
Respinto il ricorso del pm: cinque stranieri accusati di essere affiliati ad Al Qaeda, e per i quali è stato chiesto l'ergastolo, escono dal carcere. Ma il giudice avverte: «Sono pericolosi, parlano dello sceicco del terrore e dicono che bisogna ammazzare i bambini».Non torneranno in galera i cinque presunti jihadisti di Al Qaeda scarcerati nel dicembre scorso per decorrenza dei termini di custodia cautelare, e sotto processo a Sassari per terrorismo internazionale. La Cassazione ha respinto il ricorso del pm antimafia Danilo Tronci che aveva invano cercato di allungare la detenzione preventiva di altri sei mesi in vista della conclusione del dibattimento. Restano quindi in libertà, seppur sottoposti all'obbligo di dimora a Olbia, i pachistani Hafiz Muhammad Zulkifal, Sultan Wali Khan, Imitias Khanm, Siyar Khan, e l'afghano Yahya Ridi Khan. La Procura li ritiene a diverso livello inseriti in un sottogruppo, affiliato alla organizzazione di Osama Bin Laden, chiamato «I soldati degli amici del Profeta» che avrebbe portato a termine, tra il 2009 e il 2010, sanguinosi attentati in Pakistan. Atti di guerra contro il governo filo americano di Islamabad pianificati, però, in Italia. Ad Olbia, in particolare. Dove Sultan Wali Khan è conosciuto come un ricco e fortunato imprenditore. Per lui e per Imitias Khan, Siyar Khan e Yahya Ridi Khan, il pubblico ministero ha chiesto l'ergastolo. Invocate pene di rilevante entità anche per gli altri supposti complici rimasti dietro le sbarre: quattordici anni Muhammad Siddique e Ali Zubair; dodici anni per Ghani Sher; undici per Ul Haq Zaher; e sei anni per Shah Zubair. Solo per un imputato Niaz Mir è stata invece proposta l'assoluzione.La cellula ritenuta vicina ad Al Qaeda venne sgominata dalla Digos nel corso di un blitz del 24 aprile 2015 tra Olbia, Roma, Bergamo, Civitanova Marche, Sora e Foggia. Secondo gli inquirenti, oltre a ipotizzare un attacco in Vaticano, i presunti terroristi avrebbero programmato la strage del Meena Bazaar a Peshawar nella quale morirono 137 persone e oltre 300 rimasero ferite. Un'autobomba, imbottita di 150 chili di tritolo, saltò in aria nei pressi del mercato (era il 28 ottobre 2009) inaugurando una lunga serie di agguati. Nel corso della requisitoria, il pm Tronci ha riepilogato le manovre promosse dai pakistani per destabilizzare le istituzioni del loro Paese: sabotaggi di linee elettriche, un attentato a una scuola pubblica secondaria femminile, il sequestro e l'omicidio di ben quattro membri dell'apparato di sicurezza pakistana, e il lancio di un ordigno contro un'auto della polizia. Azioni rese possibili anche grazie ai finanziamenti trovati in Italia da Hafiz Muhammad, per il quale il pm ha chiesto 18 anni di carcere. Quest'ultimo ha ricoperto per un periodo il ruolo di imam in provincia di Bergamo. È accusato di aver dato voce e corpo a una propaganda «di stampo radicale volta all'indottrinamento dei fedeli, anche destinati al martirio». E di aver rastrellato «le risorse finanziarie per l'azione armata, attraverso raccolte fondi periodiche».Un filone d'indagine minore, comunque contestato nel corso del processo, riguarda anche il traffico di esseri umani e l'ingresso in Italia di centinaia di uomini e donne, senza permesso di soggiorno, e - temono gli investigatori - anche di soggetti radicalizzati. Viaggi pagati tra i 6.000 e i 7.000 euro a testa.«Parliamo di persone pericolose, spietate e senza scrupoli», ha detto nel corso dell'ultima udienza il magistrato inquirente. «Che dicono che bisogna ammazzare dei bambini. E lo dicono loro, ce lo riferiscono gli interpreti. Parlano spesso di Bin Laden, e vivono a 120 chilometri dal luogo in cui Osama è stato ucciso. Uomini che vengono accusati da più parti di essere terroristi. Lo stesso imam di Sassari, moderato, era risentito. Nelle intercettazioni diceva che ad Olbia si raccoglievano fondi per finanziare tutto questo». Una giovane parente di uno degli imputati, troppo presa dai costumi occidentali, sarebbe stata addirittura uccisa per punizione.Gran parte dell'ossatura probatoria è rappresentata dalle attività tecniche. «Alcune conversazioni intercettate facevano riferimento alla figura di Osama Bin Laden», ha spiegato ancora il pm. «Gli indagati parlano di spostamenti e viaggi ad Abbottabad». In una conversazione depositata agli atti, due discutono delle sue condizioni di salute e di una ferita alla gamba. In un'altra, un terzo interlocutore si lamenta perché il «principe del terrore» si sarebbe ritirato dalla battaglia.Nel corso del procedimento, anche il mistero della telefonata anonima, giunta all'avvocato Luca Tamponi, primo difensore di Sultan Khan, che denunciava un non meglio chiarito complotto ai danni degli indagati. Telefonata registrata e sentita in aula ma non acquisita dai giudici.
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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2025-09-17
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