Dal triduo pasquale al Pasquale Tridico è un attimo; in cerca di sostegno per il padre del reddito di cittadinanza - doveva sconfiggere la povertà, in 50 mesi è costato 34,5 miliardi il più grande esproprio di ricchezza che sia mai stato fatto in Italia, neppure ai tempi dell’oro alla patria il ceto medio fu così tosato - in Calabria i pentastellati sperano in una sorta di passione, morte e resurrezione. Hanno arruolato a sostegno dell’eurodeputato che, con 17.000 euro netti al mese, almeno la propria povertà l’ha sconfitta una serie di professori emeriti, di esponenti della gauche che non ha mai stretto un bullone, ma anela alla classe operaia per dire meglio di Tridico nessuno. Il fatto è che firmando gli appelli - l’ultimo esempio quello dei pro-pal che al festival del Cinema hanno incassato una serie di sdegnati distinguo dai più quotati attori e registi italiani - alla sinistra capita spesso di deragliare. L’hanno fatta proprio grossa stavolta. Due giorni fa hanno fatto uscire l’appello degli intellettuali per Pasquale Tridico e tra i firmatari figura anche Federico Butera - un valentissimo sociologo che molto si è occupato di lavoro e impresa - che però ha un difetto: è morto a febbraio. Come abbia potuto firmare per Pasquale si spiega solo col triduo pasquale: passione per Tridico, morte che fa parte delle cose che capitano, e resurrezione. Perché chi è capace di sconfiggere la povertà per decreto figurati se non è in grado di imitare il Nazareno (peraltro lì ha sede il Pd e col campo largo tout se tien!) e far resuscitare un emerito firmatario! Oppure Mimmo Lucano, che sperano di far candidare. Sarebbe sufficiente questo per dire come in Calabria il campo largo che comincia da avere preoccupanti smottamenti - la coppia di fatto «Fratonelli» di Avs vuole un posto al sole, in Campania sta succedendo la qualunque, in Toscana Carlo Calenda ha sbattuto la porta, nelle Marche mezza base dei cinque stelle è in rivolta perché non vuole appoggiare l’indagato Matteo Ricci mentre Elly Schlein che aveva promesso mai patti con i cacicchi ora è in stato d’assedio presa a forbice da Vincenzo De Luca e dai prodiani dalla Bindi a Ruffini - si debba aggrappare anche alle referenze alla memoria. Ieri peraltro tra il presidente uscente Roberto Occhiuto e ricandidato dal centrodestra e Pasquale Tridico c’è stato un reciproco scambio di accuse attorno alla proposta del fu presidente dell’Inps di lanciare un reddito di dignità (sarebbe la versione alla ‘nduja di quello di cittadinanza) per i calabresi. Per Occhiuto la proposta di Tridico è «una grande sola» e lo ha spiegato in un video pubblicato sui social dell’ex presidente della Regione sostenendo che Tridico su questa fantasiosa proposta ha cambiato versione tre volte essendosi accorto che non si può fare un reddito di cittadinanza regionale. Sostiene Occhiuto: «Non lo dico io che la proposta è una sola, ma ve lo faccio dire da un economista che ha lavorato anche con i Cinque Stelle Marcello Minenna» che in effetti nel video spiega: «Non ci sono fondi europei in Calabria in grado di sostenere questa misura di reddito che stanno presentando. Secondo me presidente devi dire ai calabresi come stanno le cose». Indispettito Pasquale Tridico risponde: «Occhiuto e i suoi pseudo economisti dovrebbero studiare di più. Non conoscono nemmeno la differenza tra reddito minimo, ovvero il reddito di dignità e gli incentivi alle aziende». Non spiega però Tridico con si sia consultato. Viene un sospetto; non sarà che ha chiesto a Romano Prodi, esperto in sedute spiritiche, visto che in suo favore firmano anche i morti?
Il presunto danno erariale miliardario causato dalla distribuzione del reddito di cittadinanza a migliaia di beneficiari che non avevano i requisiti per riceverlo potrebbe presto avere dei responsabili. E a questi signori, i magistrati contabili, quasi certamente, presenteranno il conto. Salatissimo. A far partire ufficialmente, come ha spiegato il procuratore della Corte dei conti del Lazio Pio Silvestri, il procedimento d’indagine è stata una denuncia della Procura di Tivoli relativa a un caso specifico. Nel fascicolo sono, però, confluiti diversi esposti anonimi «molto circostanziati» sul fenomeno generale e probabilmente provenienti dall’interno dell’Istituto previdenziali.
