2022-08-24
Non testano i vaccini ma intanto li rincarano
Il farmaco Pfizer aggiornato non è sperimentato sull’uomo, solo che negli Usa il prezzo è già aumentato del 50%. Ema lo valuterà a settembre. Le analisi sulla terza dose rivelano carenze nei dati su efficacia e sicurezza, eppure qui si sta somministrando la quarta.Nei 20 mesi trascorsi dalla prima somministrazione di vaccino anti Covid a dicembre 2020 è stato accertato che le «evidenze scientifiche» su cui poggiavano gli inviti pressanti dei governi occidentali alla vaccinazione di massa non erano tali. È appurato che il virus Sars-Cov-2 non è eradicabile: non ha come solo ospite l’uomo, ma anche gli animali (ricordate i 17 milioni di visoni abbattuti in Danimarca perché positivi al Covid?); che il vaccino anti Covid non ha capacità sterilizzante (non blocca il contagio) né conferisce immunità solida e di lunga durata. Venute meno (o mai esistite) le cosiddette evidenze scientifiche che avevano consentito al governo italiano di imporlo a tutta la popolazione over 12, tramite green pass, un viaggio nelle «evidenze economiche» può aiutare a comprendere le ragioni sottese alle persistenti pressioni sui «richiami».La prima evidenza riguarda la strategia di marketing utilizzata per sollecitare la profilassi vaccinale. L’amministrazione Biden ha accettato di corrispondere alla Pfizer Inc. 3,2 miliardi di dollari per 105 milioni di dosi, in vista della campagna autunnale. Il prezzo implicito per dose è di oltre 30 dollari (30 euro), un aumento di oltre il 50% rispetto al 2020, che verosimilmente sarà applicato anche all’Unione europea, che non ha mai reso pubblici i contratti. Inizialmente l’Ue aveva negoziato 15,50 euro a dose (Astrazeneca, di fatto sparito dal mercato Ue, costava 2,9 euro, per dire) e gli Usa 19,50 dollari. Il 1 agosto 2021, l’Ue ha accettato l’aumento a 19,50 euro a dose (23,15 dollari per gli Usa). Nei mesi successivi, alcune testate europee hanno reso noto che il costo è salito a 22,50 euro. Il recente aumento negoziato tra Pfizer Inc. e governo americano è dunque il quarto nell’arco di venti mesi, per un prodotto che invece costa all’azienda 1,20 dollari a dose (fonte Oxfam). Inutile dire che il monopolio di fatto esercitato da Pfizer e Moderna limita l’offerta e fa lievitare i prezzi della profilassi anti Covid, ora supportata anche dalle vendite dell’antivirale Paxlovid.Dinanzi a una strategia di marketing pianificata per far crescere la richiesta del prodotto attraverso la diffusione dei dati sui contagi (omettendo a lungo l’evidenza che il vaccino non bloccava il contagio) e poi riproporlo con prezzo maggiorato, le aziende produttrici hanno richiesto agli enti regolatori norme meno stringenti per le autorizzazioni delle prossime dosi. «Sarebbe utile fare gli aggiornamenti del vaccino senza ulteriori studi clinici», dichiarava poche settimane fa Ugur Sahin, Ceo di Biontech, seguito a ruota dal cofondatore di Moderna. Non era, quello di Sahin, un monito, ma un annuncio ex post. Sulle fasce di età 12-15 anni e 5-11 anni è già stato usato un parametro (endpoint) surrogato, il tasso di anticorpi (quelli che però non valgono per esentare i guariti dalla vaccinazione), ossia un dato di laboratorio anziché un endpoint clinico. Nella storia delle autorizzazioni ai farmaci, non era mai accaduto prima: l’estensione di un prodotto per uso pediatrico è delicata e complessa. Inoltre, è prassi che se un farmaco è autorizzato per essere somministrato in due dosi (come inizialmente previsto), la modifica del piano terapeutico necessiti di avviare un’altra sperimentazione, e non di sopprimere gli studi clinici come chiesto da Sahin. Così è sempre successo: le disposizioni degli enti regolatori negli ultimi due anni sono del tutto inedite. Il Wsj ha sottolineato che i vaccini aggiornati non sono stati sottoposti a trial clinici sull’uomo: il primo deve ancora iniziare. Anche la decisione di esecuzione della Commissione Ue che modifica l’autorizzazione all’immissione in commercio di Pfizer, pubblicata il 5 agosto, non dà alcuna indicazione sulla posologia della quarta dose, su efficacia e sicurezza negli immunocompromessi («non sono state valutate»), la durata della protezione «non è nota», «non sono stati effettuati studi d’interazione» e anche «la somministrazione concomitante con altri vaccini non è stata studiata». Dei partecipanti alla fase 2/3 dello studio 2, recita l’allegato 1, «un sottogruppo di 306 adulti di età compresa tra i 18 e i 55 anni ha ricevuto una dose di richiamo circa 6 mesi dopo la somministrazione della seconda dose» (in Italia, dopo 4 mesi). Dunque il profilo di sicurezza sul booster (40.065.186 somministrazioni soltanto in Italia, il 67,61% della popolazione) è stato analizzato su un sottogruppo di sole 306 persone in tutto il mondo. Non solo: nello studio 4, «i partecipanti che hanno ricevuto la dose di richiamo hanno avuto un follow up mediano di 2,5 mesi dopo la somministrazione». Dopo, non è dato sapere cosa sia successo. Follow the money, si diceva all’inizio: c’è talmente fretta di immettere sul mercato più release vaccinali possibili, saltando tutti gli studi clinici, che ieri il Comitato medicinali di Ema ha annunciato che terrà una riunione straordinaria il primo settembre per valutare due richieste di autorizzazione, da Pfizer e Moderna ça va sans dire, di vaccini adattati al primo ceppo Omicrom, comparso a dicembre 2021 e non più dominante. Poco importa che qualche settimana fa Fda avesse suggerito alle stesse aziende di progettare vaccini contro le più recenti sottovarianti Omicron BA.4 e BA.5, attualmente in circolazione, anziché contro la «vecchia» Omicron BA.1: le dosi contro BA.1 «sono già pronte» e vanno commercializzate entro settembre. Ancora una volta, insomma, sarà distribuito un prodotto per un virus che non circola più. Quello contro le varianti BA.4 e BA.5, in compenso, è in progettazione per i bambini da 0 a 5 anni, ha annunciato Ugur Sahin. In cambio dell’accesso all’asilo? Per rendere sempre più appetibile l’ampia gamma di prodotti non poteva mancare lo «studio», sponsorizzato ieri da diverse testate, secondo il quale «il vaccino anti Covid è un salvacuore (sic) e riduce il rischio miocardite». Peccato che dall’analisi emerga che il rischio di miocardite (insolito per un giovane sano) è comunque, rispetto all’infezione, più alto nei giovani maschi vaccinati Moderna: dati che si conoscono da aprile 2022 e che hanno portato diversi Paesi a sospenderne la somministrazione nei più giovani. In Italia, ovviamente, no.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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