2021-06-06
I teologi ignoranti più inclini all’azione che allo studio fanno male alla Chiesa
Il sacerdozio è una vocazione che ha bisogno di preparazione. In gioco ci sono le anime che vengono affidate ai consacrati.Lo studio è importante. Il sacerdozio, si dice giustamente, non è un mestiere: è una vocazione. Ma nel dire questo si intende dire che è di più, non di meno di un comune lavoro! Il sacerdozio è una missione data da Dio! Se, dunque, un avvocato, un magistrato, un medico o un ingegnere devono essere molto competenti per fare bene il proprio lavoro, quanto più non dovrà esserlo un sacerdote? Se un medico non ha studiato bene, i malati muoiono, se un ingegnere non conosce la sua disciplina, i ponti cadono. E cosa succede alle anime affidate a un sacerdote ignorante? Non sorprende che Santa Teresa d'Avila desse il seguente consiglio: ancor meglio di un direttore spirituale santo è un direttore spirituale colto, cioè che sa di cosa parla. Per dirigere le anime ci vuole, certo, la retta intenzione, ma bisogna anche conoscere. Bisogna conoscere la Parola di Dio e il Magistero, la teologia dogmatica, morale e spirituale. Dobbiamo studiare!Papa Francesco ha proposto l'efficace metafora della Chiesa come ospedale da campo. Pochi, però, riflettono su ciò che sta sullo sfondo di questa immagine. Nell'ospedale da campo c'è bisogno di medici molto competenti, che siano in grado di salvare vite. Un medico competente non si forma in un giorno. Attualmente, almeno in Italia, il corso curriculare di medicina consta di sei anni di studi molto impegnativi, cui si aggiungono altri sei anni di specializzazione. Ci vogliono 12 anni di studi molto seri e faticosi per essere un medico specialista. Quindi non basta la buona volontà per operare nell'ospedale da campo: ci vuole la competenza. E questa la si ottiene studiando.È vero che oggi esiste anche una teologia o meglio varie correnti teologiche che non aiutano la vita e la missione della Chiesa. Possiamo pensare che sia a questo tipo di teologi che pensa il Papa quando afferma che vorrebbe metterli tutti su un'isola, in modo che noi possiamo andare avanti. È vero: ci sono teologi di questo tipo, teologi che meriterebbero di essere messi su un'isola a discutere dei loro tecnicismi astratti e delle loro questioni ideologiche.Ma non sono i teologi nel loro insieme, né la teologia in sé a fare danno alla Chiesa! Anzi, ciò che oggi danneggia la Chiesa molto di più è il diffuso pragmatismo cieco di tanti ecclesiastici. Pragmatismo: si pensa solo all'azione. Cieco, perché non illuminato da un pensiero consistente, solido, un pensiero basato sulla parola di Dio e sul magistero della Chiesa. Questo pragmatismo apre la via a ogni genere di errore. Esso spesso si ammanta di bontà, ma in realtà è buonismo. I pastori che agiscono così, senza orientarsi costantemente con la bussola o il faro della parola di Dio e dell'insegnamento morale plurisecolare della Chiesa, sono lupi travestiti da agnelli. Dicono di servire il gregge, mentre invece vogliono servirsi di esso per i propri scopi. […]In Italia avete un bel detto: «Lo studio nobilita». È così. Lo studio di buoni libri nobilita l'animo. E sappiamo - anche dalle considerazioni fatte circa la formazione umana - quanto è importante la nobiltà d'animo per un sacerdote. Ma nel nostro caso lo studio ha un motivo ancora più importante per essere svolto, perché in genere noi sacerdoti studiamo testi di teologia e di spiritualità.Quindi, testi che ci mettono a contatto maggiore con Dio e con tutte le altre verità della Rivelazione e della storia della salvezza. Come privato teologo, Joseph Ratzinger aveva ripreso e sviluppato qualcosa che si trova già in San Bonaventura, lì dove il «dottore serafico» insegnava che l'habitus intellettuale del teologo nasce dall'amore che, in quanto cristiano, egli ha per Cristo. Questa posizione di Bonaventura e poi di Ratzinger è interessante.Sappiamo bene che San Tommaso insegna che l'amore nasce dalla conoscenza, più che la conoscenza dall'amore. Infatti, non potremmo amare qualcosa o qualcuno che non conosciamo. E questo è certamente vero. Ma, d'altro canto, il processo non si conclude qui. Se è vero che prima di amare bisogna conoscere, è anche vero che poi noi vogliamo dall'amore ritornare alla conoscenza, perché uno degli effetti dell'amore è quello di farci desiderare di conoscere ancora meglio chi amiamo.Dunque, l'amore per Dio nasce dalla conoscenza di lui. Ma poi questo nostro amore sviluppa ancor di più la conoscenza, perché vogliamo conoscere meglio e di più il Dio che amiamo. La teologia, allora, è certamente scienza, cioè conoscenza sistematica, potremmo dire persino conoscenza professionale della parola di Dio. Ma la teologia è una scienza innamorata del suo oggetto, che è Dio rivelato in Cristo. La teologia nasce non solo da un fine speculativo, bensì sia da un fine speculativo sia da uno volitivo.Infatti, le correnti che sopra citavamo, quelle correnti recenti che invece di aiutare allontanano dalla fede, si contraddistinguono proprio per essere riflessioni molto tecniche, specialistiche, dove però manca l'amore per l'oggetto amato e, di conseguenza, manca anche l'amore per i destinatari della propria teologia, per i lettori che poi non sono altro che fedeli cattolici che il teologo dovrebbe aiutare a contemplare meglio il volto di Dio. Queste riflessioni rappresentano uno stimolo per noi, ma di nuovo anche un'occasione di esame di coscienza. Se siamo totalmente indifferenti alla lettura e allo studio di libri che riguardano le cose di Dio, non sarà questo un segno preoccupante di un disinteresse, di una freddezza non solo verso i libri, ma anche verso colui di cui tali libri scrivono? Se amiamo Dio e Cristo, vogliamo conoscere di più su di loro e su tutte le cose che hanno fatto e fanno nella storia della salvezza. C'era perciò il fondatore di un istituto religioso che cercava di spronare i giovani membri dicendo: «C'è bisogno di sapere di più! Abbiate sete di imparare di più!».Robert SarahPrefetto emerito del culto divino