Da allora, era il novembre del 2022, la Procura della Corte dei conti ha inviato quattro diverse richieste di atti, documenti, informazioni, notizie, o relazioni documentate all’Inps, l’ente erogatore del sussidio. L’ultimo decreto istruttorio risale a giugno e invita il legale rappresentante, nella persona del presidente Gabriele Fava, a redigere «una documentata e dettagliata relazione» di risposta a ben 24 quesiti. Ovviamente la nuova governance dell’istituto non ha motivi per non soddisfare la richiesta. Anche se le precedenti relazioni di replica non sembrano avere soddisfatto del tutto i pubblici ministeri.
Le indagini sono giunte al rush finale e riguardano l’epoca in cui la gestione dell’ente era affidata al presidente grillino Pasquale Tridico. La Procura contabile ha chiesto le ultime, definitive, delucidazioni per riuscire a quantificare il danno erariale e individuare i nominativi dei dirigenti responsabili degli omessi controlli e della conseguente allegra e indebita distribuzione di denari, considerata da taluni una sorta di esca per attirare consenso elettorale, in particolare a favore del partito che ha ideato questo tipo di sussidio: il Movimento 5 stelle. Le precedenti relazioni dell’istituto, la prima firmata dallo stesso Tridico, non avrebbero soddisfatto la Procura. Che, però, non si è persa d’animo e ha continuato ad approfondire la questione. Tali accertamenti avrebbero peggiorato la posizione dell’ex presidente e dei suoi più stretti collaboratori, il dream team che dal 2019 ha avuto l’onore e l’onere di gestire la misura simbolo dei grillini. E forse anche per questo Tridico è stato spedito il 9 giugno a Bruxelles da 117.000 elettori (è stato il più votato nel M5s). Come segnalato dal nostro giornale la Corte dei conti ha iniziato a indagare nel 2022 e, negli ultimi mesi, avrebbe raccolto moltissimo materiale relativo ai mancati controlli sull’erogazione del sussidio.
Nell’ultimo decreto la Procura chiede all’Ente di comunicare le generalità dei dirigenti preposti alla realizzazione delle procedure di gestione dell’erogazione del sussidio e di quelli responsabili delle attività di controllo rischi e audit, nonché la trasmissione di ogni relazione e verifica fatta in ordine alle procedure. Non solo, si chiede di quantificare il numero e l’importo delle prestazioni erogate e dovute, suddivise per anno e per territorio (Regione e sede); la ripartizione annuale delle prestazioni non dovute suddivise per requisiti mancanti ai fini dell’erogazione; le attività avviate per il recupero delle prestazioni non dovute; l’importo degli assegni effettivamente recuperati, anche in questo caso distinti per annualità e Regione; quali iniziative siano state adottate dall’istituto per accertare le ragioni per cui il sistema di gestione e controllo delle domande di reddito di cittadinanza non abbia funzionato.
Con i quesiti si mira a quantificare il danno causato dagli omessi controlli anche attraverso il raffronto con le perdite medie delle altre prestazioni gestite dall’ente previdenziale, dalle pensioni di vecchiaia agli assegni famigliari. Inoltre viene richiesto pure il calcolo delle perdite causate dalla mancata celere attivazione delle procedure di recupero. Infine, la Procura pare intenzionata a inserire nel computo del danno erariale complessivo l’aggravio delle spese amministrative e legali sostenute per il recupero delle prestazioni non dovute. Anche in questo caso i magistrati chiedono un confronto con i costi legali sostenuti per le altre prestazioni. Sotto la lente dei pubblici ministeri è finita anche l’affidabilità del sistema di autocertificazione che consentiva ai cittadini di ottenere sino a quasi 10.000 euro all’anno sulla base di poche crocette inserite su un modulo e in assenza dei doverosi controlli. Finora l’Inps ha sempre sostenuto che i controlli fossero di competenza di altri soggetti, come i Comuni, ma la tesi non sembra essere stata accolta dai magistrati contabili. Non dovrebbe essere passato inosservato il fatto che in alcune Regioni virtuose, dove in via sperimentale i necessari controlli incrociati sono stati effettuati indipendentemente dalle indicazioni del centro, l’erogazione del reddito è stata corretta (si parla di 2 revoche su tre) e i procedimenti penali sono risultati nella norma. Qualche approfondimento sarebbe stato effettuato per capire come mai una prima campagna mediatica mirata a scoraggiare comportamenti illeciti sia stata, successivamente, ammorbidita e resa meno allarmista. A qualche politico non era piaciuta? Il reddito doveva sembrare una mancia elettorale anziché un sostegno per i più bisognosi?
