2025-10-01
«Non ero amica della Cardinale ma l’amore per Squitieri ci ha unite»
Ottavia Fusco, la moglie del regista Pasquale Squitieri: «Con Pasquale ho passato 14 anni intensi, ben sapendo della grandissima storia che ebbe con Claudia. Alle fine siamo riuscite anche a lavorare insieme e il suo nome ha fatto la differenza».Tra i registi scomodi del cinema italiano, Pasquale Squitieri non era secondo a nessuno. Sua moglie Ottavia Fusco, grande interprete teatrale e musicale, gli ha dedicato un documentario dal titolo emblematico, Il vizio della verità, che andrà in onda il 20 ottobre su Rai Tre, in cui riecheggia la figura di Claudia Cardinale, scomparsa in questi giorni.Come nasce questo documentario?«È un omaggio dovuto sia come artista che come donna, con cui si chiude un capitolo della mia vita. Lo dovevo a Pasquale, a otto anni dalla sua scomparsa: non era stato fatto ancora nulla per ricordarlo e sono molto fiera e onorata di essere la prima. Pasquale diceva sempre che il regista è quello che ha già visto il film e io in qualche modo questo documentario l’avevo già visto, sono riuscita a tradurre in immagini quello che avevo in mente. Non è un assemblaggio di ricordi e di contributi, c’è un’idea narrativa che credo di essere riuscita a restituire, quindi o mi massacrano o vinco dei premi». Cosa voleva raccontare? «Pasquale è stato un uomo etichettato. Io invece ho voluto raccontare un Pasquale inedito, attraverso i miei occhi, essendo in scena come figura narrativa, quindi l’aspetto politico, le sue provocazioni, gli amori, la spiritualità, tutte sfaccettature che pochi immaginano di lui. E soprattutto ho voluto raccontare la verità, per citare il vostro giornale, quella autentica, non quella che altri gli hanno voluto appiccicare addosso con le loro etichette. La libertà si paga caro e lui l’ha sempre pagata fino in fondo e anche di più». Però era molto orgoglioso di essere uno spirito libero.«La cosa emozionante delle interviste trasversali che ho fatto, da Franco Nero a Fabio Testi, da Fausto Bertinotti a Gigi Marzullo, da Lina Sastri a Steve Della Casa, è che tutti hanno parlato di lui con obiettività e rispetto, riconoscendo la sua intelligenza libera. Forse in vita non aveva potuto godere della manifestazione di questa stima. E non erano, credimi, le solite frasi che si dicono di tutti, dopo la morte. Ovviamente non si può non parlare delle sue intemperanze, del fatto che avesse un carattere a volte impossibile, però emerge la figura di un uomo giusto e leale, che non faceva sconti a nessuno perché non li faceva nemmeno a sé stesso». Qual è il suo primo ricordo di Squitieri?«Era l’estate del 2003 e io stavo preparando uno spettacolo con Lina Wertmüller, che si intitolava Peccati di allegria, dove Lina, eccezionalmente in scena, raccontava aneddoti e io, accompagnata dall’orchestra Toscanini di Parma, cantavo le più belle canzoni del cinema internazionale. Un giorno per ripassare il testo delle canzoni sono andata al bar Rosati…».Dove Squitieri era di casa… «Esattamente. I turisti stavano fuori e, per stare tranquilla, mi sono seduta all’interno. La sala era pressoché vuota, però in fondo erano seduti Pasquale, Tony Renis e un altro signore e ho sentito inevitabilmente, perché non c’era nessuno, quest’ultimo che diceva: “Che bella quella donna!”. Pasquale mi ha guardato: “Si, è davvero strana”. Dopo mezz’ora sono sfilati di fronte e Pasquale ha indugiato per un attimo, io ho alzato lo sguardo, ci siamo guardati e a me è venuto spontaneo dire: “Piacere maestro, sono Ottavia Fusco”. E lui: “Ma certo! Albertazzi mi ha parlato di lei”. Ci siamo stretti la mano e romanticamente, come ho scritto nel mio libro ’Nu piezzo ’e vita. Il mio amore per Pasquale, lettera per lettera, mi piace dire che poi quella mano non ce la siamo più lasciata».Era un uomo solo in quel periodo? «Aveva già lasciato Claudia Cardinale ed era andato a vivere a Castelnuovo di Porto, dove io tuttora vivo. Aveva deciso di uscire dalla mischia, di scavarsi un buco, come diceva sempre lui. Incontrandomi, credo abbia ricevuto una spinta vitale e creativa».Tanto che poi ha continuato a fare film…«Sì, fino all’ultimo straordinario film che non è stato pressoché distribuito, L’altro Adamo, il cui soggetto lo aveva scritto nel 1974, dove si parla di reale e virtuale, del rapporto tra l’uomo e il computer. È di un’attualità da brivido perché prevedeva quelli che sarebbero stati i risvolti drammatici dell’apparenza virtuale rispetto alla vita reale. Il protagonista, un pubblicitario piuttosto sfigato, gira con una telecamerina appuntata all’occhiello della giacca che filma tutti gli eventi della giornata. Il suo computer Ulisse modifica le situazioni a seconda di come lui avrebbe voluto che si svolgessero, fino a che una sera lui gli chiede di inventargli una storia d’amore vera, con una ragazza al semaforo che non ha il coraggio di avvicinare. Pensa un soggetto di questo genere scritto cinquant’anni fa!».Nel girare il documentario, qual è l’insegnamento di Squitieri che le è ritornato in mente?