2021-01-11
Toninelli e porti chiusi, cronaca di un’amnesia
Per 46 volte l'ex ministro grillino elude le domande delle autorità sul caso Gregoretti, sostenendo di non avere memoria dei fatti. Il colmo è quando gli chiedono del voto sull'autorizzazione a procedere contro Matteo Salvini: «Abbia pazienza, non ricordo d'aver votato». All'interrogatorio del procedimento Gregoretti, dove l'ex ministro dell'Interno Matteo Salvini, come nel caso Open Arms, è accusato di sequestro di persona, il giureconsulto già ufficiale di complemento dell'Arma dei carabinieri ed ex ministro dei Trasporti pentastellato, Danilo Toninelli, è stato colpito da amnesia totale. Le 46 risposte vaghe su 50 domande (scarse) probabilmente l'hanno pure graziato da conseguenze giudiziarie, ma sul piano politico consacrano una sonora bocciatura. Quando è entrato nell'aula bunker del carcere di Bicocca a Catania, il 12 dicembre 2020, mister «non ricordo» deve aver resettato la sua memoria da ministro sin dalla prima domanda che gli ha posto il giudice Nunzio Sarpietro sull'accordo di governo per contrastare l'immigrazione clandestina. Toninelli risponde con un «non ricordo». E argomenta: «La parte relativa all'immigrazione clandestina non era una parte che mi competeva». Il giudice ci riprova: «Ecco, su questo tentativo di cambiare l'approccio dell'Ue al fenomeno, lei ricorda se come nota esplicativa o come applicazione di questo contratto si parlò con particolare pregnanza della problematica della redistribuzione dei migranti che arrivano sulle coste italiane?». La risposta è secca: «Non ricordo». Eppure in quel momento la questione era al centro del dibattito politico. E lui stesso con la stampa si era intestato meriti per il calo degli ingressi clandestini. Poi, però, deve aver premuto il tasto «reset». Domanda: «Neanche quando ci sono stati i vari arrivi di navi Ong o navi militari, faccio gli esempi del caso Diciotti, Alan Kurd, Ocean Viking, Gregoretti, in Consiglio dei ministri si parlò di questa problematica?». Lui: «Non si parlò mai nello specifico». Il giudice allora gli chiede se si parlò di ridistribuzioni tra Paesi europei dei migranti. E lui risponde secco: «No. A mia memoria mai». «E tutti quei messaggi che arrivavano al ministero dei Trasporti e delle infrastrutture che fine facevano, dove si parlava anche di eventuale ridistribuzione? Lei non se n'è occupato?», chiede il giudice. Toninelli: «Non so di che messaggi stia parlando». L'audizione si fa anche più imbarazzante quando a porre le domande sono i difensori di parte civile. L'avvocato Antonio Feroleto, per esempio, chiede se tra il 25 e il 31 luglio, ovvero mentre la Gregoretti era in mare a largo di Catania, si fosse svolto un Consiglio dei ministri e se all'ordine del giorno ci fosse il tema della redistribuzione. Solita risposta: «Non ricordo, ma con quasi totale certezza le dico Consiglio dei ministri no, anzi certamente no, e no anche a telefonate (di Salvini ndr): nessun Cdm e nessuna interlocuzione». L'avvocato incalza: «Mi perdoni, il Cdm c'è stato, ma non se n'è parlato?». L'ex ministro: «No, non mi ricordo se c'è stato, abbia pazienza! Se c'è stato sono passati quasi due anni. Non c'è stato, non ricordo che ci sia stato ma, ripeto, quasi certamente non c'è stato alcun Cdm, anzi certamente non c'è stato un Cdm che abbia trattato l'argomento Gregoretti». Poi tocca al pubblico ministero. E dopo aver precisato che «risulta documentalmente che si svolge un solo Cdm, il 31 luglio», passa a una domanda su «precedenti interlocuzioni, formali o informali, relativi alla decisione di far precedere lo sbarco da interlocuzioni con gli altri governi europei?». Risposta: «Io non ho conoscenza del fatto di eventuali interlocuzioni politiche funzionali (...). Ma non devo esprimere opinioni in questa sede, io devo esprimere fatti che conosco». E quando il pm gli chiede se erano decisioni che prendeva Salvini o se, invece, erano condivise, la risposta di Toninelli è disarmante: «Io penso che dobbiate chiedere al diretto interessato. Io non ho contezza e la responsabilità politica si sostanzia in un atto formale. L'atto formale non c'è mai stato in un Cdm, se vuole una mia opinione io le do una opinione da cittadino». Ma Toninelli era un ministro della Repubblica in quel momento. E anche quando il pallino torna nelle mani del giudice il risultato non cambia. Toninelli vacilla perfino su atti che ha firmato: «Mi pare di sì, signor presidente, non ho memoria di tutto quello che ho fatto». Poi l'avvocato Giulia Bongiorno, che difende Salvini, lo sbugiarda, segnalandogli che aveva condiviso sul suo profilo Facebook un post di Giuseppe Conte accompagnandolo con questa frase: «L'Italia non ha mai voltato le spalle ad alcuna vita umana in pericolo. Ora tocca all'Europa dare una risposta forte e chiara». Ma siamo alle solite: «Evidentemente», dice Toninelli, «l'ho scritto, condivido pienamente quelle parole (...) ma è normale che non ricordo a distanza di due anni». La testimonianza va avanti così anche per Sea Watch. E per Open Arms. In quel caso firmò anche lui il divieto di accesso. E ci fu una richiesta di autorizzazione a procedere contro Salvini. L'avvocato chiede: «Ricorda come ha votato?». A quel punto viene fuori tutta l'inconsistenza politica di uno che sembra essere arrivato fare il ministro direttamente dai Vaffaday: «Non mi ricordo di avere votato, abbia pazienza. Non ricordo cosa ho votato». Ma emerge anche che con tutti questi «boh» non ricordo Toninelli stia fornendo l'alibi e la protezione ideale al premier Conte che così continua a evitare il passato gialloblù e tutte le scelte condivise con Salvini.
Laura Boldrini e Nancy Pelosi (Ansa)