Anche Tim Vision resta al palo. Scommettere sulla pay tv porta male alle Tlc

Tim Vision, scommettere sulle pay tv porta male alle tlc
La tv a pagamento non porta bene alle società di tlc. Fino ad oggi infatti chi ha provato a vendere connettività via Internet e acquisito diritti per contenuti tv è rimasto scottato. Come accadde a AmericaOnline quando acquisì Time Warner nel 2001. Così sta accadendo anche a Tim che aveva puntato sulle partite di calcio del campionato di serie A per incrementare gli abbonati alla fibra.
L’operazione fortemente voluta dall’ex-ad di Tim, Luigi Gubitosi non ha portato i risultati sperati. Gubitosi ha perso il posto e il subentrante ad Pietro Labriola ha accantonato ben 500 milioni per far fronte alle possibili perdite generate dal contratto stipulato con Dazn che prevede il pagamento di 340 milioni di euro all’anno per avere in esclusiva, sulla piattaforma Tim Vision le parte di campionato.
ESCLUSIVA A METÀ
In realtà si tratta di una esclusiva a metà in quanto tutte le smart Tv, gli smartphone e i tablet in circolazione in Italia possono scaricare direttamente la app di Dazn per vedere le partite. Certo mal si capisce come una società che ha come azionista di maggioranza Vivendi, al 23,9%, che in Francia controlla la maggior tv a pagamento del Paese, Canal Plus, possa aver fatto previsioni sbagliate sui possibili ricavi e sinergie tra Tim e TimVision. Ma voci insistenti dicono che ora Vivendi potrebbe rilevare Tim Vision per una cifra intorno ai 100 milioni di euro. Secondo gli analisti l’interesse di Vivendi per la piattaforma tv, pur considerando la complessità legata ad un’eventuale operazione tra parti correlate, sarebbe credibile.
Vivendi ha già iniziato la marcia di avvicinamento avviando una partnership con TimVision per la migrazione dei suoi contenuti sulla piattaforma CanalPlus che dovrebbe completarsi tra pochi mesi. Ora Vivendi potrebbe prendere, per una cifra stimata bassa, anche se la congruità del prezzo è difficile da stabilire, tutta la piattaforma tv a pagamento che dovrebbe avere, ma i numeri non sono confermati, 1,5 milioni di abbonati. Se così fosse assumendo che il costo del pacchetto base di Tim Vision è di 6,99 euro al mese, il prezzo indicato di 100 milioni corrisponderebbe a un anno di fatturato Tim Vision.
Vivendi si troverebbe proiettata nel mercato italiano della pay tv e potrebbe, tra tre anni, allo scadere del contratto da la Lega Calcio e Dazn, anche concorrere alla gare per i diritti del campionato di calcio, offrendo però ai potenziali abbonati, anche i ricchi contenuti di Canal Plus. Secondo gli analisti comunque il disimpegno di Tim da TimVision avrebbe rilevanza più strategica che finanziaria, visto l’incasso contenuto. Il gestore di tlc infatti potrebbe così focalizzarsi meglio sul suo core business, «rinunciando alla complessa gestione di una piattaforma di distribuzione multicontent, rivelatasi problematica, e affidandosi per le offerte convergenti fibra e contenuti a un player come Vivendi, con un track-record di successo nel segmento paytv».
IL PRECEDENTE DI AOL
Del resto Aol, ossia AmericaOnline, che era il maggior provider di Internet, nel 2001, acquisì Time Warner riportando nel 2002 una perdita di 99 miliardi di dollari, la più grande mai registrata da una società negli Usa. Time Warner, che ora si chiama Warner Media, dopo diverse peripezie venne poi scorporata e proseguì in solitario il suo cammino fino al 2018 quando venne completata la fusione da 85 miliardi di dollari con At&t. Ma anche un gigante delle tlc come At&t di fronte alla fatica di gestione dei contenuti, ha deciso fondere Warner Media con uno specialista del settore, Discovery. E infatti ora la società si chiama Warner Bros. Discovery.
Sequestrate dalla Guardia di Finanza e dai Carabinieri oltre 250 tonnellate di tabacchi e 538 milioni di pezzi contraffatti.
