2025-03-19
«Tangente al Csm per far eleggere un pm»
Samuele Calamucci, accusato di far parte della banda dei dossieraggi di Equalize, parla di una presunta «stecca» da centinaia di migliaia di euro versata al plenum del parlamentino dei giudici per condizionare una nomina.Ecco il verbale in cui gli «spioni» del caso Equalize parlano della presunta tangente pagata per far avere alla pm Isabella Ginefra la poltrona di procuratrice di Larino. Un racconto de relato (la fonte sarebbe l’imprenditore indagato Lorenzo Sbraccia), su cui la Procura di Milano dovrà cercare riscontri. L’atto è stato depositato al Tribunale del Riesame, dove gli inquirenti stanno provando a ottenere alcune misure cautelari rigettate dal gip a ottobre, come per esempio l’arresto del proprietario della Equalize, l’ex presidente della Fondazione Fiera Milano, Enrico Pazzali.Il documento contiene le dichiarazioni dell’ingegnere Samuele Calamucci, l’hacker della banda, il quale il 17 dicembre, al termine di un lungo interrogatorio davanti al pm Francesco De Tommasi, ha tirato fuori la storia della presunta mazzetta. L’altro testimone della ipotetica confessione, il super poliziotto Carmine Gallo, è, nel frattempo, morto d’infarto.Lo smanettone pentito (sta collaborando con i magistrati) ha tirato in ballo l’ex consigliere del Csm, Luca Palamara, l’ex vicepresidente di Palazzo Bachelet, Giovanni Legnini, l’ex presidente della Banca popolare di Bari, Marco Jacobini e il figlio Gianluca, entrambi in rapporti con Legnini, i quali avrebbero chiesto a Sbraccia di trovare i denari per oliare il parlamentino dei giudici e assicurare la nomina della Ginefra (anche se Calamucci non fa il nome), moglie del nipote di Marco Jacobini.Leggiamo il verbale: «Sbraccia piano piano inizia a dirci che lui ha conosciuto Piero Amara (il faccendiere della presunta Loggia Ungheria, ndr) e che gli ha presentato […] che all’epoca […], il papà di […] chiedono a Sbraccia un favore di pagare, io non mi ricordo se mi ha detto 250 o 450 mila euro... a […]». Dietro a quest’ultimo omissis ci dovrebbe essere, come ci hanno confermato più fonti, il nome di Palamara. Il racconto prosegue indicando il fine della mazzetta: «Far sospendere un plenum e fare eleggere il nuovo procuratore oppure procuratrice di Larino». Come abbiamo già scritto, in realtà, non viene sospeso alcun plenum, ma viene ribaltato il voto che la commissione per l’assegnazione degli incarichi direttivi aveva dato in favore di Antonio Clemente. All’epoca. tutta la corrente di Palamara, Unicost, appoggiò la Ginefra, anche se ciò non dovrebbe sorprendere, dal momento che la stessa era un’esponente di punta del gruppo.L’hacker racconta anche come Sbraccia avrebbe messo da parte il denaro per fare il presunto favore alla famiglia Jacobini: «Ci contestualizza il viaggio, dove ha dato i soldi, come ha preso i soldi in nero... e ci dice che praticamente. per recuperarli. lui prendeva dei proventi dalla fornace che stava nel suo paese di nascita, che non mi ricordo come si chiama…». L’unica cosa che l’indagato rammenta è che l’azienda, «una fornace di famiglia», si troverebbe in Abruzzo.«Attraverso il socio riusciva a far uscire dei soldi in nero... e prende questi soldi per conto […] e lì, un commento che abbiamo avuto io e Gallo tornando a casa la sera in macchina, e ci è sembrato che Sbraccia fosse la testa di legno della […]». Il pm domanda quanti soldi abbia preso il presunto corrotto e Calamucci risponde: «Non mi ricordo se 250 o 450 mila euro e dice che glieli ha dati nella terrazza di Roma, in via Torlonia, a […]». A questo punto l’hacker descrive l’attico di Sbraccia, che sarebbe una sorta di casa bunker, e il pm lo interrompe chiedendo conferma del coinvolgimento di Palamara: «Ma quindi lui (Sbraccia, ndr) invita […] a casa sua e gli dà la tangente...». Calamucci: «Esatto, per far eleggere questa procuratrice a Larino». L’indagato spiega di aver sentito questo racconto durante una cena al ristorante Bolognese di Milano nel 2022-2023, ma che il pagamento risale a «qualche anno prima sicuramente». De Tommasi chiosa: «A quando […] faceva parte del Csm».Calamucci: «Sì, penso erano anni prima, 2014, non lo so, però era qualche anno