
Nonostante le liti, il governo ha bisogno dei satelliti di Elon pure in chiave militare.Dopo la furiosa lite dei mesi scorsi con botte da orbi via social network, lo scontro tra Donald Trump e Elon Musk ha trovato una nuova scintilla: Wall Street ha presentato a Tesla il conto del Big beautiful bill. Giovedì l’azienda automobilistica ha perso l’8% in Borsa dopo che lo stesso Musk, commentando i risultati trimestrali, ha avvisato che la cancellazione degli incentivi all’acquisto di auto elettriche, inserita nella maxi-legge di bilancio, avrà un impatto forte e continuativo sui profitti. Gli utili dell’azienda sono calati del 20% nell’ultimo trimestre e il titolo, rispetto ai massimi toccati a dicembre, ha perso quasi il 40 per cento, anche se ieri si è ripreso leggermente. La discesa riflette la fine della stagione in cui Tesla poteva contare sui crediti di emissione venduti ad altre case automobilistiche per mantenere in attivo i bilanci. Il Bbb voluto fortemente da Trump ha cancellato tali crediti e gli sconti fiscali da 7.500 dollari per l’acquisto di una nuova auto elettrica. Il colosso creato da Musk sta cercando da tempo di reinventarsi, puntando sulla guida autonoma, sul progetto dei robot-taxi, sulla robotica condita dall’Intelligenza artificiale e sugli accumuli di energia, ma la transizione sarà tutt’altro che indolore.Negli ultimi giorni, l’ex capo del dipartimento per l’efficienza del governo (Doge) ha rilanciato la polemica sul caso Epstein, suggerendo che il nome del presidente possa trovarsi tra le carte compromettenti. Trump ha replicato facendo auguri di prosperità per Musk, ma lo scambio mostra che il nodo da sciogliere non riguarda accuse e sospetti, quanto i miliardi di dollari in gioco nei rapporti tra il governo federale e le aziende dell’imprenditore visionario.Il quale, giorni fa, ha minacciato di fondare un proprio partito e di sfidare l’establishment repubblicano. Trump, sornione, ha risposto con segnali chiari: il Doge dovrebbe esaminare con attenzione tutti i contratti governativi in essere con le aziende di Musk. Una rottura vera e propria, però, al di là dei toni alti, resta improbabile. I legami tra i due - o più precisamente tra Musk e il governo americano - sono troppo profondi. Il Pentagono e la Nasa, infatti, considerano oggi i servizi di SpaceX, Starlink e Starshield come elementi essenziali per la sicurezza nazionale. Spazio, difesa, telecomunicazioni, sono ambiti strategici cruciali. Da poco è partita la costruzione di una nuova flotta satellitare militare, Milnet, con centinaia di satelliti gestiti dalla Space Force e operati da SpaceX. Il governo ha già ordinato altri 180 satelliti, per un valore di quasi due miliardi di dollari, e una cinquantina di entità militari americane dipende dalla rete satellitare di Musk per copertura, sorveglianza e comunicazioni critiche.Si tratta di contratti per oltre 50 miliardi di dollari, in un ambito in cui non ci sono, almeno per ora, alternative credibili. Per questo, nonostante le schermaglie, Trump non può permettersi di troncare davvero i rapporti con Musk. E viceversa: Elon può punzecchiare, ma sa che il cuore pulsante del suo impero industriale passa ancora dai rapporti con Washington.Il blackout globale che ha colpito Starlink giovedì sera e che ha lasciato offline gli utenti da Stati Uniti ed Europa fino all’Australia assume anche una dimensione politica. Il disservizio, risolto nel giro di alcune ore, è stato causato da un aggiornamento software andato storto. Il guasto ha però messo in evidenza quanto sia delicata la dipendenza attuale da questa infrastruttura.Il litigio tra Trump e Musk, dunque, prosegue sotto la superficie. Ma la realpolitik, soprattutto quando si tratta di sicurezza nazionale e miliardi di dollari, impone a entrambi un certo grado di tolleranza. La rottura resta inverosimile e per ora Wall Street ha appoggiato il conto sulle spalle degli azionisti di Tesla.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Cambia l’emendamento alla manovra di Fdi sulle riserve di Bankitalia: appartengono al popolo italiano. Il ministro Giorgetti apre ad aiuti per accedere alle paritarie. Un’altra idea porta a finanziare gli istituti per acquistare i testi da dare in prestito agli studenti.
Fratelli d’Italia non molla sul tema delle riserve auree della Banca d’Italia e riformula l’emendamento alla manovra che era stato bocciato. Un fascicolo che rimette insieme i segnalati dai gruppi, infatti, contiene il riferimento al fatto che «le riserve appartengono allo Stato». Il nuovo emendamento prevede una interpretazione autentica dell'articolo riguardante la gestione delle riserve auree del testo unico delle norme di legge in materia valutaria che, si legge, «si interpreta nel senso che le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d'Italia appartengono al Popolo Italiano». Sparisce il riferimento al trasferimento della proprietà allo Stato.
Ansa
Al liceo Giulio Cesare di Roma spunta su un muro una «lista stupri», con accanto i nomi delle studentesse. Un gesto orribile, che viene subito cavalcato dalla sinistra per rilanciare la pasticciata norma sul consenso e le lezioni di «sessuoaffettività».
Ansa
Gli antagonisti, tra cui qualche ex brigatista, manifestano insieme a imam radicalizzati e maranza. Come Omar Boutere, italo marocchino ricercato dopo gli scontri a Torino, ritrovato a casa della leader di Askatasuna. Una saldatura evidente che preoccupa gli inquirenti.
La saldatura che preoccupa investigatori e intelligence ormai non è più un’ipotesi, è una fotografia scattata nelle piazze: gli antagonisti, compreso qualche indomito ex brigatista, manifestano contro Israele, marciano accanto agli imam radicalizzati comparsi in inchieste sul terrorismo jihadista e applaudono a predicatori salafiti che arringano la folla tra le bandiere rosse e quelle palestinesi. È tutto lì, in una sola immagine: anarchici, jihadisti, vecchio terrorismo rosso e sigle filopalestinesi fusi negli stessi cortei, con gli stessi slogan, contro gli stessi nemici. Una convergenza che non è spontanea: è il risultato di un’ideologia vecchia di 20 anni, quella di Nadia Desdemona Lioce, che aveva già teorizzato che «le masse arabe e islamiche espropriate e umiliate sono il naturale alleato del proletariato metropolitano».
Ansa
Solidarietà bipartisan alla «Stampa» per l’aggressione. Ma i progressisti glissano sugli antagonisti e usano il loro lessico. Francesca Albanese: «Sbagliato, ma sia un monito». Giorgia Meloni: «Parole gravi». La replica: «Vi faccio paura».
Alla fine, meno male che ci sono i social, dove impazzano le foto delle scritte sui muri della redazione della Stampa. «Free Palestine», «Giornali complici di Israele», «Free Shamin» (l’imam di Torino espulso), «Stampa complice del genocidio». Si può vedere questo e altro anche sui canali web di Intifada Studentesca Torino. Vedere la saldatura tra alcuni ambienti antagonisti e la frangia violenta dei pro Pal è ormai alla portata di tutti. Ma anche ieri gran parte della sinistra che ha espresso solidarietà alla redazione del quotidiano degli Elkann ha faticato a fare il più classico dei 2+2. E lo stesso vale anche per i giornalisti di Stampa e Repubblica, che nei loro comunicati ufficiali hanno completamente sorvolato sulla matrice dell’irruzione di venerdì, per nascondersi dietro espressioni generiche come «squadrismo» e «manifestanti».






