Dal triduo pasquale al Pasquale Tridico è un attimo; in cerca di sostegno per il padre del reddito di cittadinanza - doveva sconfiggere la povertà, in 50 mesi è costato 34,5 miliardi il più grande esproprio di ricchezza che sia mai stato fatto in Italia, neppure ai tempi dell’oro alla patria il ceto medio fu così tosato - in Calabria i pentastellati sperano in una sorta di passione, morte e resurrezione. Hanno arruolato a sostegno dell’eurodeputato che, con 17.000 euro netti al mese, almeno la propria povertà l’ha sconfitta una serie di professori emeriti, di esponenti della gauche che non ha mai stretto un bullone, ma anela alla classe operaia per dire meglio di Tridico nessuno. Il fatto è che firmando gli appelli - l’ultimo esempio quello dei pro-pal che al festival del Cinema hanno incassato una serie di sdegnati distinguo dai più quotati attori e registi italiani - alla sinistra capita spesso di deragliare. L’hanno fatta proprio grossa stavolta. Due giorni fa hanno fatto uscire l’appello degli intellettuali per Pasquale Tridico e tra i firmatari figura anche Federico Butera - un valentissimo sociologo che molto si è occupato di lavoro e impresa - che però ha un difetto: è morto a febbraio. Come abbia potuto firmare per Pasquale si spiega solo col triduo pasquale: passione per Tridico, morte che fa parte delle cose che capitano, e resurrezione. Perché chi è capace di sconfiggere la povertà per decreto figurati se non è in grado di imitare il Nazareno (peraltro lì ha sede il Pd e col campo largo tout se tien!) e far resuscitare un emerito firmatario! Oppure Mimmo Lucano, che sperano di far candidare. Sarebbe sufficiente questo per dire come in Calabria il campo largo che comincia da avere preoccupanti smottamenti - la coppia di fatto «Fratonelli» di Avs vuole un posto al sole, in Campania sta succedendo la qualunque, in Toscana Carlo Calenda ha sbattuto la porta, nelle Marche mezza base dei cinque stelle è in rivolta perché non vuole appoggiare l’indagato Matteo Ricci mentre Elly Schlein che aveva promesso mai patti con i cacicchi ora è in stato d’assedio presa a forbice da Vincenzo De Luca e dai prodiani dalla Bindi a Ruffini - si debba aggrappare anche alle referenze alla memoria. Ieri peraltro tra il presidente uscente Roberto Occhiuto e ricandidato dal centrodestra e Pasquale Tridico c’è stato un reciproco scambio di accuse attorno alla proposta del fu presidente dell’Inps di lanciare un reddito di dignità (sarebbe la versione alla ‘nduja di quello di cittadinanza) per i calabresi. Per Occhiuto la proposta di Tridico è «una grande sola» e lo ha spiegato in un video pubblicato sui social dell’ex presidente della Regione sostenendo che Tridico su questa fantasiosa proposta ha cambiato versione tre volte essendosi accorto che non si può fare un reddito di cittadinanza regionale. Sostiene Occhiuto: «Non lo dico io che la proposta è una sola, ma ve lo faccio dire da un economista che ha lavorato anche con i Cinque Stelle Marcello Minenna» che in effetti nel video spiega: «Non ci sono fondi europei in Calabria in grado di sostenere questa misura di reddito che stanno presentando. Secondo me presidente devi dire ai calabresi come stanno le cose». Indispettito Pasquale Tridico risponde: «Occhiuto e i suoi pseudo economisti dovrebbero studiare di più. Non conoscono nemmeno la differenza tra reddito minimo, ovvero il reddito di dignità e gli incentivi alle aziende». Non spiega però Tridico con si sia consultato. Viene un sospetto; non sarà che ha chiesto a Romano Prodi, esperto in sedute spiritiche, visto che in suo favore firmano anche i morti?
Nell’Europa del rigore di bilancio si preparano a sbarcare il papà del reddito di cittadinanza e i nipotini del Superbonus. Le liste del Movimento 5 stelle per le Europee mettono in rampa di lancio Pasquale Tridico, ex presidente dell’Inps e «mente» del sussidio di nullafacenza, naturalmente candidato al Sud, e una serie di carneadi che sperano di incassare con un seggio a Strasburgo la gratitudine di chi si è rifatto la casa con le magie del 110%. Se entrambi i provvedimenti non avessero scassato le finanze pubbliche ci sarebbe anche da sorridere, ma purtroppo gli italiani seri rischiano di pagare due volte: prima come contribuenti e poi, pro quota, pagando l’eurostipendio (7.300 euro netti al mese) a personaggi che sono riusciti a inventare la versione legale (e assolutamente non mafiosa) del voto di scambio.
