2019-01-16
Togliatti salvato da una pallottola spuntata
Esce domani il libro di Stefano Zurlo che racconta uno degli episodi cardine del dopoguerra, l'attentato al segretario del Pci il 14 luglio 1948. E lo fa grazie alla testimonianza dell'uomo che sparò, Antonio Pallante: «Al mercato nero mi avevano venduto proiettili scadenti».«Sono un erede del Risorgimento». Mentre il questore voleva che firmasse un verbale nel quale motivava il suo gesto come una vendetta fascista, lui citava Cesare Battisti (quello vero), Amatore Sciesa, Enrico Toti, ma anche Charlotte Corday che uccise Jean Paul Marat per far finire il Terrore. «Non firmo, perché con quei quattro colpi di pistola io non intendevo vendicare i fascisti, ma tutti gli italiani». Antonio Pallante, che oggi è un arzillo nonno di 95 anni, ebbe la meglio: il funzionario modificò la deposizione ufficiale, la Storia si diresse da un'altra parte. Ma come spesso accade in Italia, una manina tentò di forzarla, infilando nel comodino della stanza a pensione dell'uomo una copia del Mein Kampf e facendola trovare ai carabinieri.Questo è solo uno degli aneddoti - dell'uragano di aneddoti e retroscena - che danno forma a Quattro colpi per Togliatti, scritto da Stefano Zurlo per l'editore Baldini+Castoldi e in uscita domani, libro che racconta con la velocità e la brillantezza del romanzo (l'autore è un formidabile cronista) uno degli episodi cardine del primo dopoguerra, l'attentato al segretario del Partito comunista compiuto il 14 luglio 1948. E lo fa grazie alla testimonianza dell'uomo che premette il grilletto. «Avevo 25 anni e ritenevo Palmiro Togliatti mandante di stragi di persone innocenti al Nord, nonché l'elemento più pericoloso per la vita politica italiana, che con la sua attività di agente di una potenza straniera impediva il risorgere della Patria». Ecco i tre giorni che non cambiarono la Storia, ma che ci andarono vicini. La copertina del libro raffigura una pistola, una Hopkins&Allen calibro 38 come quella comprata da Pallante al mercato nero di Bronte e usata la mattina del 14 luglio, la presa della Bastiglia, data simbolica per un gesto rivoluzionario sulla quale per settant'anni hanno ricamato gli storici. Qui Pallante sostiene con serena innocenza: «Nessun calcolo, l'ho visto quel giorno e ho sparato». Arriva davanti a Montecitorio e subito è colto dallo sconforto: troppa sicurezza, nessuna possibilità di raggiungere l'obiettivo. Poi gira l'angolo in via della Missione: nessuno, non un'anima viva. Altro classico italiano. Aspetta il giusto, la vita è fatta di coincidenze. Vede Togliatti uscire con Nilde Jotti sottobraccio e preme il grilletto quattro volte. «Sono un automa, un automa che spara. Un proiettile, forse il primo, colpisce un manifesto pubblicitario, il secondo centra Togliatti alla nuca. Il terzo raggiunge un polmone, il quarto una costola». Qui avviene un piccolo miracolo a cui perfino il Peppone Collettivo dell'epoca è costretto a credere: il proiettile destinato al cervello si schiaccia contro l'osso occipitale e si ferma, merito dei borsisti neri che avevano venduto al Pallante merce di scarto. Una pallottola spuntata, ma lui non lo sa. «Mi fermo e lascio cadere la rivoltella. Il quinto colpo resta nel tamburo, non ce n'è bisogno. Il capo dei comunisti italiani non c'è più, almeno nella mia mente». Pensa di averlo ucciso e, circondato da gente inferocita, rischia il linciaggio: lo salva il capitano dei carabinieri Antonio Perenze, che lo arresta e lo fa salire sulla sua camionetta. È lo stesso ufficiale che due anni dopo sarà protagonista della misteriosa morte del bandito Salvatore Giuliano. Come il Luciano Bianciardi salito a Milano per far saltare in aria il grattacielo Pirelli e vendicare 43 operai ammazzati in miniera in uno scoppio di grisou, anche Pallante arriva dalla provincia. Quello dalla Maremma, questo dalla Sicilia più rurale (oggi vive a Catania) dove aveva frequentato il seminario essendone espulso per avere preso a calci il rettore. I quattro colpi al Migliore portano il Paese sul ciglio di un'altra guerra civile: tre giorni di scioperi e rivolte con una trentina di morti, fino all'alt dello stesso Togliatti dal letto d'ospedale. Con gli americani ancora in casa non aveva alternative. Tutto finisce come sempre all'italiana: quel Quarantotto viene neutralizzato dall'impresa di Gino Bartali, «quel naso triste come una salita» definito sul viale del tramonto, che trionfa al Tour de France ed evita l'insurrezione. Nel libro si narra della telefonata di Alcide De Gasperi al campione, del clima dell'epoca, dei depistaggi e delle strumentalizzazioni. Fino alle lettere in carcere (condannato a 13 anni, Pallante ne sconta 5) di minacce e di plauso: la più clamorosa, con allegati 20.000 euro di oggi per un «eroe della libertà», è firmata Evita Peron. «Ricevo missive con foto di donne bellissime, pacchi di vestiti, bottiglie. Pensavo di essere un reietto e invece scopro di essere un patriota. Le mie idee hanno camminato sulle gambe degli italiani». Per lui si muove perfino Iosif Stalin, anche se in senso opposto: lo definisce «un criminale non degno di far parte del genere umano». Poi se la prende con i compagni italiani, che non sono riusciti a difendere Togliatti dal «vile attentato a tradimento» perpetrato da uno studente universitario fuori corso.