2021-09-15
Tempesta elettrica sulla Germania atterrita dai costi della Transizione
I temi ambientali decisivi nella campagna elettorale del 26 settembre. Il confronto con la realtà falcidia i Verdi. Spd in vantaggio sulla Cdu. Il governo punta sul gas, la Francia spinge sul nucleare più «pulito». Che farà l'Ue?Il 26 settembre prossimo si svolgeranno in Germania le elezioni politiche, importante e attesissimo punto di svolta per tutta l'Europa. L'addio di Angela Merkel alla politica, dopo oltre quindici anni di cancellierato, impone al sistema politico tedesco di trovare nuovi volti. I temi ambientali, compresi quelli energetici, sono in primo piano nella campagna elettorale in corso, in un panorama politico più che mai frammentato. Il turno elettorale di inizio autunno rischia di dare vita a un parlamento in cui le maggioranze non potranno che essere il risultato di laboriosi compromessi al ribasso. Inaspettatamente, la Spd è da settimane in chiaro vantaggio sulla Cdu negli orientamenti di voto dei cittadini tedeschi. I sondaggi non sono favorevoli per Armin Laschet, successore di Angela Merkel alla guida del partito cristiano-democratico della Cdu e aspirante cancelliere. La Spd aumenta il vantaggio di giorno in giorno, in verità più per il pallore politico di Laschet che per le qualità di Olaf Scholz, indicato dal partito socialdemocratico come candidato alla guida del futuro governo.I sondaggi effettuati dopo le disastrose inondazioni che a metà luglio hanno colpito la regione del nord Reno evidenziano poi un calo nelle intenzioni di voto per i Grünen, accreditati oggi di un 16% delle preferenze, in picchiata rispetto al clamoroso 25% di maggio che ne aveva fatto il primo partito. In soli quattro mesi il consenso per il partito ambientalista si è eroso per un terzo: un chiaro segnale di come la narrativa a base di catastrofismo portata avanti dal partito di Annalena Baerbock stia perdendo la presa sull'opinione pubblica tedesca. Non hanno giovato alla quarantenne candidata i piccoli scandali del curriculum ritoccato e del plagio contenuto in un suo libro, ma c'è qualcosa di più solido tra le motivazioni che spiegano questo calo: gli elettori tedeschi stanno realizzando che la transizione energetica, di cui i Grünen sono sostenitori (critici, perché la vorrebbero ben più radicale) sarà molto costosa. Esiste il diffuso timore, alimentato anche da un ancestrale terrore dell'inflazione, che gli aumenti dei prezzi dell'energia possano dare origine a una ondata di rialzo dei prezzi al consumo, cosa che in effetti sta già accadendo. Nessun partito le cui politiche sono associate all'inflazione può avere un grande successo in Germania. Tanto più se a godere (per così dire) dell'inflazione fossero i Paesi fortemente indebitati del sud Europa, Italia in primis, ancora e sempre considerati le cicale dell'euro contrapposte alle laboriose (ed austere) formiche teutoniche. Tuttavia, se i verdi mantenessero le attuali percentuali nel Bundestag sarebbe difficile fare un governo senza di loro. Per la transizione energetica la Germania, segnatamente il blocco industriale-finanziario che ha una sponda politica importante nella Cdu, fa molto affidamento sul gas quale combustibile alternativo al nucleare e al carbone. Le fonti rinnovabili sono ancora lontane dal poter fornire tutta l'energia richiesta e comunque saranno sempre necessari impianti che forniscano una base continua di produzione e centrali in grado di coprire i picchi di consumo (i cosiddetti impianti flessibili). Che il gas sia vitale per la transizione energetica è testimoniato dalla perseveranza con cui il governo tedesco ha difeso il contrastato gasdotto Nord Stream 2, che porterà gas dalla Russia direttamente in Germania. Neppure la minaccia di sanzioni da parte degli Usa, poi ritirata dal presidente Joe Biden, ha fermato Russia e Germania, tanto che il gasdotto è stato