2022-12-23
Tamaro: «Da maestra vi dico che questa scuola non va»
Susanna Tamaro (Imagoeconomica)
La scrittrice, che ha fatto il concorso da docente elementare, boccia l’istruzione 4.0: «I bambini disimparano a pensare, inoltre da un lato sono spinti a performare e dall’altro sono trattati come “fragili” da tutelare. L’ideologia al potere uccide la fantasia».Da un po’ di tempo, Susanna Tamaro ha preso l’abitudine di veleggiare in direzione contraria rispetto al vento del pensiero prevalente. Nei giorni scorsi, mentre i più s’affannavano a spiegare perché non si dovrebbe temere la digitalizzazione della scuola, la nota scrittrice ha pubblicato sul Corriere della Sera un duro articolo contro la «Scuola 4.0» che verrà sostenuta tramite abbondanti finanziamenti del Pnrr. Una rivoluzione a cui la Tamaro proprio non intende arrendersi. «Io nasco come maestra elementare», ci racconta. «Ho fatto anche il concorso, l’ultimo negli anni Ottanta. Mi sono sempre interessata alle scuole, soprattutto le primarie. E poi scrivo da tempo libri per bambini tra gli 8 e i 12 anni. Ho un rapporto costante con la scuola da tanti anni». E questa versione 4.0 non le piace affatto.«No».Che cosa non va nella scuola di oggi?«Intanto il fatto che si è polverizzata la capacità di pensare dei bambini, a partire dai più piccoli. Noi, a scuola, scrivevamo i pensierini, e come maestra elementare - alle vecchie magistrali - io ho imparato a farli fare ai bambini. Poi al posto dei pensierini sono arrivate le crocette, e i puntini, e i questionari da compilare. In questo modo il pensiero complesso non si può formare, perché la vita non è fatta di crocette o di puntini da riempire. I danni, in ogni caso, cominciano proprio dalle basi».Cioè?«La scuola elementare e le medie sono state in qualche modo “liceizzate”, togliendo così la possibilità di imparare bene i fondamenti. Si insegnano cose molto complesse, ma si dovrebbe insegnare meglio le cose semplici: lavorare sui fondamenti, che si imparano con la ripetizione e l’esercizio».Vero. Però oggi le famiglie pretendono tantissimo dalla scuola, la caricano di aspettative, e forse scaricano su di essa il compito educativo che spetterebbe a loro. «Sicuramente. Una volta c’era una alleanza tra scuola e famiglia, mentre oggi sembra che ci sia uno scarico di responsabilità, e questo è un segno di grande fragilità. A me non piace affatto l’idea della scuola azienda, in cui non si insegnano più le basi ma si debbono fare le cose più interessanti, più stimolanti… Non ha senso: le cose stimolanti si faranno poi. Alle scuole primarie bisogna mettere le fondamenta, con l’esercizio. Non si fa più, e i risultati sono drammatici». Forse dipende anche dal fatto che la scuola ha assunto, nel corso dei decenni, un carattere sempre più «materno», anche perché le insegnante - specie alle primarie - sono quasi tutte donne. «Certo, ma non solo. Ci sono molte donne, ma c’è anche un continuo cambiamento di maestre. Se tu a 7 anni cambi una maestra all’anno, o due volte in un anno, hai a che fare con didattiche differenti, non riesci ad assorbire il sapere con continuità».A rendere ancora più complicata la situazione c’è il fatto che oggi molti bambini e bambine sono, come si dice, «certificati». Hanno disturbi dell’attenzione, dell’apprendimento…«Sì, e purtroppo non si va a indagare fino in fondo su che cosa ci sia dietro a questi disturbi, che talvolta si certificano con troppa velocità. In passato gli insegnanti avevano anche la possibilità di agire con una certa autorità, mentre oggi appaiono quasi del tutto impotenti, anche volendo agire con decisione in alcune situazioni non lo possono fare». Da che cosa dipende secondo lei questo eccesso di certificazioni? È un tentativo di controllo, in qualche modo biopolitico?