
La misura votata dal cdm sembra mettere nel mirino presunti speculatori. In realtà «copre» gli errori fatti da Bruxelles.Il Consiglio dei ministri tenutosi lo scorso venerdì sera ha licenziato una bozza di decreto legge che, tra le tante disposizioni, contiene l’abbassamento delle accise sulla benzina di 25 centesimi al litro e una tassa straordinaria sui profitti delle aziende energetiche. «Le misure varate oggi», ha detto Mario Draghi in conferenza stampa, «ammontano a ulteriori 4,4 miliardi e questa volta il finanziamento non arriva dal bilancio dello Stato ma avviene attraverso la redistribuzione dei profitti fatti dalle aziende».Ecco servito, all’ora di cena prima del weekend, un buon piatto di populismo. Non quello sudato e un po’ caciarone cui da qualche anno siamo abituati, ma quello distinto e serioso delle conferenze stampa ministeriali. Se i prezzi sono aumentati, sembra dire il governo, è colpa della speculazione, quindi andiamo a riprenderci i profitti accumulati ingiustamente. La retorica paternalistica dall’alto blandisce i cittadini, ridotti a infanti cui raccontare il mondo per categorie tagliate con l’accetta: i buoni consumatori e i cattivi speculatori. La norma, contenuta all’articolo 37 della bozza di decreto che abbiamo potuto leggere, tende a replicare la celebre Robin hood tax, la tassa intitolata a colui il quale nella leggenda rubava ai ricchi per dare ai poveri. Questa fu introdotta in Italia già nel 2008 ma giudicata incostituzionale sette anni dopo perché secondo la Consulta essa «ha previsto una maggiorazione d’aliquota di una imposizione, qual è l’Ires, che colpisce l’intero reddito dell’impresa», e non i soli sovraprofitti, poiché mancante di «un meccanismo che consenta di tassare separatamente e più severamente solo l’eventuale parte di reddito suppletivo connessa alla posizione privilegiata dell’attività esercitata dal contribuente al permanere di una data congiuntura». Con un simile precedente, la nuova tassa sembra partire già un po’ zoppa. Dal punto di vista strettamente fiscale, diversi sono i rilievi che si possono fare. Il nuovo testo prevede che le aziende energetiche versino allo Stato il 10% «dell’incremento del saldo tra le operazioni attive e le operazioni passive, riferito al periodo dal 1° ottobre 2021 al 31 marzo 2022, rispetto al saldo del periodo dal 1° ottobre 2020 al 31 marzo 2021», se questo è superiore a 5 milioni di euro. Un aumento del margine così calcolato non è detto che sia per forza legato all’applicazione di prezzi più alti. Per esempio, potrebbe essere legato a un aumento del volume d’affari, magari avvenuto con margini unitari in calo. Tanto più se si considera che il periodo di confronto alla base del calcolo è quello dell’autunno-inverno 2021, nel pieno del secondo picco Covid con restrizioni che deprimevano prezzi e consumi. Di per sé, insomma, l’aumento del margine di contribuzione non è indicativo di sovraprofitti. Tralasciamo qui la considerazione che a fronte di maggiori profitti normalmente già si pagano maggiori imposte.Nell’attesa del testo definitivo, l’indeterminatezza della norma sembra aprire, ancora una volta, a una bocciatura in sede di eventuale ricorso alla Corte costituzionale. Una sovratassazione applicata ex post, che modifica a posteriori il quadro di riferimento assomiglia molto a una confisca, attuata nell’ipotesi che i profitti aggiuntivi derivanti da una situazione eccezionale siano in radice ingiusti e quindi suscettibili di tassazione straordinaria ex post. Pur se in dottrina diversi studiosi giudicano in astratto legittima questa pratica, c’è da chiedersi se una siffatta convinzione non possa portare un potere centrale a decidere di volta in volta, arbitrariamente, quale è il margine di profitto «giusto». E quale è il profitto giusto, come si misura? Oggi si parla dell’energia, e domani? Il mercato, molto semplicemente, fa quello che gli è consentito di fare. Nel caso specifico, la salita vertiginosa dei prezzi del gas dell’ultimo anno è dovuta all’errore marchiano dell’Unione europea, che ha imposto un mercato spot totalmente asimmetrico e concentrato, il Ttf, come riferimento per i prezzi di tutto il continente. Nell’illusione che la crescente liquidità e la forza della moneta comune avrebbero compensato la concentrazione dell’offerta e la rigidità della domanda. Ma le leggi economiche non obbediscono al volere dei soliti burocrati, bensì si esplicano nel concreto per quello che sono: l’euro è quello che è, la concentrazione dell’offerta di gas è quella, nonostante i wishful thinking di Bruxelles. In Italia, poi, il Ttf è riferimento non solo per il libero mercato, ma anche per i soggetti che ancora sono nel mercato cosiddetto tutelato. Le tariffe del mercato tutelato gas, infatti, sono collegate al mercato Ttf e variano trimestralmente. Il paradosso delle regole attuali, dunque, è che chi dovrebbe essere protetto (tutelato) dal mercato, affidandosi all’autorità pubblica per fruire del servizio a costi ragionevoli, è in realtà in balia dello stesso, ma senza avere le informazioni e gli strumenti necessari per difendersi. Dare la colpa dei rincari alla speculazione è il modo più efficace per nascondere la colossale inadeguatezza delle regole europee e di chi le ha disegnate al riparo dal processo elettorale e dalla responsabilità politica.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.