I successivi incentivi distribuiti urbi et orbi come i bonus edilizi potrebbero essere la risposta ai precedenti quesiti. Nel documento della Procura viene citato anche Antonio Buccarelli, l’ex magistrato della Corte dei conti applicato all’Inps che nel 2022 aveva denunciato, come rivelato dalla Verità a Ferragosto di due anni fa, l’ammontare miliardario degli assegni indebitamente distribuiti. Al punto 23 del decreto si chiede «copia dei verbali del Consiglio d’amministrazione nel corso dei quali il consigliere Antonio Buccarelli ha trattato la questione relativa agli omessi controlli del reddito di cittadinanza». In una sua segnalazione alla Corte dei conti del 9 agosto 2022 la toga aveva denunciato che sino al 2021 «non sarebbe stata posta in essere alcuna attività di recupero».
Nel suo atto d’accusa il magistrato aveva quantificato il buco: «Per gli anni 2021 e 2022 gli indebiti pagamenti, in quanto conseguenti a carenza originaria dei requisiti di accesso al beneficio- che risultano accertati sono stati pari a 791.380.228,22, e di questi quelli ancora da recuperare euro 671.232.396,07. In termini proporzionali, alla luce dell’elevato numero di domande presentate ed autorizzate, la stima dell’indebito aggregato sulle annualità 2019 e 2020 potrebbe ammontare a circa 900 milioni di euro». Successive e approfondite valutazioni hanno portato a ipotizzare che l’indebita erogazione abbia raggiunto numeri da manovra finanziaria, sino a 8-10 miliardi di euro. In conclusione, i magistrati contabili paiono pronti a contestare questo enorme danno erariale ai precedenti vertici dell’istituto e, in particolare, ai dirigenti che avrebbero dovuto vigilare sulla corretta erogazione del reddito e il cui mancato controllo ha causato enormi danni, diretti ed indiretti, anche d’immagine, per l’ente di via Ciro il Grande. Chissà se i magistrati andranno a cercare anche chi da una terrazza di Palazzo Chigi, nel settembre del 2018, aveva annunciato di avere «abolito la povertà». Oggi scopriamo a spese dei veri bisognosi.
«Né marziano né conte di Montecristo». Ignazio Marino aveva spiegato di non essere certo il vecchio sprovveduto o il solito vendicativo. In compenso, ha raggiunto il seggio in camicia da spiaggia, braghe corte e sandaletti. Gli elettori dell’Alleanza Verdi Sinistra, ovviamente, l’hanno trovato delizioso. L’ex sindaco di Roma è così uno dei valorosi inviati a Bruxelles per conto della premiata coppia Bonelli&Fratoianni. Al suo fianco siederà un altro indomabile: Mimmo Lucano, già bonzo di Riace. Ha preso oltre 190.000 voti.
È arrivato quel momento, insomma. Conteggi, vittorie e disfatte. Chi sono i promossi e i bocciati dell’ultima, rutilante, tornata europea? Restiamo in fondo a sinistra, allora. Proprio mentre i turbo ambientalisti sfiorano un miracoloso 7%, gli antibellicisti soccombono: Pace, terra, dignità, impegnativa lista ideata da Michele Santoro, ottiene il 2,21%o: la metà del chimerico quattro necessario per entrare nell’europarlamento. La disfatta travolge pure i due candidati di punta del giornalista: la scrittrice Ginevra Bompiani e l’attore Paolo Rossi.