tecnicamente completato pochi giorni fa. Gazprom ha annunciato che già entro la fine di quest'anno intende immettere il primo gas diretto in Germania, ma al momento l'inizio delle operazioni commerciali è ancora sospeso. Mancano infatti le certificazioni tecniche e soprattutto è ancora da risolvere la questione dell'adeguamento alle regole comunitarie sull'uso delle infrastrutture essenziali. Le direttive europee impongono infatti la separazione tra la proprietà del gasdotto e le attività commerciali di fornitura del gas, come stabilito anche da una recente sentenza di un tribunale tedesco cui Gazprom si era appellata. Al di là di Nord Stream 2, però, la partita vera si sta giocando in questi giorni a Bruxelles. È in corso infatti un negoziato molto teso tra la Commissione, guidata dalla tedesca Ursula von der Leyen, i governi nazionali e il parlamento europeo sulla tassonomia degli investimenti considerati sostenibili. Il riconoscimento della qualifica di sostenibilità consentirebbe infatti di poter attrarre cospicui investimenti privati e poter accedere a finanziamenti agevolati. Sia il gas che il nucleare non sono stati considerati nella classificazione sostenibile, sinora, tuttavia la discussione non è affatto chiusa. L'orientamento della Commissione europea, su spinta tedesca, sarebbe di escludere il nucleare dalla tassonomia «verde», includendovi invece il gas, riconosciuto come vettore energetico fondamentale per la transizione. Se così fosse, avremmo un macroscopico paradosso per cui il gas metano, che produce emissioni CO2 in quantità importanti, sarebbe ammesso tra le fonti considerate green, mentre il nucleare, che produce energia elettrica con emissioni di CO2 paragonabili, se non inferiori, a quelle da energia solare o eolica, sarebbe escluso. È evidente che lo scontro, più che tra le tecnologie, è tra i due maggiori paesi dell'Unione, che propongono due sistemi industriali radicalmente diversi. Da una parte la Francia, che insiste sul suo modello di produzione di energia nucleare, eventualmente anche di nuova generazione (visti gli scarsi risultati dei generatori Epr), con poche rinnovabili. Dall'altra, la Germania, che ha deciso già nel 2011 di abbandonare il nucleare e che spinge per le energie rinnovabili e per il gas al posto del carbone. In mezzo, Paesi i cui governi sono possibilisti, come quello italiano, almeno stando alle recenti dichiarazioni del ministro per la Transizione energetica Roberto Cingolani. Il Commissario Johannes Hahn, austriaco, responsabile del dossier, pochi giorni fa ha escluso che il nucleare possa godere dello status di energia «verde». E mentre lo scorso luglio 18 sindacati del settore energetico di 10 Paesi dell'Unione europea, in una lettera, hanno chiesto alla Commissione Ue di non rinunciare all'energia nucleare, la Francia si fa sentire. Per bocca di Bruno Le Maire, ministro delle Finanze in patria, il governo francese fa sapere che non è accettabile un approccio ideologico nella classificazione dell'energia e che al nucleare va riconosciuto un ruolo fondamentale nella corsa alla decarbonizzazione. Nelle more del dibattito, mentre ancora il gas russo fatica ad arrivare in Europa, i prezzi dell'energia in tutta Europa sono aumentati sino a livelli che non hanno precedenti. L'energia elettrica spot in Germania ha superato i 140 euro/MWh. La discussione sulla tassonomia verde dovrà concludersi entro l'anno e sarà compito del nuovo esecutivo portarla a termine. Data la spinta del sistema industriale tedesco verso il gas, un governo sostenuto dai Verdi sarebbe in oggettiva difficoltà su questo fronte. Poiché quella che potrebbe essere una soluzione (cioè la fusione dei due mercati elettrici francese e tedesco in un'unica area di mercato) non è alle viste, non resta che attendere per capire se a Bruxelles vincerà la linearità o, ancora una volta, chi fa la voce più grossa.