2022-05-25
Muscoli cinesi, caos Usa e microchip. Così Taiwan diventa linea del fronte
Le sbandate di Joe Biden sulla difesa militare dell’isola scatenano il Dragone, che minaccia: nessuno fermerà la nostra riunificazione nazionale. Pesa la partita strategica del controllo sulla produzione di semiconduttori.Non accenna a diminuire la tensione su Taiwan, dopo le parole pronunciate l’altro ieri da Joe Biden. «Vorrei ricordare agli Usa che non c’è forza al mondo, compresi gli Usa, che possa fermare il popolo cinese dal raggiungimento della completa riunificazione nazionale», ha detto il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin. «Non c’è forza al mondo, compresi gli Usa, che possa salvare il destino delle forze dell’indipendenza di Taiwan dal fallimento», ha aggiunto, per poi proseguire minacciosamente: «Consigliamo agli Usa di ascoltare una famosa vecchia canzone cinese. Canta: quando arriva un amico, c’è del buon vino. Se arriva lo sciacallo, c’è un fucile per salutarlo». L’altro ieri, Biden aveva detto che gli Stati Uniti sarebbero intervenuti militarmente in difesa di Taipei: parole che erano suonate come una sconfessione della classica posizione americana, improntata alla cosiddetta «ambiguità strategica» (vale a dire, evitare di esplicitare preventivamente se Washington invierebbe o meno proprie truppe in sostegno dell’isola in caso d’invasione). A stretto giro la Casa Bianca aveva, tuttavia, smentito un cambio di linea da parte degli Stati Uniti, confermando l’invio di armi ai sensi del Taiwan relations act ma negando ogni impegno americano a mandare soldati in difesa di Taipei. Un qui pro quo simile si era registrato già a ottobre, quando, esattamente come due giorni fa, il presidente americano si ritrovò sconfessato dal suo stesso staff. La confusione mostrata dalla Casa Bianca è finita nel mirino dei repubblicani. «Probabilmente il nostro Paese non è mai stato peggio di oggi. Penso che stiamo correndo come non mai il rischio di una guerra nucleare», ha detto Donald Trump. «Non siamo più un Paese rispettato». Critico dell’uscita di Biden si è mostrato anche l’ex segretario di Stato americano, Mike Pompeo. «Penso che ci sia molta confusione all’interno di questa Casa Bianca. Immagino che i nostri amici e alleati in tutto il mondo stiano dicendo: ma cosa diavolo sta succedendo? Questa non è stata una dichiarazione utile per la politica estera americana», ha affermato. Effettivamente vedere un presidente americano che si ritrova smentito dal proprio staff nel giro di pochi minuti su una dichiarazione esplosiva (come quella dell’altro ieri) non è proprio il modo migliore per esercitare la deterrenza nei confronti di un regime aggressivo, quale è quello del Partito comunista cinese. Del resto, già la crisi ucraina e quella afgana hanno tristemente mostrato l’incapacità di Biden nel dissuadere i propri avversari dall’agire. Un fattore, questo, che ha contribuito all’instabilità internazionale dell’ultimo anno e mezzo. Senza contare che, proprio sulla Cina, l’amministrazione americana è internamente divisa (dai dazi al clima, passando per i diritti umani), con la debole leadership del presidente che fatica a trovare una sintesi efficace. In particolare, il dossier taiwanese sta diventando sempre più scottante sotto vari punti di vista. In primis, si scorgono ragioni storiche. Nonostante Pechino parli di «provincia ribelle», le cose non stanno così. La Repubblica di Cina, trasferitasi a Taiwan nel 1949 a seguito della guerra civile tra nazionalisti e comunisti, non ha infatti mai riconosciuto la Repubblica popolare, istituita da Mao Zedong. In secondo luogo, Pechino punta a creare un nuovo ordine di cui essere il perno e il dossier taiwanese è parte integrante di tale progetto: non è, del resto, un caso che le incursioni cinesi nello spazio di difesa dell’isola sono riprese poche settimane dopo la caduta di Kabul.Un terzo fattore da non sottovalutare è quello dell’alta tecnologia. Taiwan è il principale produttore di semiconduttori al mondo e la sua importanza strategica aumenta man mano che Usa e Cina incrementano la propria indipendenza reciproca nel settore hi-tech. È anche in questo senso che il colosso tecnologico taiwanese Tsmc sta esplorando la possibilità di svilupparsi in Europa. A dicembre ha avviato trattative con la Germania per realizzare uno stabilimento nel Paese, mentre colloqui sono stati intavolati anche con il governo italiano. Inoltre la società sta costruendo un impianto da 12 miliardi di dollari in Arizona e un altro da 7 miliardi in Giappone. D’altronde la tensione resta alta. Ieri Tokyo ha dichiarato che aerei da combattimento russi e cinesi hanno volato nei pressi del suo spazio aereo. La questione è significativa sotto due punti di vista. Innanzitutto questo atto evidenzia il consolidamento dell’asse sino-russo. In secondo luogo, proprio ieri a Tokyo Biden incontrava i leader del Quad. Tutto questo mostra come il tentativo del presidente americano di sganciare Pechino da Mosca sia solo una pia illusione. Inoltre, Biden deve fare attenzione, perché, anche a causa dei suoi errori in politica estera, si sta alienando le simpatie di Paesi che erano fino all’altro ieri agganciati all’orbita occidentale: un esempio è proprio l’India, che sull’invasione russa dell’Ucraina sta tenendo un atteggiamento molto ambiguo. Sotto questo aspetto, è preoccupante che, nel comunicato finale del summit Quad di ieri, non sono state citate né Cina né Russia. La confusione che regna alla Casa Bianca è un problema per l’Occidente e i suoi alleati. Pechino, come Mosca, segue una logica di potenza. E una leadership americana contraddittoria rischia soltanto di rivelarsi uno sciagurato regalo a Mosca e a Pechino.