Certo: a dispetto della matura età, scontano tutti il noviziato politico. Che dire però delle truppe centriste? Tutti volponi finiti in pellicceria. Tipo l’evocativo rassemblement rinominato Stati Uniti d’Europa, pullulante di renziani, radicali e apolidi. Niente seggio per l’ex commissaria europea Emma Bonino, presidente di PiùEuropa. E rimarrà nel suo feudo beneventano, dove impera l’inossidabile consorte, Sandra Lonardo, moglie di Clemente Mastella. Anche se, nel capoluogo campano, la first lady sannita raccoglie più preferenze di Giorgia Meloni. Assai più modesto il risultato del giornalista Alessandro Cecchi Paone, presentatosi invano come l’«anti-Vannacci», il generale leghista che sbaraglia ovunque.
In quota arcobaleno, trionfa invece nel Pd Alessandro Zan, vessillifero della segretaria, Elly Schlein. Sempre in area dem, strappa il seggio Sandro Ruotolo, già inviato speciale proprio delle truppe d’assalto santoriane. Anche la collega e conterranea, Lucia Annunziata, viene eletta dopo una scoppiettante campagna al fianco di Elly. Nella nutrita compagine di giornalisti aspiranti onorevoli, non è però esaltante l’attesa prova di Marco Tarquinio, ex direttore di Avvenire, schierato ispirandosi ai versi di Enzo Jannacci: «Per vedere di nascosto l’effetto che fa». Dunque, contro ogni bellicismo e diritto per le coppie omosessuali. Risultato: Tarquinio non sfonda nelle preferenze, sopravanzato da sei battaglieri compagni. Insomma, rischia grosso.
Gli elettori dem premiano invece l’altra, antitetica, candidatura «esterna»: quella di Cecilia Strada. La figlia del fondatore di Emergency raccoglie 283.000 voti e supera persino il sindaco uscente di Bergamo, Giorgio Gori. Che però ben rappresenta la folta pattuglia degli ex primi cittadini dem trionfanti. Vedi Dario Nardella, che ha lasciato Palazzo Vecchio a Firenze. Ma, tra i navigatissimi, l’inarrivabile exploit è quello di Antonio Decaro, già sindaco di Bari e presidente dell’Anci. Nonostante la Suburra pugliese, ottiene un risultato memorabile: quasi mezzo milioni di voti nel nelle Regioni meridionali, il doppio di Annunziata. Suggello della leggendaria infornata di ex amministratori locali eletti. A cui si aggiunge anche l’ex governatore del Lazio e segretario del Pd, Nicola Zingaretti.
Resta, al contrario, tribolata la sorte di Pierfrancesco Maran, assessore milanese alla Casa, vessillifero del radicalchicchismo di Beppe Sala. E sempre tra le fila democratiche, sarebbe fuori Pietro Bartolo, ex medico di Lampedusa ed europarlamentare uscente. Non ce l’ha fatta nemmeno l’ex sardina Jasmine Cristallo, solo settima al Sud. Per meglio comprendere la carica creativa a cui Bruxelles dovrà rinunciare: è colei che, per evitare di insozzare l’ambiente, rivelava di non uscire mai «senza il posacenere da borsa». Dopo vent’anni e quattro legislature, non viene eletta nemmeno Patrizia Toia, nonostante l’ennesima deroga ai due mandati. Lei, invece, simbolo di immarcescibile continuità.
Per i Cinque stelle, ormai si sa, la disfatta è straziante. L’unico a risplendere è l’ex presidente Inps, Pasquale Tridico: già padre del reddito di cittadinanza e degli assegni a ufo. In nome e per conto del leader, Giuseppe Conte, ha girato in lungo e in largo il sud per rassicurare gli inconsolabili vecchi percettori. Missione compiuta: quasi 118.000 preferenze. Prima del Movimento nella circoscrizione Centro è poi Carolina Morace, campionessa di calcio femminile. Mentre a Sud il più votato è un campione dell’antimafiosità come Giuseppe Antoci, secondo per preferenze nel partito. L’assise continentale resterà, invece, un sogno per un altro siciliano illustre: Cateno De Luca. Nonostante il quasi 6% nelle Isole, la sua lista Libertà fallisce l’approdo visto l’1,2% a livello nazionale. Come l’incontenibile sindaco di Terni, Stefano Bandecchi. Nella sua circoscrizione, Alternativa popolare ha lo 0,83%.