prima. Quando lui (Sbraccia, ndr) e Jacobini erano in buonissimi rapporti, perché successivamente lui è rimasto in rapporti solo con la moglie».Nel settembre del 2018, pochi giorni prima dello scioglimento del parlamentino dei giudici, il plenum promosse con 13 preferenze contro 9 la Ginefra. Votarono per la toga i cinque consiglieri di Unicost, capitanati da Palamara, due rappresentanti di Mi (la corrente conservatrice), i laici della sinistra Giuseppe Fanfani e Paola Balducci (in quota Nichi Vendola), quello di Forza Italia, Antonio Leone, il grillino Alessio Zaccaria e i componenti di diritto dell’assemblea (il primo presidente della Cassazione e il procuratore generale, rispettivamente di Mi e Unicost).Il pm chiede a Calamucci: «Poi fu nominata questa procuratrice di Larino?». L’hacker, anche se confessa di non ricordare il nome della toga, risponde: «Assolutamente sì...». E aggiunge: «Sbraccia ha detto che i soldi li ha spesi bene…». Qui gli omissis rendono abbastanza indecifrabile il contenuto del verbale, in particolare dove si legge: «Gli era abbastanza grato per questa cosa, però io non capivo dove fosse la gratitudine, perché ha ricevuto la mazzetta o perché questo procuratore era una funzione chiave magari, abbiamo ipotizzato con Gallo, per un duo […]-Sbraccia». Il quale, attraverso il suo entourage, ha smentito con forza la «fantasiosa ricostruzione». Anche Palamara, nei giorni scorsi, aveva respinto con La Verità i nuovi sospetti (è già stato prosciolto dall’accusa di aver intascato 40.000 euro per un’altra nomina): «Ancora con queste storie? Io ho sostenuto con convinzione la Ginefra, esponente di primo piano della mia corrente. Il resto sono tutte calunnie. Ho visto Sbraccia e Legnini insieme un paio di volte a casa dell’imprenditore e in un bar sotto il Csm, ma, in mia presenza, non si è mai parlato di nomine nella magistratura». L’avvocato di Palamara, Benedetto Buratti, ha chiesto alla Procura di Milano copia del verbale in vista di una denuncia per calunnia. Nel suo verbale Calamucci ha parlato anche della gara indetta nel 2015 dal comitato di presidenza del Csm, di cui faceva parte Legnini, per «l’affidamento in concessione del servizio di cassa» del parlamentino dei giudici, gara vinta dalla Popolare di Bari guidata dagli Jacobini.L’istituto di credito, nel 2019, è finito sull’orlo del crac ed è stato salvato solo dall’intervento del governo e del fondo interbancario di garanzia. Marco e Gianluca Jacobini sono finiti agli arresti domiciliari. Sulla questione, De Tommasi domanda a Calamucci: «Sbraccia le ha raccontato per caso le modalità attraverso cui il Csm ha individuato […] l’istituto di credito presso cui accendere il conto corrente?». Nel botta e risposta si fa un po’ di confusione tra la Banca popolare di Bari e la Banca del Fucino. Sbraccia è indicato come azionista e correntista di quest’ultimo istituto, dove sarebbe stato introdotto da un altro nome omissato (forse di nuovo Legnini, da qui potrebbe nascere l’equivoco), «banca che doveva essere la roccaforte del Pd come alternativa al Monte dei Paschi». In un altro passaggio, Calamucci spiega che quando Sbraccia era ancora «in buoni rapporti» con la famiglia Jacobini, Legnini «doveva prendere un ruolo all’interno» della Banca popolare, che allora «non aveva ancora fatto alcun crack». Un argomento su cui, tre giorni dopo, il 20 dicembre, il procuratore Marcello Viola in persona chiederà chiarimenti («le dichiarazioni mi hanno abbastanza colpito» spiega la toga all’indagato), in particolare sulla «tipologia di incarico che doveva essere conferito» all’ex vicepresidente del Csm. In ogni caso il progetto non andò in porto perché, precisa Calamucci, alcune figure istituzionali coperte da omissis, insieme con «Renzi e non so chi altro fanno questa riunione da lui (a casa di Sbraccia, ndr) e consigliano […] che questo ruolo non lo deve prendere» perché, in quel momento, l’istituto «sta andando verso un disastro». L’hacker, a un certo punto, sembra non ricordare più se al summit abbia partecipato Renzi o Giuseppe Conte. E così i due ex premier hanno avuto gioco facile a smentire la partecipazione alla riunione.
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