Giuseppe Conte è tra i pochi leader di partito che si non si presenteranno alle elezioni di giugno, dove per altro i grillini non hanno mai brillato. Alle 22 di venerdì si sono chiuse le consultazioni in Rete degli iscritti di M5s per votare le candidature proposte dall’ex avvocato del popolo. Hanno votato 18.414 persone e 16.108 hanno detto «sì» alle proposte del leader, che sono quindi approvate. E allora, semaforo verde per i tre europarlamentari uscenti che non hanno già fatto i due mandati, ovvero Maria Angela Danzì, Mario Furore, Sabrina Pignedoli. E poi ecco Ugo Biggeri e Martina Pluda per il Nordest, Carolina Morace per il Centro, Pasquale Tridico e Maurizio Sibilio per il Sud, Giuseppe Antoci e Cinzia Pilò per le isole.
Biggeri, 58 anni, è un attivista fiorentino che ha guidato Banca etica ed è un nome noto della galassia che si batte contro l’industria delle armi, mentre Pluda è un’animalista friulana che dirige l’organizzazione non profit Humane society international. Morace, avvocato, è nota al grande pubblico perché è stata la prima calciatrice italiana a raggiungere una certa fama, mentre Sibilio è un professore di didattica e prorettore dell’università di Salerno. Ma tra i 5 stelle, ormai, il nuovo «professore» è Tridico, classe 1975, economista e presidente dell’Inps in quota Luigi Di Maio dal 2019 al 2023. Il suo reddito di cittadinanza, oltre a ingessare il mercato del lavoro, secondo dati dello stesso Inps è costato almeno 34 miliardi ed è andato in gran parte al Sud, dove i sussidi erano arrivati a essere il quadruplo che al Nord. E non a caso è proprio nelle circoscrizioni elettorali del Mezzogiorno, con sinallagma perfetto, che Tridico va a occupare il bacino elettorale che fu del primo Di Maio e si candida per andare in Europa. A fare che cosa? Purtroppo il professore l’ha già annunciato a Fanpage tre giorni fa: «Porterò il reddito di cittadinanza in Europa». Così, tanto per rinverdire i vecchi luoghi comuni sugli italiani «pizza e mandolino». E sofà.
Per trovare un caso così smaccato di voti richiesti dopo una pioggia di soldi di Stato bisogna andare indietro al 2018, quando il «tecnico» (come Tridico) Pier Carlo Padoan salvò dal fallimento il Monte dei Paschi di Siena con i soldi di tutti contribuenti italiani e poi si fece eleggere senatore per il Pd proprio nel collegio elettorale di Siena.
Scorrendo i nomi degli altri candidati di M5s si trovano i i consueti personaggi di seconda fila, mischiati a una stragrande maggioranza di sconosciuti. Il Movimento non se la passa bene, dopo la batosta delle politiche del 2022 (e l’idea suicida di appoggiare il governo di Mario Draghi), ma può ancora sparare qualche freccia. Quella più appuntita è sicuramente la possibile gratitudine di una certa Italia per la manna del Superbonus, costato finora oltre 120 miliardi di euro. Se il Movimento farà campagna su reddito di cittadinanza, Superbonus e salario minimo, non è detto che anche un po’ di questi Forrest Gump non finisca a Strasburgo. Magari con qualche trombato. Tra i vari nomi «nuovi» per l’Europa, per esempio, c’è la più votata al Sud in questa tornata consultiva interna che è Valentina Palmisano. Si tratta di un avvocato di Ostuni che aveva fatto il deputato nel 2018, ma che alle ultime elezioni era stata bocciata e aveva ripiegato sul consiglio comunale. Adesso ricomincia dall’Europa, in lista per il Sud in seconda posizione dietro Tridico. Viene invece spedito nel Nordovest Gaetano Pedullà, giornalista catanese ma romano di adozione, mentre Valentina Pococacio, per dieci anni alla guida dei grillini nel consiglio comunale di Terni, corre nel Centro Italia. A Nordovest, in terza posizione c’è la piemontese Antonella Pepe, che in passato ha già tentato senza fortuna la scalata al comune di Nichelino e nel 2022 non è riuscita a sbarcare a Montecitorio per colpa della débâcle
generale del Movimento.
