Dopo il boom dell’azionario nel 2020 e le prestazioni da incubo del 2021, gli analisti sono divisi. Pesano le incertezze legate al potere di Xi Jinping, il nodo Taiwan e i cambi di strategia su immobiliare e Covid.
Dopo il boom dell’azionario nel 2020 e le prestazioni da incubo del 2021, gli analisti sono divisi. Pesano le incertezze legate al potere di Xi Jinping, il nodo Taiwan e i cambi di strategia su immobiliare e Covid.La Cina resta uno dei maggiori punti di domanda per gli amanti dell’azionario. Nel 2020 è stata una delle migliori piazze, mentre l’anno scorso è stata fra le peggiori. Quello che è certo è che le opinioni sul futuro della Repubblica popolare sono state così contrapposte che gli strategist finanziari non sono riusciti a dare indicazioni chiare sul «miracolo» cinese. D’altronde l’andamento del mercato nell’ultimo anno è stato caratterizzato da diversi ostacoli. A partire dal rafforzamento del potere di Xi Jinping all’ultimo Congresso - che ha visto quasi il totale esautoramento della componente del Partito Comunista cinese più «mercatista» - fino alla difficile gestione del Covid, la crisi dell’immobiliare e un’economia che per tutti questi motivi marcia non più in modo trionfale come nel passato.A tutto ciò va unito il contesto geopolitico mutato con l’invasione della Russia in Ucraina e il crescente reshoring (il rientro delle aziende che in precedenza avevano delocalizzato) da parte di molte imprese occidentali, oltre al dossier Taiwan, sempre più spinoso e fonte di possibili crisi. Insomma, il mito dell’autorità forte e competente che per un decennio l’apparato di propaganda del Partito comunista cinese ha faticosamente costruito intorno a Xi Jinping si è incrinato.Lo stesso governo cinese sembra accusare il colpo con l’intenzione di modificare il tiro su alcune questioni. A partire dall’immobiliare, dove ha deciso di allentare le briglie e sostenere maggiormente il settore, visto che la situazione stava sfuggendo di mano con un numero di mutuatari che si rifiutavano di pagare i debiti. D’altronde «in Cina gli acquirenti tipicamente pagano a rate, mentre i loro condomini vengono costruiti, piuttosto che dopo la costruzione, essenzialmente dando agli sviluppatori prestiti anticipati senza interessi», ricorda Salvatore Gaziano, direttore investimenti di Soldiexpert Scf.Sul fronte Covid, poi, nelle ultime settimane la Cina ha iniziato a ritirare diverse delle misure anti pandemia più restrittive in tutto il Paese. L’amministrazione di Pechino ha annunciato che i test Covid negativi non saranno necessari per accedere alle aree pubbliche, con 20 città che hanno revocato le restrizioni di viaggio per autobus e metropolitane.Naturalmente, questa nuova apertura (favorevole per l’economia cinese) potrebbe avere, secondo alcuni esperti, un prezzo da pagare in futuro in un Paese con 1,4 miliardi di persone, bassi tassi di vaccinazione tra gli anziani e un’infrastruttura ospedaliera non adeguata. «Per i sostenitori dell’investimento in Cina questo mercato resta comunque interessante e il forte calo di quest’anno ne aumenta l’interesse, viste le valutazioni storicamente a sconto e il peso comunque forte che la Cina ha sull’economia mondiale», spiega Gaziano. «In questo quadro complesso, la nostra esposizione alla Cina resta comunque limitata», conclude, «anche considerato che diversi comparti e mercati offrono comunque buone valutazioni, ma in un contesto più trasparente»
La transizione energetica non è più un concetto astratto, ma una realtà che interroga aziende, governi e cittadini. Se ne è discusso al primo panel dell’evento de La Verità al Gallia di Milano, dedicato a «Opportunità, sviluppo e innovazione del settore energetico. Hub Italia», con il presidente di Ascopiave Nicola Cecconato, la direttrice Ingegneria e realizzazione di Progetti di Terna Maria Rosaria Guarniere e la responsabile ESG Stakeholders & Just Transition di Enel Maria Cristina Papetti.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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