2022-08-19
«C’è invidia per la Meloni premier. Assurda l’accusa di maschilismo»
L’attivista femminista Marina Terragni: «La sinistra non è stata in grado di far maturare una donna capo del governo. Oggi c’è una oggettiva guerra alla maternità. La priorità è combattere il cambio dei sessi nei minori».Per scatenare il pandemio, hanno dovuto tirare in ballo lei, Marina Terragni. Giornalista, intellettuale, tra le più note attiviste femministe d’Italia, non è certo una che tema le polemiche e gli scontri anche ruvidi. E da tempo è abituata agli strali che le giungono da una parte della sinistra (transfemministe comprese). Questa volta, però, la faccenda sembra pure più pretestuosa del solito. A partire da un documento in cui si ragionava sulla possibilità di creare un fronte unico femminile, su Repubblica, La Stampa e i social si è aperto un dibattito vagamente surreale riguardante Giorgia Meloni e il suo possibile rapporto con il femminismo.«Il testo citato da Aspesi è stato prodotto da donne che sono in rete da anni, e che per lo più fanno o hanno fatto riferimento alla sinistra», dice la Terragni alla Verità. «Ce ne sono alcune che invece di sinistra non sono. Abbiamo semplicemente proposto un orizzonte programmatico che andasse oltre il transumano e il post umano. Non abbiamo mai parlato di Giorgia Meloni, che non viene nemmeno citata nel testo. Mi sembra curioso che tutto questo sia diventato il “manifesto delle femministe che votano Meloni”. Ripeto, non la abbiamo neanche citata». E allora? «A me pare che abbia fatto scandalo che delle femministe non abbiano scritto qualcosa tipo “in quanto femministe di sinistra chiediamo al Pd...”». Ma sarebbe così drammatico se delle femministe votassero Giorgia Meloni? «Qualcuna che voterà Meloni ci sarà. Peraltro a me tutto questo allarme generale su Meloni sembra controproducente per chi fa campagna elettorale contro di lei. È spiegato più volte nei manuali di comunicazione, non è così difficile... Se sei contro ma continui ogni giorno a dire “Meloni, Meloni, Meloni...”. Mi sembra un errore». Natalia Aspesi, nel risponderle, ha scritto una cosa che condivido: contano le idee, non il sesso di un candidato. «In ogni caso non si può dire che una donna che probabilmente diventerà premier non sia una novità storica. È oggettivamente così. Sia per chi la vota che per chi non la vota». Hanno scritto che è maschilista. «Quindi, seguendo questo ragionamento, una donna che potrebbe diventare presidente del Consiglio ha di sicuro un pensiero maschile. Mentre l’alternativa, necessariamente un uomo, garantirebbe di più le donne. Fa pensare…».Infatti a me pare tutto piuttosto confuso e contraddittorio. E non capisco bene quale sia il vero punto della questione. «Io credo che molti facciano fatica ad accettare che la destra abbia prodotto quel frutto, cioè una donna che può fare il capo di governo. Cosa che la sinistra non è stata in grado di fare. L’unica occasione forse è stata con Rosi Bindi che avrebbe potuto diventare la Merkel italiana. Ma non si colse il momento. Capisco la difficoltà di molti a sinistra, e la fatica nell’ammettere che la logica della cooptazione non sia riuscita a produrre protagonismo femminile. Sul tema comunque c’è stato molto dibattito, anche su Repubblica dopo che ne ha scritto Luca Ricolfi». Ma può esistere secondo lei una femminista di destra? A leggere ciò che scrivono Mirella Serri o Michela Murgia sembrerebbe proprio di no. «È noto: storicamente la dialettica tra femminismo e sinistra è stata vivace e attiva. Ma sempre complessa. Già Carla Lonzi, di cui per altro in questi giorni ricorre il quarantennale della scomparsa, diceva che il marxismo ci aveva vendute alla rivoluzione ipotetica, all’idea che libertà femminile sarebbe stata ottenuta solo quando sarebbe sorto il sole dell’avvenire. In compenso alla destra anche solo il termine femminismo ha sempre procurato l’orticaria». Tuttavia negli ultimi anni ci sono stati avvicinamenti su temi come il contrasto all’utero in affitto o le derive dell’ideologia transgender. «Vero. È successo negli ultimi anni con il femminismo gender critical, termine con cui mi riferisco ai temi che ha indicato prima. Questo femminismo peraltro sta crescendo in tutto il mondo. Le assicuro che noi abbiamo provato in tutti i modi a dialogare con il Partito democratico. Ma da Enrico Letta solo silenzio, per non parlare di Alessandro Zan che ha parlato con tutti tranne che con noi. Storiche militanti di gruppi come Se non ora quando, da sempre legate al Pd, perfino ex parlamentari del Pd, alla fine sono uscite dal partito. Non possiamo nascondercelo. La destra invece è gender critical, anche se probabilmente con motivazioni e obiettivi diversi e a volte molto diversi dai nostri». Su questi argomenti i progressisti non ci sentono, anzi proseguono tetragoni lungo la loro strada. «Ora in cima alla nostra agenda c’è la questione degli ormoni ai ragazzini». In varie parti d’Europa e in Inghilterra i governi di destra e sinistra stanno frenando molto sul cambio di sesso dei minorenni. «A noi però la Società italiana di pediatria ha risposto che gli effetti dei farmaci bloccanti della pubertà sono totalmente reversibili. Cosa che è smentita da svariati studi. Per questo oggi intendiamo occuparci del martirio di queste creature». Parliamo un attimo di figli. Alcune intellettuali, Mirella Serri in particolare, sembrano rimproverare alla Meloni il fatto che insista sulla relazione fra femminilità e maternità. «Il femminismo della differenza da sempre ha dato centralità alla relazione materna. Uno dei testi fondativi è L’ordine simbolico della madre di Luisa Muraro, che risale al 1991. La relazione materna è centrale. Il che ovviamente non significa che tutte le donne debbano per forza essere madri». Ma quando la Meloni insiste su questa relazione viene guardata con sospetto. «Anche Lorenzin fu guardata con sospetto al tempo delle sue iniziative sulla natalità. Io dico questo: dobbiamo renderci conto del contesto. Quando Simone de Beauvoir iniziò a scrivere che donna non era necessariamente madre si era in pieno boom demografico. Oggi siamo in una fase opposta, il problema non è più garantire la libertà di non essere madri, ma la libertà di esserlo». Lo ha scritto tempo fa, proprio su Repubblica, Cristina Comencini. «Oggi c’è una oggettiva guerra contro le madri. Che si somma alla mancanza di una comunità, del famoso villaggio che serve a crescere un bambino. Il ruolo materno è marginalizzato e mortificato. È un problema per le donne e per tutta la società». Su un punto tuttavia continuo a dare ragione a Natalia Aspesi: contano le idee, non il sesso. «Certo che le idee contano. Ma comunque si voti, una donna presidente del Consiglio sarebbe uno scossone simbolico con il quale ci ritroveremmo tutte a fare i conti. In ogni caso, chiunque vinca, metteremo a disposizione le nostre riflessioni e le nostre esperienze, con particolare riferimento a temi gender critical. Lo abbiamo già fatto, continueremo a farlo. Vedremo se qualcuno vorrà ascoltare».