Le elezioni europee di giugno sono una medicina che rischia di essere amara per il Movimento. Nel 2014 e nel 2019 il M5s prese la metà dei voti delle politiche precedenti e ora Giuseppe Conte accenderebbe un cero all’amato Padre Pio se riuscisse a confermare il 15% ottenuto alle politiche del 2022. La scelta di un capolista come Tridico indica che l’ex premier ha deciso di giocare la carta dell’assistenzialismo più smaccato. E il fantasma di Beppe Grillo? È riapparso due sere fa a Roma, in un teatro, e ha detto ai cronisti: «Come va il Movimento? Io sono ottimista, perché qui i germi ci sono ancora. Ora Conte deve cominciare ad avere un po’ di verve, ma l’ho visto molto in forma». In forma o meno, l’avvocato di Voltura Appula sicuramente fa e disfa liberamente. Soprattutto disfa.
Il Riformista di Matteo Renzi attacca il presidente uscente dell’Inps Pasquale Tridico, considerato inadatto a gestire l’uscita dal reddito di cittadinanza, ma non dice nulla dei clamorosi affari realizzati con l’Inps dal suo editore Alfredo Romeo. Stiamo parlando dei floridi bilanci della Romeo gestioni Spa, alla quale l’Inps di Tridico e del direttore generale Vincenzo Caridi, e prima ancora dell’ex presidente Tito Boeri, ha affidato la gestione di metà del patrimonio immobiliare dell’istituto.
Dalla relazione della Corte di conti sulla gestione finanziaria dell’Istituto per l’esercizio 2020, risulta che l’ente perde circa 80 milioni di euro l’anno per colpa della gestione immobiliare.
Stiamo parlando di circa 24.400 immobili da reddito del valore complessivo di circa 2,15 miliardi di euro. Dentro ci sono circa 9.250 immobili a uso abitativo, quasi 11.000 uffici e 1.380 negozi, oltre 1.750 strutture ricettivo-alberghiere, circa 900 tra box e cantine (dati 2020).
Dal documento apprendiamo che il reddito lordo proveniente da affitti e entrate similari, in mano a Romeo, era di 23,3 milioni a fronte di 22,1 di spese di gestione a cui andavano aggiunti 38 milioni tra imposte locali e ammortamenti. Con il risultato che un patrimonio da 1,2 miliardi di valore aveva un rendimento negativo del 3,12 per cento e un disavanzo di 37 milioni di euro.
Certo i numeri non miglioravano di molto considerando gli immobili gestiti ancora dall’Inps (case di cura, convitti, case di riposo), insieme con Romeo per la parte ex Inpdai. In questo caso il reddito lordo degli immobili (del valore di 965 milioni di euro) era di 26 milioni, le spese gestionali pesavano per 18,2 milioni a cui andavano aggiunte quasi 30 milioni di spese «obbligatorie non discrezionali» (imposte locali e ammortamenti) che portavano il reddito netto da 7,7 milioni a -22 milioni, con un rendimento negativo del 2,8%.
Costi altissimi che non hanno modificato la situazione di degrado e abbandono in cui versa quel patrimonio immobiliare costruito con i soldi di contribuenti e assicurati.
Ma come si è arrivati a questo disastro? Nel 2015 si concluse la gara che doveva individuare un unico gestore di quel tesoretto, riducendo la frammentazione precedente e assicurare un’efficace e puntale gestione amministrativa e tecnica di tutto il patrimonio.
Infatti alle proprietà dell’Inps, già amministrate dalla società Igei (Inps gestione immobiliare), era state sommate quelle di altri enti per effetto della soppressione di Scau (Servizio contributi agricoli unificati), Sportass (Cassa di previdenza per l’assicurazione degli sportivi), Ipost (Istituto postelegrafonici) e Inpdai (Istituto nazionale di previdenza per i dirigenti di aziende industriali).
La Romeo gestioni si è aggiudicata questo appalto al termine di un lungo contenzioso che l’ha vista contrapposta allo stesso istituto e soltanto per effetto di una sentenza del Consiglio di Stato che ha ordinato il subentro nel rapporto contrattuale stipulato dall’istituto con l’originario aggiudicatario.
Nel frattempo, l’Inps aveva incorporato anche l’Inpdap (Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica), che con l’Inpdai aveva portato in dote il 90 per cento degli immobili, e l’Enpals (Ente nazionale di previdenza e assistenza per i lavoratori dello spettacolo).
Nel 2017 l’attività di gestione di tutto il patrimonio da reddito dell’istituto era svolta sotto il coordinamento della Direzione centrale patrimonio e archivi di Giorgio Fiorino, ex dirigente Inpdap transitato in Inps.
Alla scadenza del rapporto contrattuale con Romeo, è stata la direzione di Fiorino a predisporre gli atti per la nuova gara.
Il bando reca la firma di Caridi, anch’egli ex dirigente Inpdap.