«Da un lato c’è l’idea di cristallizzare la vita. Tu non sei più tu: sei il tuo disturbo, e il disturbo va curato. L’essere umano, in questa concezione, nasce già come potenziale malato. Poi c’è l’incapacità di capire la diversità umana, perché tra i bambini ci sono quelli timidi, quelli aggressivi, c’è di tutto. La diversità non è necessariamente malattia. Un tempo c’erano attività che consentivano di incanalare le energie, anche quelle in eccesso, aiutavano gli insegnanti a gestire la situazione. Erano piccole cose, come cantare in coro, che non si fanno più». Si preferisce certificare chi è troppo, diciamo, esuberante. Si esita a porre limiti perché si teme di urtare, di offendere. «Sì ma dobbiamo ricordarci che i bambini provano un grande piacere nell’imparare le cose, anche nella graduale difficoltà dell’apprendimento. E questo piacere così lo togliamo. Se non ci sono ostacoli con cui mettersi alla prova, la vita diventa disperazione, si genera smarrimento». Non sembra che la scuola 4.0 disegnata dalle linee di investimento previste dal Pnrr possa migliorare la situazione, anzi. Lei l’ha molto criticata, a partire dai termini con cui si presenta. «In quel piano c’è una terminologia impressionante per la complessità farraginosa che mostra. È pieno di inglesismi, di parole perfino ridicole. In ogni caso, mi lascia perplessa questa insistenza sulla digitalizzazione». Perché?«All’asilo e alle primarie, come dicevo, bisogna avere l’educazione di base dell’essere umano. Quella poi renderà capaci di avere a che fare meglio, eventualmente, con la tecnologia. Ma se cominciamo a fare ai bambini questo lavaggio fin da piccolissimi, temo che cresceranno in maniera totalmente acritica, cosa molto grave per una civiltà. Ci sono poi danni collaterali della tecnologia in eccesso. I bambini hanno totalmente perso la fisicità: a 8 o 10 anni non sanno correre, sono obesi, malati, hanno paura di fare qualsiasi cosa di un po’ impegnativo».Dobbiamo aggiungere le conseguenze della reclusione e della didattica a distanza. «La dad è stata catastrofica, i bambini non hanno imparato niente, ma hanno sofferto tantissimo. Se fossi stata ministro dell’Istruzione, subito dopo il lockdown, avrei per prima cosa spedito i bambini fuori a giocare per i successivi tre mesi. Si sarebbe recuperato il tempo perduto l’anno dopo, e forse si sarebbe riusciti a compensare la reclusione. Parlando con tanti insegnanti mi dicono che invece oggi ci sono moltissimi problemi, ci sono classi ingestibili dopo il rientro a scuola, bambini che non stanno seduti, non si concentrano…». In compenso spesso si pretende che nella scuola entri il cosiddetto impegno sociale. Che si parli di fluidità di genere, o di rivoluzione green…«La scuola sta diventando una palestra ideologica e anche questa idea del 4.0 fa parte dell’ideologia. E l’ideologia è la fine della fantasia, della creatività, della vita… Il fatto che nella scuola sia entrata la melassa buonista è stato deleterio». Ne parlavamo prima: nella società del trauma non bisogna offendere. «Ma il bambino è pieno di istinti negativi, come ogni essere umano. Crescendo deve imparare a conoscerli e dominarli, serve per vivere con gli altri. Tutto questo è stato cancellato. L’idea che ci sia un lavoro da fare su sé stessi è stata ridicolizzata dal buonismo, da questa melassa spalmata ovunque. Poiché abbiamo perso il senso della vita, temiamo che la minima difficoltà tarperà per sempre le ali ai bambini. Ma non funziona così: l’essere umano è fortissimo, ha risorse interiori pazzesche. Non si può evitare il trauma, tutta la vita è trauma, a partire dalla nascita. Ma siamo fatti per superare i traumi. E dobbiamo sapere che nella vita esiste anche il male, la sventura, la guerra». Da un lato si vuole appunto evitare il trauma e si creano i piccoli «fiocchi di neve». Dall’altro però si impone da subito una sorta di competizione, si richiede la prestazione. Sembrano due facce della stessa medaglia. «Sì, c’è anche questo aspetto. Si insiste sul fatto che devi essere molto performante, devi fare il massimo, che devi essere già pronto fin da piccolo ad entrare nella vita. È l’altro lato del discorso che facevamo, ed è molto triste. Senza considerare poi quel che ciò che comporta per gli insegnanti, per cui ormai il lavoro è H24. Basti pensare alle chat con i genitori a cui si deve rispondere a ogni ora…».A proposito di cellulari, il ministro Valditara ha diffuso una circolare - pur blanda - per impedire che siano usati in classe. Lei che ne pensa? «Mi sembra sacrosanto. Apprendere richiede attenzione: se l’attenzione non c’è non si impara nulla. Io sono anche una insegnante di arti marziali, da tanti anni. La pratica mi ha insegnato che se non c’è la ripetizione non si apprende. L’attenzione e la fatica sono il fondamento dell’imparare».