Veniamo, dunque, alla straripante Fratelli d’Italia. Tutti i big sono promossi: da Nicola Procaccini, copresidente del gruppo dei Conservatori, a Carlo Fidanza, capogruppo dei meloniani a Bruxelles. Unico perdente di successo è l’ex sottosegretario alla Cultura, Vittorio Sgarbi. Nella Lega, non centra l’elezione il senatore Claudio Borghi, recente protagonista di singolar tenzone con il Quirinale.
Mentre viene trionfalmente eletta il sindaco di Monfalcone, Anna Maria Cisint, minacciata dagli estremisti islamici e per questo sotto scorta. Conquista circa 42.000 preferenze. Più o meno le stesse raccolte, nel Nord Ovest, dall’ex sindaco di Milano, Letizia Moratti, per Forza Italia. Non ce la fanno invece gli ex leghisti reclutati dagli azzurri. L’endorsement dell’ultima ora di Umberto Bossi, fondatore del Carroccio, non fa risalire la china alla all’ex pupillo: Marco Reguzzoni. Appena 7.293 voti. Ancora peggio fa un’altra gloriosa camicia verde del passato: Roberto Cota, già governatore del Piemonte, si ferma a 3.851 preferenze. Niente da fare neanche per la parlamentare uscente, Alessandra Mussolini, schierata in due circoscrizioni. E resta fuori pure l’ex presidente della Lazio: la coriacea Renata Polverini. Non le è bastato il soprannome che ha recentemente trasformato il suo nomen in omen: «Rinata», appunto. L’ascensione, anche per lei, non sarà nei cieli di Bruxelles.
Nell’Europa del rigore di bilancio si preparano a sbarcare il papà del reddito di cittadinanza e i nipotini del Superbonus. Le liste del Movimento 5 stelle per le Europee mettono in rampa di lancio Pasquale Tridico, ex presidente dell’Inps e «mente» del sussidio di nullafacenza, naturalmente candidato al Sud, e una serie di carneadi che sperano di incassare con un seggio a Strasburgo la gratitudine di chi si è rifatto la casa con le magie del 110%. Se entrambi i provvedimenti non avessero scassato le finanze pubbliche ci sarebbe anche da sorridere, ma purtroppo gli italiani seri rischiano di pagare due volte: prima come contribuenti e poi, pro quota, pagando l’eurostipendio (7.300 euro netti al mese) a personaggi che sono riusciti a inventare la versione legale (e assolutamente non mafiosa) del voto di scambio.
Giuseppe Conte è tra i pochi leader di partito che si non si presenteranno alle elezioni di giugno, dove per altro i grillini non hanno mai brillato. Alle 22 di venerdì si sono chiuse le consultazioni in Rete degli iscritti di M5s per votare le candidature proposte dall’ex avvocato del popolo. Hanno votato 18.414 persone e 16.108 hanno detto «sì» alle proposte del leader, che sono quindi approvate. E allora, semaforo verde per i tre europarlamentari uscenti che non hanno già fatto i due mandati, ovvero Maria Angela Danzì, Mario Furore, Sabrina Pignedoli. E poi ecco Ugo Biggeri e Martina Pluda per il Nordest, Carolina Morace per il Centro, Pasquale Tridico e Maurizio Sibilio per il Sud, Giuseppe Antoci e Cinzia Pilò per le isole.
Biggeri, 58 anni, è un attivista fiorentino che ha guidato Banca etica ed è un nome noto della galassia che si batte contro l’industria delle armi, mentre Pluda è un’animalista friulana che dirige l’organizzazione non profit Humane society international. Morace, avvocato, è nota al grande pubblico perché è stata la prima calciatrice italiana a raggiungere una certa fama, mentre Sibilio è un professore di didattica e prorettore dell’università di Salerno. Ma tra i 5 stelle, ormai, il nuovo «professore» è Tridico, classe 1975, economista e presidente dell’Inps in quota Luigi Di Maio dal 2019 al 2023. Il suo reddito di cittadinanza, oltre a ingessare il mercato del lavoro, secondo dati dello stesso Inps è costato almeno 34 miliardi ed è andato in gran parte al Sud, dove i sussidi erano arrivati a essere il quadruplo che al Nord. E non a caso è proprio nelle circoscrizioni elettorali del Mezzogiorno, con sinallagma perfetto, che Tridico va a occupare il bacino elettorale che fu del primo Di Maio e si candida per andare in Europa. A fare che cosa? Purtroppo il professore l’ha già annunciato a Fanpage tre giorni fa: «Porterò il reddito di cittadinanza in Europa». Così, tanto per rinverdire i vecchi luoghi comuni sugli italiani «pizza e mandolino». E sofà.