All’epoca questi era a capo della Direzione centrale acquisti e appalti che gestiva le gare.
Quella bandita da Caridi e Fiorino è stata aggiudicata il 18 giugno del 2020, dopo due anni di procedura, nuovamente alla Romeo gestioni, stavolta senza contenziosi, ma individuando come migliore la proposta dell’imprenditore napoletano.
In quel momento, Tridico è da più di un anno presidente dell’istituto e Caridi è stato promosso, su proposta di Tridico, dg.
Il valore annuo del contratto è pari a 18 milioni di euro per un complessivo valore di oltre 54 milioni per tre anni, prorogabile per altri tre.
Un’assegnazione sicuramente regolare dal punto di vista procedurale, ma non per forza vantaggioso per l’ente.
Dalla lettura del contratto, si ricava che l’esperienza di gestione negativa registrata dall’istituto negli anni precedenti non sarebbe servita di lezione, non essendo migliorata la redditività del patrimonio.
Nell’accordo, come rilevano specialisti esperti del settore, non è fissato alcun obiettivo di miglioramento della gestione o un processo sistematico di valutazione.
Non vi sono sistemi di misurazione dei risultati con eventuali penali e premi correlati a obiettivi misurati e misurabili.
Non è prevista nemmeno una due diligence sul patrimonio che consenta all’Inps di avere una conoscenza più approfondita della situazione e di assumere scelte più oculate rispetto a un patrimonio che si trova in una situazione di sostanziale degrado.
Per esempio sono numerosi gli occupanti abusivi degli immobili dell’Inps. L’ente non solo non li allontana, ma provvede al pagamento delle spese condominiali. E in molti casi questi occupanti sembrano percepire dall’istituto anche il reddito di cittadinanza.
La remunerazione della Romeo gestioni è legata al numero delle unità immobiliari amministrate, ma nel contratto si affida alla Romeo anche l’attività di supporto alla vendita e dismissione del patrimonio che l’istituto ha in corso da anni e persino i contenziosi, nonostante vi sia un Avvocatura interna con oltre trecento legali. Ci si chiede quale impegno possa mai mettere un appaltatore in una attività di supporto alla vendita che porta alla diminuzione del numero delle unità immobiliari amministrate da cui dipende il suo cospicuo compenso, che sembra l’unico dato certo.
Ma anche la storia della Igei è interessante. Si tratta di una società in house costituita dall’Inps nel 1992 per «la gestione, nel rispetto dei criteri di economicità ed efficienza del patrimonio immobiliare da reddito dell’Inps», così si legge nello statuto.
L’Inps deteneva il 51 per cento delle quote. Nel 1996 è stata messa in liquidazione. La gestione in house non produceva reddito, per questo si pensò di provvedere con l’esternalizzazione dei servizi immobiliari a società come Prelios, Sovigest (socie in Igei), Romeo gestioni e altre.
Ad oggi, dopo quasi trenta anni dalla messa in liquidazione, Igei non è ancora stata chiusa definitivamente e ogni anni obbliga al pagamento oltre che del liquidatore anche dei sindaci ed dei membri di organi di controllo tra cui ci sono sempre anche dirigenti Inps; e la redditività non progredisce, visto che si legge nella relazione della Corte dei conti sull’esercizio Inps del 2015 che l’utile netto nel 2015 è pari ad euro 9.823.
Nel 2018, con Igei non ancora estinta, si è passati alla gestione in outsourcing della Romeo con un contratto che affidava la gestione di 28.500 unità immobiliari (in parte successivamente vendute) a un unico gestore e non prevedeva meccanismi concorrenziali per la scelta dei subfornitori di servizi: è direttamente la Romeo a scegliere giardinieri, fabbri, operai, elettricisti, idraulici ed altro.
Ma se la gestione del patrimonio Inps è in rosso, i risultati della Romeo gestioni sono stabilmente in nero: basti pensare che l’utile netto è salito da 17 milioni del 2020 ai 21 milioni del 2021.
E Alfredo Romeo, grazie anche ai soldi dell’ente previdenziale, è entrato nel mondo dell’editoria rilevando il quotidiano l’Unità dal fallimento, dopo essere diventato editore del Riformista.
Nel 2016 a interessarsi alle sorti dell’Unità era stato Matteo Renzi, all’epoca premier e segretario del Pd. Per il salvataggio della storica testata i suoi sondarono proprio Romeo, già finanziatore del senatore di Rignano sull’Arno. Oggi il fu Rottamatore è diventato direttamente un dipendente di Romeo, essendo stato assunto come direttore del Riformista.