I Comandi Provinciali della Guardia di finanza e dell’Arma dei Carabinieri di Torino hanno sviluppato, con il coordinamento della Procura della Repubblica, una vasta e articolata operazione congiunta, chiamata «Chain smoking», nel settore del contrasto al contrabbando dei tabacchi lavorati e della contraffazione, della riduzione in schiavitù, della tratta di persone e dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Le sinergie operative hanno consentito al Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino e alla Compagnia Carabinieri di Venaria Reale di individuare sul territorio della città di Torino ed hinterland 5 opifici nascosti, dediti alla produzione illegale di sigarette, e 2 depositi per lo stoccaggio del materiale illecito.
La grande capacità produttiva degli stabilimenti clandestini è dimostrata dai quantitativi di materiali di contrabbando rinvenuti e sottoposti a sequestro: nel complesso più di 230 tonnellate di tabacco lavorato di provenienza extra Ue e circa 22 tonnellate di sigarette, in gran parte già confezionate in pacchetti con i marchi contraffatti di noti brand del settore.
In particolare, i siti produttivi (completi di linee con costosi macchinari, apparati e strumenti tecnologici) e i depositi sequestrati sono stati localizzati nell’area settentrionale del territorio del capoluogo piemontese, nei quartieri di Madonna di Campagna, Barca e Rebaudengo, olre che nei comuni di Caselle Torinese e Venaria Reale.
I siti erano mimetizzati in aree industriali per dissimulare una normale attività d’impresa, ma con l’adozione di molti accorgimenti per svolgere nel massimo riserbo l’illecita produzione di sigarette che avveniva al loro interno.
I militari hanno rilevato la presenza di sofisticate linee produttive, perfettamente funzionanti, con processi automatizzati ad alta velocità per l’assemblaggio delle sigarette e il confezionamento finale dei pacchetti, partendo dal tabacco trinciato e dal materiale accessorio necessario (filtri, cartine, cartoncini per il packaging, ecc.), anch’esso riportante il marchio contraffatto di noti produttori internazionali autorizzati e presente in grandissime quantità presso i siti (sono stati infatti rinvenuti circa 538 milioni di componenti per la realizzazione e il confezionamento delle sigarette recanti marchi contraffatti).
Gli impianti venivano alimentati con gruppi elettrogeni, allo scopo di non rendere rilevabile, dai picchi di consumo dell’energia elettrica, la presenza di macchinari funzionanti a pieno ritmo.
Le finestre che davano verso l’esterno erano state oscurate mentre negli ambienti più interni, illuminati solo artificialmente, erano stati allestiti alloggiamenti per il personale addetto, proveniente da Paesi dell’Est europeo e impiegato in condizioni di sfruttamento e in spregio alle norme di sicurezza.
Si trattava, in tutta evidenza, di un ambiente lavorativo degradante e vessatorio: i lavoratori venivano di fatto rinchiusi nelle fabbriche senza poter avere alcun contatto con l’esterno e costretti a turni massacranti, senza possibilità di riposo e deprivati di ogni forma di tutela.
Dalle perizie disposte su alcune delle linee di assemblaggio e confezionamento dei pacchetti di sigarette è emersa l’intensa attività produttiva realizzata durante il periodo di operatività clandestina. È stato stimato, infatti, che ognuna di esse abbia potuto agevolmente produrre 48 mila pacchetti di sigarette al giorno, da cui un volume immesso sul mercato illegale valutabile (in via del tutto prudenziale) in almeno 35 milioni di pacchetti (corrispondenti a 700 tonnellate di prodotto). Un quantitativo, questo, che può aver fruttato agli organizzatori dell’illecito traffico guadagni stimati in non meno di € 175 milioni. Ciò con una correlativa evasione di accisa sui tabacchi quantificabile in € 112 milioni circa, oltre a IVA per € 28 milioni.
Va inoltre sottolineato come la sinergia istituzionale, dopo l’effettuazione dei sequestri, si sia estesa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Ufficio dei Monopoli di Torino) nonché al Comando Provinciale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di Torino nella fase della gestione del materiale cautelato che, anche grazie alla collaborazione della Città Metropolitana di Torino, è stato già avviato a completa distruzione.