Per trovare un caso così smaccato di voti richiesti dopo una pioggia di soldi di Stato bisogna andare indietro al 2018, quando il «tecnico» (come Tridico) Pier Carlo Padoan salvò dal fallimento il Monte dei Paschi di Siena con i soldi di tutti contribuenti italiani e poi si fece eleggere senatore per il Pd proprio nel collegio elettorale di Siena.
Scorrendo i nomi degli altri candidati di M5s si trovano i i consueti personaggi di seconda fila, mischiati a una stragrande maggioranza di sconosciuti. Il Movimento non se la passa bene, dopo la batosta delle politiche del 2022 (e l’idea suicida di appoggiare il governo di Mario Draghi), ma può ancora sparare qualche freccia. Quella più appuntita è sicuramente la possibile gratitudine di una certa Italia per la manna del Superbonus, costato finora oltre 120 miliardi di euro. Se il Movimento farà campagna su reddito di cittadinanza, Superbonus e salario minimo, non è detto che anche un po’ di questi Forrest Gump non finisca a Strasburgo. Magari con qualche trombato. Tra i vari nomi «nuovi» per l’Europa, per esempio, c’è la più votata al Sud in questa tornata consultiva interna che è Valentina Palmisano. Si tratta di un avvocato di Ostuni che aveva fatto il deputato nel 2018, ma che alle ultime elezioni era stata bocciata e aveva ripiegato sul consiglio comunale. Adesso ricomincia dall’Europa, in lista per il Sud in seconda posizione dietro Tridico. Viene invece spedito nel Nordovest Gaetano Pedullà, giornalista catanese ma romano di adozione, mentre Valentina Pococacio, per dieci anni alla guida dei grillini nel consiglio comunale di Terni, corre nel Centro Italia. A Nordovest, in terza posizione c’è la piemontese Antonella Pepe, che in passato ha già tentato senza fortuna la scalata al comune di Nichelino e nel 2022 non è riuscita a sbarcare a Montecitorio per colpa della débâcle
generale del Movimento.
Le elezioni europee di giugno sono una medicina che rischia di essere amara per il Movimento. Nel 2014 e nel 2019 il M5s prese la metà dei voti delle politiche precedenti e ora Giuseppe Conte accenderebbe un cero all’amato Padre Pio se riuscisse a confermare il 15% ottenuto alle politiche del 2022. La scelta di un capolista come Tridico indica che l’ex premier ha deciso di giocare la carta dell’assistenzialismo più smaccato. E il fantasma di Beppe Grillo? È riapparso due sere fa a Roma, in un teatro, e ha detto ai cronisti: «Come va il Movimento? Io sono ottimista, perché qui i germi ci sono ancora. Ora Conte deve cominciare ad avere un po’ di verve, ma l’ho visto molto in forma». In forma o meno, l’avvocato di Voltura Appula sicuramente fa e disfa liberamente. Soprattutto disfa.
Il Riformista di Matteo Renzi attacca il presidente uscente dell’Inps Pasquale Tridico, considerato inadatto a gestire l’uscita dal reddito di cittadinanza, ma non dice nulla dei clamorosi affari realizzati con l’Inps dal suo editore Alfredo Romeo. Stiamo parlando dei floridi bilanci della Romeo gestioni Spa, alla quale l’Inps di Tridico e del direttore generale Vincenzo Caridi, e prima ancora dell’ex presidente Tito Boeri, ha affidato la gestione di metà del patrimonio immobiliare dell’istituto.
Dalla relazione della Corte di conti sulla gestione finanziaria dell’Istituto per l’esercizio 2020, risulta che l’ente perde circa 80 milioni di euro l’anno per colpa della gestione immobiliare.
Stiamo parlando di circa 24.400 immobili da reddito del valore complessivo di circa 2,15 miliardi di euro. Dentro ci sono circa 9.250 immobili a uso abitativo, quasi 11.000 uffici e 1.380 negozi, oltre 1.750 strutture ricettivo-alberghiere, circa 900 tra box e cantine (dati 2020).