Ma niente avviene per caso e anche in questa occasione dobbiamo annotare corsi e ricorsi storici. Come risulta chiaro dalla vecchia inchiesta Consip. All’epoca, nell’ottobre del 2016, Carlo Russo, l’imprenditore toscano legato a doppio filo con Tiziano Renzi, si preoccupò di fare incontrare il direttore del settore patrimonio dell’Inps, Daniela Becchini, con lo stesso Romeo: «Si metterà a disposizione», annunciò Russo. Il 5 ottobre i carabinieri del Noe monitorarono l’incontro. Becchini cercava l’appoggio di Romeo per diventare direttore generale dell’ente.
Oggi il Riformista di Renzi plaude all’allontanamento di Tridico, poiché l’ex presidente «grillino non può essere lui a gestire la fase di sepoltura del reddito di cittadinanza e di lancio dei nuovi strumenti di assistenza e gli incentivi al lavoro». Ma, ovviamente, può essere sempre Romeo a gestire gli immobili dell’ente. Nonostante i risultati negativi. Su questo, siamo certi, non c’è da aspettarsi nessuna inchiesta dei segugi del Riformista.
All’Inps la fabbrica delle promozioni non si ferma mai. Nonostante il presidente uscente Pasquale Tridico sia stato commissariato, così come il direttore generale Vincenzo Caridi, va avanti senza sosta il lavoro iniziato l’anno scorso di fidelizzazione di dirigenti e funzionari a colpi di nomine e aumenti di stipendio. Il 21 luglio 2022 cade il governo Draghi; una direttiva della Presidenza del Consiglio sul disbrigo degli affari correnti invita a limitare le nomine, solo quelle di urgenza o derivanti da esigenze funzionali non procrastinabili.
Tridico e Caridi affrontano il semestre bianco come se non fosse accaduto nulla: a fine mese il presidente nomina l’avvocato generale che pochi giorni dopo firma il parere favorevole al prolungamento del mandato di Tridico.
Il 3 novembre si provvede alle nomine di tutti i dirigenti di prima fascia e poco dopo anche quelli di seconda fascia; poi seguono un’ottantina di incarichi retribuiti di coordinamento per gli avvocati e una ventina per altri professionisti, tutti assegnati a febbraio e della durata di circa 4 anni. Adesso tocca alle posizioni apicali degli amministrativi, in scadenza il 31 dicembre: non proprio domani. Stanno per essere bandite le selezioni per 400 nuovi capi team, per i quali sarà previsto un aumento di stipendio di 400 euro netti in busta paga, e per 80 nuove elevate professionalità, incarichi che faranno guadagnare ai fortunati ben 1.200 euro netti in più al mese. In tutto, un tesoretto da 3 milioni di «benefit» che gli attuali vertici vogliono indirizzare prima di cedere il posto. Per qualcuno è il tentativo di usare gli ultimi giorni per finire di premiare chi in questi anni è stato fedele alla causa di un istituto finito sull’orlo della crisi per la distribuzione a pioggia e senza controlli di un sussidio come il reddito di cittadinanza.
Nessuna di queste promozioni era ineludibile, e si poteva attendere l’insediamento dei nuovi vertici dell’Istituto.
Ma le ultime mosse dell’era Tridico-Caridi non riguardano solo il personale, ma anche il patrimonio. A febbraio, nonostante la creazione della società in house 3I per i servizi digitali, costituita in comune con Inail e Istat, l’Inps ha avviato una gara d’appalto monstre da 1 miliardo di euro, diviso in quattro lotti, per la modernizzazione del settore informatico che tanti problemi in occasione del click day e con la dispersione di dati sensibili ancora all’esame del Garante della privacy. Suscita perplessità, però, che la ristrutturazione sia affidata a chi non ha saputo affrontare quelle emergenze.
Intanto prosegue il toto-nomi per il ruolo di presidente dell’Inps. Il nome più gettonato sembrerebbe quello di Gabriele Festa, giuslavorista ed ex commissario Alitalia, molto stimato dal ministro dell’Economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti, ma anche da quello del Lavoro Elvira Calderone. Quest’ultima sembra essere pronta a prendersi una piccola rivincita. Infatti la settimana scorsa non aveva partecipato al Consiglio dei ministri in cui, in un decreto omnibus, era stata inserita a sua insaputa la modifica della governance dell’ente previdenziale. Contro il suo parere nella nuova norma si leggeva: «Il direttore generale è nominato dal Consiglio di amministrazione, su proposta del Presidente». Mentre prima la scelta toccava al ministro del Lavoro. La quale, si dice, apprezzi molto l’attuale dg Vincenzo Caridi. Ebbene, sembra che lo slittamento delle nomine di una decina di giorni sia dovuto anche alla necessità di questa modifica, magari in sede di conversione del decreto.
