2019-11-27
Tel Aviv capitale dell'arte e del risparmio: un weekend in città costa solo 300 euro
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Fondata nel 1909 e potentemente trasformata – anche dal punto di vista architettonico – tra il 1930 e il 1950, la città abbaglia chi arriva. È, sotto tutti i punti di vista, una vetrina e un biglietto da visita di Israele e della sua diversità, come terra di libertà, di espressione libera per individui e famiglie.Da visitare a piedi, per perdersi nelle vie o nei mercati multiculturali, Tel Aviv è ricca di musei ma anche di locali e spiagge in cui divertirsi fino al calar del sole.Tre hotel da non perdere: lo storico The Drisco, nato dalle ceneri del The Jerusalem hotel, il rilassante Setai e il nuovo e moderno Opera con una piscina mozzafiato e vista sul mare.Lo speciale contiene sei articoli e gallery fotografiche. Negli ultimi due anni, di Tel Aviv si è parlato molto sui media internazionali essenzialmente per la decisione di Donald Trump di trasferire l'Ambasciata statunitense da lì a Gerusalemme, con il carico di polemiche che, non solo in America, i mainstream media hanno purtroppo riservato a questa scelta. Eppure – discussioni strumentali a parte – ci sarebbero state e ci sarebbero tuttora almeno altre tre ragioni per riflettere su Tel Aviv: una ha a che fare con il suo destino e il suo stile di vita, potremmo dire con un suo connotato essenziale; le altre due, con altrettante storie di cronaca (sociale ed economica) che raccontano molto sulle sfide che Israele è chiamata ad affrontare. Cominciamo dal primo aspetto. Inutile girarci intorno: è sufficiente una visita anche rapidissima a Tel Aviv per coglierne il carattere aperto, laico, di città aperta ventiquattr'ore su ventiquattro. Fondata nel 1909 e potentemente trasformata – anche dal punto di vista architettonico – tra il 1930 e il 1950, Tel Aviv letteralmente abbaglia chi arriva, grazie al mare, al dominio del bianco, alla luce e alle vetrate. È – sotto tutti i punti di vista: anche del divertimento, oltre che della cultura e del commercio – una vetrina e un biglietto da visita di Israele e della sua diversità, come terra di libertà, di espressione libera per individui e famiglie, in contrapposizione alle chiusure e al clima oppressivo che si percepisce in tanti altri luoghi del Medio Oriente. Detto questo, ci sono due storie sociali da raccontare. La prima ha a che fare con il tema dell'immigrazione illegale (e non), e ci richiama a spettacoli non positivi e tutt'altro che risolti in numerose delle maggiori città italiane ed europee. Anche a Tel Aviv, si era posto il problema di migranti illegali che di fatto si erano sistemati – per così dire – nella stazione centrale dei bus, un edificio aperto nel 1993, poi largamente abbandonato e dal destino non fortunato. Per lungo tempo, si è assistito all'inevitabile innesco di violenze nell'area e a numerose proteste. La questione è stata affrontata con un mix di risposte: pugno duro rispetto all'immigrazione clandestina e illegale, fondi e risorse per programmi sociali e di inserimento, incentivi a partire. Ma c'è anche un aspetto in qualche misura più incoraggiante, con i lunghi corridoi e i numerosi piani della stazione che hanno via via preso una vita più ordinata ma comunque multicolore, variopinta, tra danzatori, artisti circensi, raduni di comunità (ad esempio, di filippini), facendo della zona un curioso e originale hub culturale. Sempre nella zona Sud di Tel Aviv, si segnala anche una rete di bar e caffè aperti da immigrati (specie di origine eritrea e sudanese), orientati soprattutto verso i loro connazionali, non di rado con richiami stilistici e di ambiente all'Africa, e offrendo anche la possibilità di seguire alla tv la Premier League inglese o la Champions League. Esperimenti non sempre facili, ma interessanti, di imprenditorialità, di reti sociali visibili e legali, assai preferibili alla clandestinità e all'illegalità. Di tutta evidenza, siamo lontanissimi dalla parte occidentale e scintillante di Tel Aviv, ma anche questo lato così diverso merita di essere raccontato.La seconda storia è – insieme – sociale ed economica, e ha a che fare con le preoccupazioni e il dibattito molto forte suscitato dal prezzo alto delle case. Il fenomeno nasce dai significativi flussi di rientro in Israele di ebrei che erano vissuti all'estero, e che molto spesso – tornando o arrivando in Israele – hanno comprato un'abitazione, rimettendo in moto il mercato immobiliare (il che è evidentemente positivo), ma anche (effetto inevitabile) facendo lievitare il prezzo degli immobili. Indubbiamente, specie per i giovani (su cui già grava l'onere di un lungo servizio militare), questo si rivela un ostacolo importante quando si tratta di provare ad acquistare una casa. Da sinistra, molti polemizzano da anni, partendo da un problema vero ma spesso colpendo bersagli di comodo (il libero mercato, il presunto smantellamento dello stato sociale); da destra si risponde promettendo di aggredire i vincoli burocratici che rendono difficili le nuove costruzioni. Resta un dato di fatto, che è l'altra faccia della medaglia del successo di questa città: l'alto costo della vita, che fa di Tel Aviv (secondo una ricerca Mercer dell'estate scorso basata su diversi fattori: alloggio, trasporti, servizi) una delle città più care del Medio Oriente. Daniele Capezzone