«Mi sono accorta di avere assorbito tantissime cose da Pasquale. Per esempio, che l’inquadratura è come un foglio bianco da squadrare, dove non devono esserci squilibri visivi tra un elemento e l’altro, bisogna cercare di bilanciare l’immagine». Fra i veri temi, c’è anche la spiritualità. Suo marito era credente? «Pasquale era molto sui generis anche in questo. Lo definirei una persona filosoficamente spirituale, però a volte, passando davanti a una chiesa, sentiva il bisogno di entrare e di raccogliersi in preghiera. Siccome io in quel periodo praticavo il buddismo, trovavo un po’ assurdo che mi facessi il segno della croce. Pasquale mi disse: “Sbagli perché, come diceva Federico II nell’incontro con il sultano al-Kamil, bisogna sempre onorare l’ospite che ci riceve”. E io da quel giorno ho sempre fatto il segno della croce, non solo questo mi ha anche attivato una sorta di evoluzione spirituale». Come ha affrontato questo tema?«Pasquale aveva un padre spirituale, don Sergio Mercanzin, che compare nel documentario in modo molto toccante e ricorda le loro lunghe disquisizioni teologiche negli ultimi tempi, quando Pasquale era a letto. Ho mostrato un disegno a matita che Pasquale non ha avuto tempo di finire, dove ha disegnato sé stesso in croce, proprio perché lui aveva un fortissimo legame con la figura del Cristo. Don Sergio mi ha fatto notare che ci sono due rette divergenti che partono dagli occhi, quasi a significare che il suo sguardo stava già rivolgendosi all’Infinito».Il suo primo film si intitolava Io e Dio…«Un film rivoluzionario in bianco e nero, che gli aveva finanziato Vittorio De Sica. Se vedi quel film, è un puro concentrato di talento, con cui ha anticipato tutti i temi che avrebbe affrontato nella sua cinematografia». Un capitolo del documentario è dedicato agli amori: è stato doloroso affrontarlo? «No, è stato doveroso, intanto perché altrimenti avrei fatto ridere i polli, poi è giusto affrontarlo perché è un aspetto importante della vita di Pasquale, che ha avuto quattro figli. Mi soffermo ovviamente sulla lunga storia d’amore con Claudia Cardinale e ci sono delle bellissime immagini di loro due, che erano degli strafighi pazzeschi. E affronto anche la mia storia. Il mio tono nel documentario è molto leggero, ironico, come a me piace essere». Come sarebbe piaciuto a Claudia Cardinale…«Sicuramente, perché era una donna di uno spirito irresistibilmente divertente». Avete lavorato assieme a teatro.«Pasquale ha avuto questa idea, forse un po’ sadica, quattro mesi prima di andarsene: “Io voglio riprendere a lavorare, mi piacerebbe dirigere te e Claudia in scena, che cosa ci possiamo inventare?”. Io, notoriamente masochista, invece di dire: “Ma sei matto”, gli ho risposto: “Se facessimo La strana coppia di Neil Simon nella versione femminile?”. E lui: “Ma questa è un’idea geniale!”. Ha convinto Claudia, che non era così contenta di lavorare insieme. Poi però lui è venuto a mancare e la regia l’ha rilevata il suo aiuto, Antonio Mastellone, Claudia e io abbiamo deciso, per onorare Pasquale, di andare avanti lo stesso». Che esperienza è stata?«Sono molto grata professionalmente a Claudia, intanto perché quello che aveva in mente Pasquale era di incuriosire con la presenza di tutte e due, e questo è riuscito benissimo. Inoltre, un nome gigantesco come quello della Cardinale ha fatto sì che facessimo il giro dei teatri più importanti d’Italia e con questo spettacolo ho vinto anche il premio Flaiano per il teatro 2018, cosa che mi ha fatto molto piacere. Nove mesi di tournée, un mese di prove, dieci mesi di convivenza lavorativa, sono tanti. La morte di Pasquale da un lato ci ha unito all’inizio, poi sono riemerse delle cose irrisolte».Quali?«Intanto, non c’era più Pasquale ad armonizzare le nostre due presenze. Nel mio ruolo di moglie ero molto benevola nei confronti di Claudia, probabilmente invece a lei faceva piacere che riemergesse la storicizzazione della sua storia e che in qualche modo i miei 14 anni con Pasquale scivolassero un po’ via. Chiaramente a me non andava, anche se non ne abbiamo mai parlato. C’è stata un’ultima telefonata, anche commovente, dove ci siamo dette che non saremmo mai state le più grandi amiche, ma che era stato bello incontrarci in nome di un grande amore. Poi non ci siamo più sentite, perché lei ha lasciato Parigi e si è trasferita a Nemours». C’è una dote umana che non pensavi avesse, conoscendola più da vicino?«Lo straordinario desiderio di vivere, aveva un’energia pazzesca. Tieni conto che aveva ottant’anni, quando abbiamo lavorato insieme. Voleva andare a ballare, voleva andare in discoteca, una vitalità incredibile. Era molto tenera. Quando veniva a casa, invece era molto più misurata. Questa la considero una dote umana».