Qual è il problema? È tecnico, ma non trascurabile.
Sino a oggi il presidente, il consiglio di amministrazione, il consiglio di indirizzo e vigilanza, il collegio dei sindaci e il direttore generale erano stati considerati «organi» e nominati con decreti: il presidente con decreto del Quirinale, il cda con decreto del Consiglio dei ministri e il dg con decreto, come detto, del ministro del Lavoro, su proposta del cda. Potrebbe risultare un’anomalia quella che un organo, come il presidente, proponga ad un altro organo, qual è il consiglio di amministrazione, la nomina del dg che a sua volta è organo.
Un possibile errore tecnico-legislativo a cui si starebbe ponendo rimedio, di fatto, dando ragione alla Calderone e riportando la lancetta dell’orologio a prima del Cdm di giovedì. Al ripristino della norma originaria sarebbero favorevoli anche le organizzazioni sindacali e in particolare la Cisl. Per i rappresentanti dei lavoratori una nomina non ministeriale del dg rischierebbe di indebolire la cosiddetta tecnostruttura dell’Inps.
Sulla questione delle nomine, compresa quella del comandante della Guardia di finanza, il vicepremier Antonio Tajani che a decidere sarà il prossimo Consiglio dei ministri, «forse già in settimana». Fonti di governo hanno escluso che si possa tenere oggi un Cdm anticipato. Per le Fiamme gialle si procederà quindi oggi pomeriggio, a partire dalle 17, al passaggio di consegne tra l’attuale comandante e il comandante in seconda, Andrea De Gennaro, che sia il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che il sottosegretario Alfredo Mantovano vorrebbero a capo del Corpo. Alla cerimonia prenderà parte il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che, invece, punterebbe a scegliere il nuovo comandante, d’intesa con il ministro della Difesa Guido Crosetto, tra una rosa di nomi in cui spiccherebbe quello del generale Umberto Sirico.
Certo promuovere comandante generale, seppur a interim, un alto ufficiale dell’esperienza di De Gennaro e poi, di fatto, degradarlo non sarebbe una grande prova di garbo istituzionale. Dunque è possibile che, se non venisse confermato al vertice della Gdf, De Gennaro possa essere dirottato sulla poltrona di una partecipata di peso o in un posto chiave dentro ai servizi segreti, magari come vice di Mario Parente all’Aisi, in attesa di prenderne il posto l’anno prossimo.
L’ipotesi più accreditata è che il prossimo Cdm si tenga giovedì e che in esso venga formalizzata anche la scelta di Roberto Sergio come amministratore delegato della Rai. Da definire anche le nomine per i vertici in scadenza di Trenitalia e Rfi, società per le quali il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini ha auspicato «un cambio di passo». Per poi concludere così: «Per quello che riguarda le ferrovie noi entro la settimana chiudiamo d’amore e d’accordo con tutti».
Sulla nomina dei nuovi vertici dell’Inps si è creata una frattura tra Palazzo Chigi e il ministero del Lavoro guidato da Elvira Calderone, ex presidente dell’ordine dei consulenti del Lavoro. Quest’ultima non ha preso parte al Consiglio dei ministri perché era all’estero in missione e sarebbe stata lasciata all’oscuro del fatto che nel decreto omnibus approvato al gabinetto Meloni sarebbe entrata anche la rivoluzione nella governance dell’Inps e dell’Inail. La scelta di effettuare il blitz in sua assenza potrebbe non essere casuale, essendo il ministro nettamente contrario a una parte della norma, quella che prescrive che il consiglio d’amministrazione «su proposta del Presidente, nomina il direttore generale». Sino a giovedì quell’indicazione era di competenza del ministro. E la Calderone, a quanto risulta alla Verità, ma anche il marito Rosario De Luca, ex membro del cda dell’Inps, sarebbero grandi estimatori dell’attuale dg Vincenzo Caridi, che, però, è uomo di strettissima fiducia del presidente uscente Pasquale Tridico, da cui è stato promosso. Giovedì la Calderone ha saputo solo poco prima dell’inizio del Cdm che sarebbe stata inserita la nuova norma e in una serie di convulse telefonate ha chiesto se i colleghi potessero prendere quelle decisioni anche senza di lei. Poi, piuttosto irritata (è un eufemismo), ha iniziato a chiedere la modifica del comma incriminato e appena approvato. Ma difficilmente Palazzo Chigi lascerà guidare la macchina dell’Inps al manager di punta della passata gestione.
