2023-01-15
Thomas Fazi: «Un autoritarismo a fisarmonica: questa è l’eredità del virus»
L’autore di sinistra che contesta la gestione della pandemia: «Una narrazione unica sfruttata per limitare la democrazia».Lo scrittore Thomas Fazi e lo storico Toby Green, nel libro The Covid consensus, appena uscito e per ora disponibile in lingua inglese, tracciano una teoria generale della gestione pandemica, con una critica - da sinistra - che ne tocca tutti gli elementi: dall’origine del virus passando per i lockdown, per arrivare allo sviluppo dei vaccini e alle campagne vaccinali di massa, fino alle ricadute di una condotta autoritaria che aprono scenari inquietanti sul futuro. Ogni pezzo concorre a formare un disegno complessivo e un’unica narrazione (il cosiddetto «consenso sul Covid»), rivelando una regia globale che smentisce l’idea dell’impreparazione. Al contrario: gli autori osservano che fin dai primissimi giorni della crisi si è assistito all’emergere dello stesso racconto in tutti i principali Paesi occidentali.Voi sostenete che il Covid è stato un esperimento planetario che ha generato trasformazioni dagli effetti politici enormi: un «assalto globale alla democrazia» e una «drammatica accelerazione» verso gestioni oligarchiche e autoritarie del potere. Ma perché leader democratici hanno avallato tutto questo? «Che la pandemia sia stata usata per restringere gli spazi di democrazia in tutto il mondo è evidente: pensiamo all’emarginazione dei parlamenti, all’uso di misure di controllo sociale mai concepite neanche in tempo di guerra, al ricorso spropositato alla violenza poliziesca e militare nei confronti dei cittadini, all’emergere sui media di una narrazione totalizzante, all’omologazione senza precedenti dell’informazione, alla censura delle voci critiche sulle piattaforme online per far emergere l’illusione di un consenso scientifico. Da qualunque punto di vista si guardi, abbiamo assistito a un arretramento sociale, politico, economico. Questo però non rappresenta una cesura rispetto al passato bensì la radicalizzazione di un fenomeno già in atto in Paesi formalmente democratici: l’uso sempre più spregiudicato dell’emergenzialismo come forma di governo, iniziato con la guerra al terrorismo post 11 settembre, proseguito con la crisi dell’euro e ora in atto con la pandemia e il conflitto russo-ucraino, che a sua volta prepara il terreno a nuove emergenze cui in realtà si lavora da tempo, come quella climatica. Le classi dirigenti occidentali sembrano ormai in grado di governare solo attraverso un emergenzialismo permanente che necessariamente si tramuta in stato di eccezione, in cui l’anomalia costituzionale diventa la norma».La nascita de «La scienza» e della sua narrazione unica quali conseguenze ha prodotto? «Questo è stato uno degli aspetti più deleteri della pandemia perché ha mostrato la facilità con la quale si può fare accettare qualsiasi misura, anche alla cosiddetta intellighenzia - e in particolare agli intellettuali progressisti - purché questa venga suggellata dal marchio de “La scienza”. La quale diventa una nuova forma di religione. Ambienti che amano celebrare il proprio spirito critico hanno accettato una narrazione che ignora l’odierna dipendenza della scienza dalle dinamiche di potere della società capitalista per trasformarla in una verità pura e oggettiva: idea risibile, che avrebbe dovuto subito suscitare sospetti su quello che veniva spacciato per il consenso scientifico e che invece era un punto di vista imposto in modo autoritario, violento e aggressivo, marginalizzando qualunque voce e autorità scientifica non allineata. Questo approccio potrà essere riproposto, sia per questa pandemia (affatto conclusa), sia per altre emergenze tipo quella climatica. Il che non fa ben sperare per il futuro».Come spiega questo appiattimento, in primis dei ceti intellettuali progressisti?«La trovata è stata rivestire tutte le politiche pandemiche di una narrazione apparentemente progressista, che metteva al primo posto la difesa della vita e della salute contro i principi economicistici di chi insisteva per tenere aperte le attività». Invece i lockdown hanno fatto danni anche alla salute: ci hanno rimesso i più deboli e poveri e i giovani che, scrivete, sono stati il capro espiatorio perfetto…«Le politiche chiusuriste sono state un fallimento assoluto: non solo non sono servite a difendere la salute in senso lato, ma neanche a ridurre la mortalità da Covid e quella generale. L’assurdità dei lockdown emerge in modo evidente nei Paesi in via di sviluppo, ignorati dai più anche se le conseguenze sono state più devastanti ancora che da noi: in Africa, India e Sudamerica, dove l’economia è informale e ruota attorno a scambi che avvengono all’aperto, si sono di fatto condannate alla morte le persone che da essa dipendevano. Le storie più tragiche che abbiamo raccolto vengono da questi Paesi, dove i lockdown hanno condannato alla fame le categorie più fragili e tolto ai giovani l’unica risorsa di riscatto dalla miseria: l’educazione. È stata forse la parte più triste e difficile da scrivere».La vostra conclusione è che siamo in una «permacrisi», dove la crisi serve alle democrazie occidentali, che per sopravvivere alla concorrenza dei regimi alla cinese devono virare in autoritarismi repressivi.