Dal documento apprendiamo che il reddito lordo proveniente da affitti e entrate similari, in mano a Romeo, era di 23,3 milioni a fronte di 22,1 di spese di gestione a cui andavano aggiunti 38 milioni tra imposte locali e ammortamenti. Con il risultato che un patrimonio da 1,2 miliardi di valore aveva un rendimento negativo del 3,12 per cento e un disavanzo di 37 milioni di euro.
Certo i numeri non miglioravano di molto considerando gli immobili gestiti ancora dall’Inps (case di cura, convitti, case di riposo), insieme con Romeo per la parte ex Inpdai. In questo caso il reddito lordo degli immobili (del valore di 965 milioni di euro) era di 26 milioni, le spese gestionali pesavano per 18,2 milioni a cui andavano aggiunte quasi 30 milioni di spese «obbligatorie non discrezionali» (imposte locali e ammortamenti) che portavano il reddito netto da 7,7 milioni a -22 milioni, con un rendimento negativo del 2,8%.
Costi altissimi che non hanno modificato la situazione di degrado e abbandono in cui versa quel patrimonio immobiliare costruito con i soldi di contribuenti e assicurati.
Ma come si è arrivati a questo disastro? Nel 2015 si concluse la gara che doveva individuare un unico gestore di quel tesoretto, riducendo la frammentazione precedente e assicurare un’efficace e puntale gestione amministrativa e tecnica di tutto il patrimonio.
Infatti alle proprietà dell’Inps, già amministrate dalla società Igei (Inps gestione immobiliare), era state sommate quelle di altri enti per effetto della soppressione di Scau (Servizio contributi agricoli unificati), Sportass (Cassa di previdenza per l’assicurazione degli sportivi), Ipost (Istituto postelegrafonici) e Inpdai (Istituto nazionale di previdenza per i dirigenti di aziende industriali).
La Romeo gestioni si è aggiudicata questo appalto al termine di un lungo contenzioso che l’ha vista contrapposta allo stesso istituto e soltanto per effetto di una sentenza del Consiglio di Stato che ha ordinato il subentro nel rapporto contrattuale stipulato dall’istituto con l’originario aggiudicatario.
Nel frattempo, l’Inps aveva incorporato anche l’Inpdap (Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica), che con l’Inpdai aveva portato in dote il 90 per cento degli immobili, e l’Enpals (Ente nazionale di previdenza e assistenza per i lavoratori dello spettacolo).
Nel 2017 l’attività di gestione di tutto il patrimonio da reddito dell’istituto era svolta sotto il coordinamento della Direzione centrale patrimonio e archivi di Giorgio Fiorino, ex dirigente Inpdap transitato in Inps.
Alla scadenza del rapporto contrattuale con Romeo, è stata la direzione di Fiorino a predisporre gli atti per la nuova gara.
Il bando reca la firma di Caridi, anch’egli ex dirigente Inpdap.
All’epoca questi era a capo della Direzione centrale acquisti e appalti che gestiva le gare.
Quella bandita da Caridi e Fiorino è stata aggiudicata il 18 giugno del 2020, dopo due anni di procedura, nuovamente alla Romeo gestioni, stavolta senza contenziosi, ma individuando come migliore la proposta dell’imprenditore napoletano.
In quel momento, Tridico è da più di un anno presidente dell’istituto e Caridi è stato promosso, su proposta di Tridico, dg.
Il valore annuo del contratto è pari a 18 milioni di euro per un complessivo valore di oltre 54 milioni per tre anni, prorogabile per altri tre.
Un’assegnazione sicuramente regolare dal punto di vista procedurale, ma non per forza vantaggioso per l’ente.
Dalla lettura del contratto, si ricava che l’esperienza di gestione negativa registrata dall’istituto negli anni precedenti non sarebbe servita di lezione, non essendo migliorata la redditività del patrimonio.
Nell’accordo, come rilevano specialisti esperti del settore, non è fissato alcun obiettivo di miglioramento della gestione o un processo sistematico di valutazione.
Non vi sono sistemi di misurazione dei risultati con eventuali penali e premi correlati a obiettivi misurati e misurabili.
Non è prevista nemmeno una due diligence sul patrimonio che consenta all’Inps di avere una conoscenza più approfondita della situazione e di assumere scelte più oculate rispetto a un patrimonio che si trova in una situazione di sostanziale degrado.