Anche perché Caridi era il dirigente responsabile del sito internet dell’Inps andato in crash l’1 aprile 2020, rendendo visibili dati sensibili a soggetti non autorizzati. Ne è scaturito un procedimento in corso da oltre due anni davanti al Garante della privacy dove l’Inps rischia sanzioni fino a 20 milioni di euro.
In un intervento alla Camera Giovanni Donzelli, uno degli parlamentari più vicini alla Meloni e responsabile nazionale dell’organizzazione di Fdi, lo ha caratterizzato politicamente: «Bravissima persona, si ritrova ai vertici delicatissimi, dei servizi informatici dell’Inps, perché è amico di Stefano Buffagni […] che è l’uomo che per Di Maio gestisce le nomine, e che per Di Maio gestisce i rapporti con i poteri forti; non aveva niente a che fare con l’informatica ma, siccome bisognava trovargli un posto, quel posto c’era libero e lì lo hanno messo, e poi arrivano i disastri». Una pietra tombale, Calderone permettendo.
Intanto sul nome del futuro presidente dell’Inps, Fratelli d’Italia e Lega hanno iniziato a spostare le proprie pedine. Anche se prima bisognerà nominare i commissari. Incarichi provvisori che poi potrebbero diventare definitivi, come era successo con Tridico, che da commissario venne confermato presidente.
Secondo i ben informati il leghista Claudio Durigon, responsabile Lavoro del Carroccio, punterebbe su Concetta Ferraro, già a capo del collegio dei sindaci dell’Inps. Una scelta che sarebbe condivisa dalla Calderone, anche se in cima alla lista del ministro ci sarebbe un giuslavorista milanese: Gabriele Fava, uno dei commissari Alitalia, considerato vicino al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Sempre Durigon e la Lega vedrebbero bene come presidente dell’Inail Francesco Paolo Capone, attualmente segretario generale dell’Ugl.
Ma sia nella Lega che al ministero del Lavoro sussurrano che a Palazzo Chigi abbiano qualche nome tenuto riservato da estrarre al momento opportuno.
In lizza ci sarebbe l’ingegnere Giuseppe Nucci, già amministratore delegato della Sogin e con esperienze in altre aziende partecipate come Enel. È noto per essere considerato un perseguitato dalla giustizia: per due volte imputato, è stato sempre assolto. Tra cronisti e addetti ai lavori ieri circolavano anche altri identikit, tra cui quello di un «avvocato calabrese», la «vera carta coperta» della Meloni. C’è chi ha aggiunto il cognome «Fazio» e qualcuno lo ha subito identificato nel responsabile (con laurea in giurisprudenza) di Fdi della provincia di Reggio Calabria del dipartimento Legalità, sicurezza e immigrazione. Ma in serata dal partito ce lo hanno escluso.
Tra i possibili candidati c’è sicuramente Mauro Nori, magistrato, capo di gabinetto della Calderone ed ex dg dell’Inps. Una figura di grande esperienza e da sempre legata al centro destra. Come l’ex dirigente generale dell’Inps Fabio Vitale, oggi a capo dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura, considerato molto vicino al ministro Francesco Lollobrigida. Vitale per anni ha battagliato contro le misure, a suo giudizio, elettoralistiche e demagogiche portate avanti da Pasquale Tridico e dal predecessore Tito Boeri, finendo anche in punizione con incarichi minori. Ma sia Nori che Vitale si dichiarano in queste ore soddisfatti degli attuali incarichi e poco inclini a cambiare.
In queste ore Tridico, padre ideatore del reddito di cittadinanza bandiera del Movimento 5stelle e della sinistra Pd, ha bollato il commissariamento dell’Inps come «una decisione immotivata, indegna, incomprensibile», parlando di «pura aggressività politica che reca danno anche alla credibilità delle istituzioni». I grillini lo hanno spalleggiato denunciando la «bulimia di potere» della maggioranza.
Ma lo stesso Tridico e la vicepresidente Marialuisa Gnecchi (Pd) e il consiglio di amministrazione, di cui, come detto, faceva parte anche il coniuge della Calderone, insieme con il dg Caridi, sono stati artefici di una delle più pesanti riorganizzazioni dell’Inps che ha portato alla conferma e alla promozione dei dirigenti più fedeli e alla sostituzione e all’allontanamento di quelli non graditi. In particolare, come nel caso di Vitale, di quelli che avevano dimostrato di impegnarsi nell’effettuare i controlli sul pagamento del reddito di cittadinanza che veniva erogato a pioggia anche a spacciatori, detenuti e perfino a ex brigatisti, svelando con apprezzabile anticipo le storture nell’applicazione della norma.