«L’ipotesi, allarmante, è che il regime cinese e quello occidentale, invece di rappresentare due opposti, incarnino due diversi tipi di autoritarismo, al contempo conflittuale e simbiotico. La pandemia ha reso evidenti le somiglianze tra due modelli solo apparentemente antitetici. Queste due forme di autoritarismo (che in Cina vedono al comando il governo, mentre da noi le corporations private) sono accomunate dall’utilizzo sempre più sistematico di tecnologie finalizzate al controllo sociale». La pandemia come occasione per accelerare la tendenza al controllo di Stato quindi? «Si è fatto un salto quantico! Pensiamo al green pass e al principio per cui l’accesso alla vita sociale è regolamentato da un dispositivo basato sul Qr code, che può essere acceso o spento oggi in virtù dello status sanitario di una persona, ma domani sulla base del profilo economico, energetico o di altro tipo: esemplare il precedente del Canada, che ha bloccato i conti correnti dei camionisti che protestavano per indurli a fermarsi. Come dimostrano anche le recenti restrizioni nei confronti dei passeggeri in arrivo dalla Cina, siamo davanti a un autoritarismo “a fisarmonica” e a un potere del tutto arbitrario che, in barba a qualunque logica scientifica, può allargare o restringere le maglie della vita sociale a piacimento. E questo è estremamente preoccupante».
13 ottobre 2025: il summit per la pace di Sharm El-Sheikh (Getty Images)
iStock
In un mondo che ancora fatica a dare piena cittadinanza alla voce femminile, questa rivista è un atto di presenza, che ho fortemente voluto, con l’intenzione di restituire visibilità e valore alle donne che ogni giorno, in silenzio o sotto i riflettori, trasformano il mondo in cui vivono.
Quelle che fondano imprese e reinventano modelli economici, che fanno ricerca, innovano nelle professioni, guidano comunità e progetti sociali. Quelle che mettono la competenza al servizio dell’impegno civile, che difendono i loro diritti, che si fanno portavoce di una nuova idea di leadership: inclusiva, empatica, concreta. Non a caso in questo numero è stato dato largo spazio al premio Donna d’autore, promosso dall’A.i.d.e. (Associazione indipendente donne europee) e in modo particolare alla sua entusiasta presidente Anna Silvia Angelini, perché le premiate rappresentano in maniera evidente i modelli di Valore Donna, dove ogni pagina è una finestra aperta su storie di talento, coraggio e visione. Non ho voluto costruire solo un racconto di unicità, ma anche restituire la normalità della grandezza femminile: donne che riescono, che sbagliano, che ricominciano, che costruiscono futuro. La loro forza non è un’eccezione, ma una presenza quotidiana che Valore Donna vuole portare alla luce, con impegno, rispetto e franchezza. Questo progetto editoriale inoltre ha nel suo dna un’idea di qualità come responsabilità: nella scrittura, nelle immagini, nella scelta dei temi. Ogni contributo è frutto di una ricerca attenta, di un linguaggio curato e di una sensibilità che si sforza di vedere il mondo con occhi diversi. Dando spazio a voci nuove, a imprenditrici, giornaliste, intellettuali, professioniste, donne della politica, giovani, donne che operano nel terzo settore, donne che collaborano, si sostengono e che raccontano la realtà contemporanea senza filtri, con l’autenticità di chi la vive pienamente. Perché solo rinnovando lo sguardo si può cambiare la prospettiva. Valore Donna vuole essere una rivista che lascia un’impronta nel panorama editoriale del Paese, un luogo d’incontro tra generazioni, esperienze e linguaggi. Non un manifesto ideologico, ma un laboratorio vivo, dove la libertà di pensiero e la sensibilità estetica si intrecciano. Nel racconto di queste pagine c’è l’orgoglio delle donne che sognano e nello stesso tempo si impegnano non per rivendicare uno spazio, ma per abitarlo con la pienezza di chi sa di meritarlo. Perché il futuro si scrive soprattutto con le loro voci.
Per scaricare il numero di «Valore Donna» basta cliccare sul link qui sotto.
Valore Donna-Ottobre 2025.pdf
Continua a leggereRiduci