio era uno, via i romani dalla Roma. Hanno ottenuto quello che volevano, gli americani ci hanno messi da parte. Qualcuno mi ha pugnalato dentro Trigoria. Avrò fatto dieci riunioni in due anni, se anche andasse via Baldini non tornerei. Il presidente deve cambiare rotta, se io avessi Totti e De Rossi gli darei in mano tutto. Pallotta invece si circonda di persone sbagliate e continua a farlo. Ma se sbaglio da otto anni me la farò una domanda?». Sulla questione allenatore fa sapere di avere parlato solo con Conte. Parlando del futuro, il vecchio vessillo torna a sventolare per un attimo: «Se un'altra proprietà della Roma mi chiamerà e crederà nelle mie potenzialità, io tornerò. Con più fiducia e più poteri. Nel frattempo da settembre passo a prendere De Rossi e andiamo a vedere la Roma in curva Sud».Giusto, quello è il posto delle sciarpe, dei bandieroni e delle promesse di amore eterno. Il resto è un luogo senza nome frequentato da gente strana, alla quale il tifoso fatica ad abituarsi. Per esempio Sarri alla Juventus. L'ex allenatore di Napoli e Chelsea non è ancora fisicamente sbarcato a Caselle che il web gli ha già dato il benvenuto con l'hashtag #SarriOut. Più che ambientale, la faccenda sembra psicanalitica e lo sconcerto dei sostenitori bianconeri dipende anche dall'immagine dell'allenatore in tuta acetata, fuori dagli schemi (se non in campo), di sinistra vera e non radical chic, esteticamente sempre all'opposizione, senza entrature vip: quintessenza di ciò che la real casa aborre. Ma c'è un precedente. Con Alberto Zaccheroni in panchina (analoga diffidenza politico-sociale) il Milan di Silvio Berlusconi vinse uno dei suoi più indimenticabili scudetti. Gli juventini - Andrea Agnelli in testa - volevano Pep Guardiola per dimenticare il pragmatismo di Max Allegri, provare a vincere la Champions divertendo e timbrare il cartellino del nono scudetto. Ma il catalano non si è mosso e si è limitato a smentire con asciutta noncuranza; il Manchester City ha avuto la forza di trattenerlo. Così l'affare è diventato un ballon d'essai corredato da deliri da calciomercato tipo: «Con Guardiola arriva Leo Messi con la benedizione dell'Adidas». I giorni passavano, il titolo in Borsa guadagnava il 30%, i siti e le tv locali la sparavano sempre più grossa. E a quel punto i tifosi, davanti al nome di Sarri, replicavano con un gesto scacciamosche. Aspettavano il messia, è arrivato il piano B. È il nemico toscanaccio che fa giocar bene e che una coppa in Europa l'ha pur sempre vinta. Due le conseguenze immediate alla notizia: rivolta silenziosa a Torino contro Pavel Nedved che lo avrebbe caldeggiato (Agnelli come tutte le divinità non si tocca), rivolta chiassosa a Napoli contro il Comandante che era una statuina del presepe dei ribelli e senza alcuna vergogna è finito alla corte dei Savoia. Massimiliano Gallo, autore di un documentario sul tecnico come simbolo di libertà - titolo Maurizio, il sarrismo, una meravigliosa anomalia - ha già annunciato che lo modificherà perché chi «ha propugnato l'attacco al palazzo è andato a lavorare nel palazzo». È un'estate così, senza ragione e senza pace, con le bandierine usate come fazzoletti stropicciati, destinata concludersi con Mauro Icardi in bianconero e Paulo Dybala in nerazzurro. La rivoluzione l'aveva cominciata Conte firmando per l'Inter e facendo cascare la mandibola nello stesso istante ai tifosi dell'Inter (che ne detestavano la juventinità col parrucchino) e a quelli della Juventus che volevano svellere la stella col nome del capitano dallo Stadium per alto tradimento. L'unico club che ancora sembra credere nei monumenti è il Milan. Ha silurato Gennaro Gattuso e Leonardo, ma ha confermato Paolo Maldini e ha convinto a tornare Zvone Boban, che non è solo una bandiera ma un fuoriclasse del pensiero. Temendo di essere fuori moda, i manager del fondo Elliott si sono allineati alla tendenza iconoclasta ingaggiando come allenatore Marco Giampaolo. Da sempre interista sfegatato.