Il presidente uscente, nel suo ultimo libro intitolato Il lavoro di oggi, la pensione di domani, ha ammesso che «le verifiche» sull’erogazione del reddito cittadinanza sono state «davvero lacunose» e che i «controlli venivano fatti dopo». Quindi, fuori tempo massimo, ha dettato le regole: «Bisognerebbe semplicemente non erogare il Rdc se prima non si sono fatti tutti i controlli previsti». Ha anche spiegato che «prima di erogare il Rdc, lo Stato dovrebbe fare come fanno le banche prima di concedere un mutuo: verificare in profondità la situazione economica del richiedente, senza fidarsi di autocertificazioni».
Peccato che guidasse lui l’istituto che ha erogato e continua ad erogare il reddito di cittadinanza con conseguenti truffe, omessi controlli e decisioni su cui, come svelato dalla Verità il 6 novembre 2022, sta indagando la Procura generale della Corte dei conti di Roma.
Su questo tema sia il presidente che il dg sono bravissimi a scantonare e sostenere che le verifiche ed i controlli dovevano essere fatti, ma da altri.
Scaricando la responsabilità per i mancati controlli dei requisiti necessari per accedere al reddito di cittadinanza sui Comuni, sull’Aci, sul ministero della Giustizia ecc.
Con l’Aci, l’Inps ha stipulato una convenzione per verificare il possesso di moto di grossa cilindrata e auto di lusso soltanto nel 2021.
Con il ministero della Giustizia l’accordo per il controllo dei precedenti penali e dello stato detentivo è stato siglato persino un anno dopo, nel 2022.
«C’è voluto molto tempo per firmare tutte le convenzioni» si è giustificato il direttore Caridi. Per procedere alla verifica dei requisiti dei percettori del sussidio, sarebbero servite adeguate procedure informatiche e i necessari collegamenti telematici.
E chi guidava la Direzione centrale tecnologia informatica dell’Inps? Caridi.
Nel frattempo, l’Inps, pur consapevole dell’assenza di adeguati controlli, ha erogato le somme a tutti, compresi furbetti e truffatori.
Da quando si è aperta la crisi di governo, nel luglio scorso, ed è stato chiaro che si sarebbe andati ad elezioni, Tridico, il consiglio di amministrazione ed il dg Caridi, a sua volta promosso su proposta del presidente e del cda con decreto dell’allora ministro del Lavoro Andrea Orlando, hanno proceduto con grande fretta a una serie incessante di nuove nomine a tutti i livelli.
Il 20 luglio 2022 è stato individuato il coordinatore dell’ufficio legale dell’Istituto, l’avvocato Mirella Mogavero, di area Cgil. La legale si è formalmente insediata l’1 agosto 2022 e, dopo appena tre giorni, ha prodotto un parere favorevole al prolungamento di circa un anno della durata dell’incarico del presidente Tridico, da maggio 2023 ad aprile 2024.
Successivamente, la donna ha fornito a tutti gli uffici l’indicazione di non costituirsi parte civile nei processi penali per le indebite erogazioni del reddito di cittadinanza se non nei casi di «oggettiva rilevanza quantitativa o mediatica» o di «oggettiva convenienza per l’Istituto».
A settembre l’ente ha approvato una nuova organizzazione dell’Inps e a novembre il cda ha proceduto a nominare tutti i dirigenti di prima fascia dell’Istituto (ben 40 ciascuno dei quali con una retribuzione che può arrivare fino a 240.000 euro) privilegiando quelli politicamente più vicini ai 5Stelle del presidente Tridico e al direttore Caridi.
Quest’ultimo, sempre a novembre, ha avviato le procedure per il conferimento di oltre 200 incarichi dirigenziali di livello non generale.
Un esercito di fedelissimi che avrebbe dovuto garantire la prosecuzione delle politiche volute da Tridico, Caridi e dai 5 stelle. E magari costituire un argine a eventuali controlli e verifiche sull’operato dell’Istituto. In particolare, con riguardo agli omessi controlli sull’erogazione del reddito di cittadinanza.
Adesso che l’era Tridico è al tramonto, qualcuno, sui barconi del Tevere, rimpiangerà le feste danzanti dell’Inps di Pasqualino, come quella organizzata dall’avvocato Mogavero a conclusione di un convegno dell’anno scorso. «Cena buffet (antipasto ricco, selezione di due primi, buffet di dolci, vini) con dj e musica per allietare la serata» si leggeva nell’invito. E si aggiungeva: «Il costo della serata è di circa 65 euro a testa (con possibilità di fattura singola per il rimborso)». Tutto a spese dell’Ente. Tanto pagava Pantalone.







