2025-06-29
Tasse alle multinazionali: Trump vince ancora
Accordo al G7 sulla «global minimum tax». Antonio Tajani: «Dazi al 10% sono un compromesso accettabile».Nella partita dei dazi si sta scrivendo un copione a metà tra il dramma e la commedia. Gli Stati Uniti sono in scena da protagonisti. Proprio ieri Trump ha ottenuto un’altra vittoria avendo ricevuto l’esenzione dal protocollo della «minimum tax» cui dovranno sottostare le multinazionali globali. Una tassa che impatta soprattutto sui colossi della tecnologia (da Amazon a Meta, da Apple a Google). Una proposta che Trump ha sempre bocciato. Ieri ha ottenuto l’esenzione per gli Usa. L’Italia invece ha aderito e Giorgetti parla di «onorevole compromesso»Anche Tajani parla di onorevole compromesso sull’altro tavolo aperto con gli Usa. Vale a dire l’aliquota del 10% per chiudere la guerra commerciale. Roma fa fronte comune con Berlino. Parigi, invece frena secondo il consueto copione dell’«eccezionalismo francese». Punta i piedi contro gli Usa mentre lavora ad un accordo con la Cina su cognac e armagnac. La presidente dell’assemblea nazionale francese, Yael Braun-Pivet, in visita a Pechino, auspica la revoca delle sanzioni «nei prossimi giorni». Lo stop è costato all’industria francese del brandy perdite di 50 milioni al mese. E qui entra in gioco il vicepremier Antonio Tajani, che a Budoni, in provincia di Sassari, dove partecipa ad un evento di Forza Italia, conferma la posizione italiana: «Il 10% è un compromesso accettabile», una soglia che non danneggerebbe il nostro export. Una posizione condivisa dal presidente di Federalimentare, Paolo Mascarino: «Riteniamo che un dazio al 10% sia comunque un compromesso sostenibile eliminando i rischi di riduzione della domanda rispetto alla minaccia di dazi al 20%». Naturalmente il sogno è un grande mercato libero, in cui i dazi siano solo un brutto ricordo, ma non un’utopia. Tanto più che l’Italia deve fare i conti con le strategie divergenti di Francia e Germania, due nazioni che stanno giocando una partita tutta loro. Mentre Berlino si mostra desiderosa di risolvere rapidamente la questione, con una trattativa che punta a non lasciare spazio a ripensamenti e ritardi, la Francia assume una postura più rigida. Buona forse per soddisfare le antiche pulsioni di «grandeur» ma inutile al tavolo del negoziato. La dichiarazione di Macron, che preferisce non sacrificare i «principi» per la fretta, è tanto nobile quanto sospetta: «Non vogliamo concludere a qualsiasi prezzo», ha affermato, come se l’Europa dovesse scegliere tra un accordo vantaggioso e una sorta di «onore» da mantenere intatto. Il cancelliere tedesco, Friedrich Merz, criticando l’approccio troppo tecnico della Commissione di Bruxelles, spinge per una rapida accelerazione dei negoziati, concentrandosi su settori chiave come auto, chimica e farmaceutica, senza che i dettagli tecnici della discussione ci paralizzino. Eppure, ogni volta che sembra che la Germania tenda la mano per stringere un accordo, la Francia fa un passo indietro, quasi a ricordarci che a Parigi la pazienza è una virtù da coltivare con molta cautela.La scena, insomma, è tutta un susseguirsi di proposte, controproposte, accenni di accordo che sembrano danzare sul filo del rasoio. L’Europa cerca di tenere il passo, ma non si può fare a meno di notare che il blocco europeo, nella sua unità ha la fragilità di un vetro di Murano. Da un lato, c’è l’Italia che, con Tajani, gioca di sponda con la Germania quasi come se stesse dicendo «uniti per crescere». Dall’altro, c’è la Francia, con il suo inconfondibile stile diplomatico che sembra più orientato a frenare i cavalli in corsa piuttosto che ad accelerare verso il traguardo.E qui nasce la domanda: mentre il resto d’Europa guarda con fiducia alla possibilità di accordi concreti, Macron sarà davvero capace di sottrarre il blocco europeo dall’impasse, o rischia di essere l’ultimo a scendere dalla sua torre d’avorio commerciale?Nonostante le difficoltà e la frenesia dei negoziati, una cosa è certa: la data del 9 luglio si avvicina, e con essa la possibilità che l’Europa debba fare un passo deciso. Se il compromesso del 10% si confermerà come la via di mezzo per tutti, forse anche i francesi dovranno accettare che, a volte, non è solo l’onore a determinare l’esito di una trattativa, ma anche la volontà di agire insieme. E chissà, forse la vera forza risiede proprio nel capire quando frenare e quando accelerare.