Per esempio sono numerosi gli occupanti abusivi degli immobili dell’Inps. L’ente non solo non li allontana, ma provvede al pagamento delle spese condominiali. E in molti casi questi occupanti sembrano percepire dall’istituto anche il reddito di cittadinanza.
La remunerazione della Romeo gestioni è legata al numero delle unità immobiliari amministrate, ma nel contratto si affida alla Romeo anche l’attività di supporto alla vendita e dismissione del patrimonio che l’istituto ha in corso da anni e persino i contenziosi, nonostante vi sia un Avvocatura interna con oltre trecento legali. Ci si chiede quale impegno possa mai mettere un appaltatore in una attività di supporto alla vendita che porta alla diminuzione del numero delle unità immobiliari amministrate da cui dipende il suo cospicuo compenso, che sembra l’unico dato certo.
Ma anche la storia della Igei è interessante. Si tratta di una società in house costituita dall’Inps nel 1992 per «la gestione, nel rispetto dei criteri di economicità ed efficienza del patrimonio immobiliare da reddito dell’Inps», così si legge nello statuto.
L’Inps deteneva il 51 per cento delle quote. Nel 1996 è stata messa in liquidazione. La gestione in house non produceva reddito, per questo si pensò di provvedere con l’esternalizzazione dei servizi immobiliari a società come Prelios, Sovigest (socie in Igei), Romeo gestioni e altre.
Ad oggi, dopo quasi trenta anni dalla messa in liquidazione, Igei non è ancora stata chiusa definitivamente e ogni anni obbliga al pagamento oltre che del liquidatore anche dei sindaci ed dei membri di organi di controllo tra cui ci sono sempre anche dirigenti Inps; e la redditività non progredisce, visto che si legge nella relazione della Corte dei conti sull’esercizio Inps del 2015 che l’utile netto nel 2015 è pari ad euro 9.823.
Nel 2018, con Igei non ancora estinta, si è passati alla gestione in outsourcing della Romeo con un contratto che affidava la gestione di 28.500 unità immobiliari (in parte successivamente vendute) a un unico gestore e non prevedeva meccanismi concorrenziali per la scelta dei subfornitori di servizi: è direttamente la Romeo a scegliere giardinieri, fabbri, operai, elettricisti, idraulici ed altro.
Ma se la gestione del patrimonio Inps è in rosso, i risultati della Romeo gestioni sono stabilmente in nero: basti pensare che l’utile netto è salito da 17 milioni del 2020 ai 21 milioni del 2021.
E Alfredo Romeo, grazie anche ai soldi dell’ente previdenziale, è entrato nel mondo dell’editoria rilevando il quotidiano l’Unità dal fallimento, dopo essere diventato editore del Riformista.
Nel 2016 a interessarsi alle sorti dell’Unità era stato Matteo Renzi, all’epoca premier e segretario del Pd. Per il salvataggio della storica testata i suoi sondarono proprio Romeo, già finanziatore del senatore di Rignano sull’Arno. Oggi il fu Rottamatore è diventato direttamente un dipendente di Romeo, essendo stato assunto come direttore del Riformista.
Ma niente avviene per caso e anche in questa occasione dobbiamo annotare corsi e ricorsi storici. Come risulta chiaro dalla vecchia inchiesta Consip. All’epoca, nell’ottobre del 2016, Carlo Russo, l’imprenditore toscano legato a doppio filo con Tiziano Renzi, si preoccupò di fare incontrare il direttore del settore patrimonio dell’Inps, Daniela Becchini, con lo stesso Romeo: «Si metterà a disposizione», annunciò Russo. Il 5 ottobre i carabinieri del Noe monitorarono l’incontro. Becchini cercava l’appoggio di Romeo per diventare direttore generale dell’ente.
Oggi il Riformista di Renzi plaude all’allontanamento di Tridico, poiché l’ex presidente «grillino non può essere lui a gestire la fase di sepoltura del reddito di cittadinanza e di lancio dei nuovi strumenti di assistenza e gli incentivi al lavoro». Ma, ovviamente, può essere sempre Romeo a gestire gli immobili dell’ente. Nonostante i risultati negativi. Su questo, siamo certi, non c’è da aspettarsi nessuna inchiesta dei segugi del Riformista.






