Stadio San Siro (Getty)
Ieri via alla discussione: solo Mr. Expo e parte del Pd non vedono i troppi rischi dell’operazione. E rifà capolino il «Salva Milano».
L’operazione Salva Sala è ripartita. Il Sala in questione si chiama Beppe ed è il sindaco progressista di Milano, riserva della sinistra glamour per ogni operazione di alchimia politica, sia che si tratti di un rassemblement ambientalista sia che ci sia da tenere a battesimo l’ennesimo polo centrista.
Sala, poco amministratore e molto social, da due anni è impantanato con uno scandalo urbanistico: centinaia di cantieri che hanno consentito la costruzione di palazzi alti anche 80 metri sulla base di una semplice Scia, cioè di una banale comunicazione di inizio lavori e senza alcuna concessione edilizia. Tutto ciò, con la scusa di progetti di ristrutturazione di vecchi caseggiati: edifici che in qualche caso hanno trasformato garage all’interno di un cortile in grattacieli, senza pagare un solo euro di oneri di urbanizzazione.
Fallita l’operazione di approntare una legge che sanasse le decisioni urbanistiche della giunta milanese, adesso si sta preparando un’altra norma ad personam che salvi la carriera politica di Sala, i costruttori accusati di abusi edilizi e i funzionari comunali sotto indagine per danni erariali (ma alcuni anche per corruzione). Gli argomenti usati per giustificare il nuovo colpo di spugna sono sostanzialmente due. Principalmente si mettono in campo le famiglie vittime di un pasticcio che ha come unici responsabili tecnici e politici del Comune di Milano. Sono oltre 1.500 quelle che hanno investito i propri risparmi in progetti urbanistici abusivi, con cantieri messi sotto sequestro dalla Procura. Le loro proteste e il loro disagio vengono usati per motivare la necessità di trovare una norma che regolarizzi ciò che in regola non è. Ma in realtà, più che nel loro interesse, le proposte di «interpretazione autentica della legge» (così Sala ha rinominato il Salva Sala) mirano a graziare i costruttori accusati di abuso edilizio e i funzionari che dovranno risarcire con il proprio patrimonio i milioni di oneri urbanistici che il Comune di Milano ha perso autorizzando costruzioni senza concessione edilizia. Una storia politica e amministrativa brutta, che si regge sulla colossale bugia che la trasformazione di un edificio a due piani in uno di dodici possa essere classificata come ristrutturazione. Le intercettazioni disposte dai pm hanno dimostrato che gli stessi progettisti erano ben consci che in nessun’altra città d’Italia era possibile costruire nuovi palazzi in questo modo. Altro che interpretazione autentica: solo nel capoluogo lombardo si sono inventati una manovra per sanare un abuso edilizio.
Saltata l’operazione di legalizzazione a posteriori delle costruzioni, a costo zero per gli accusati, ecco però avanzare altre furbate della giunta Sala. La prima consiste in un accordo con la Procura per la revoca del sequestro dei cantieri in cambio di una fideiussione che potrebbe essere escussa a conclusione dell’iter giudiziario. In pratica, i costruttori vincolerebbero in banca una cifra equivalente agli oneri di urbanizzazione non pagati e nel frattempo avrebbero tutto il tempo non soltanto di completare l’opera (senza risarcire l’abuso e i danni), ma anche di escogitare un’altra Salva Sala per uscire puliti e senza costi dalla faccenda. Non si capisce però perché i pm dovrebbero consentire questa «sanatoria». Ancor meno si comprende l’altra furbata, che in presenza di azioni della Corte dei conti per danni erariali nei confronti dei funzionari comunali responsabili di aver approvato tutto ciò, spinge la giunta guidata dal sindaco glamour a far passare una norma che sollevi i dipendenti da ogni risarcimento. Cioè: il Comune subisce un danno, ma lo stesso Comune si fa carico di esentare dall’obbligo di rimborso chi quel danno ha provocato. E quale sarebbe l’interesse pubblico di questo colpo di spugna? Forse il solo interesse è politico, di chi in questo modo intende pensare alla propria carriera.
In realtà, non c’è bisogno di alcuna legge ad hoc, ma solo di rispettare quelle esistenti. Gli imprenditori che hanno commesso un abuso e coloro che lo hanno consentito devono pagare. Vanno regolarizzate le costruzioni con le necessarie autorizzazioni e là dove non si possono mettere in regola vanno abbattute. Punto. I danni vanno saldati e i responsabili condannati. Questa è l’unica interpretazione autentica della legge. Il resto è solo il maramaldo tentativo di un sindaco che le prova tutte pur di non assumersi la responsabilità politica di ciò che è successo.
Ai tempi delle tendine, il sindaco ha incontrato studenti e associazioni garantendo edilizia convenzionata. Il tecnico indagato ha ammesso il cambio (contro legge) di un progetto in periferia con 113 maxi appartamenti.
Da quando a Milano è scoppiato lo scandalo dei palazzi costruiti senza concessione edilizia, siamo accompagnati da un insopportabile piagnisteo che nasconde un tentativo di forzare la mano per legalizzare ciò che legale non è.
Per un anno Beppe Sala e compagni hanno fatto credere all’opinione pubblica, ma anche al Parlamento, che l’approvazione della legge Salva Milano, quella che doveva fermare le inchieste della magistratura sugli abusi edilizi nel capoluogo lombardo, fosse necessaria per consentire un’interpretazione «autentica» delle norme in materia urbanistica. Secondo questa tesi, costruire grattacieli e palazzi alti 80 metri senza autorizzazione comunale - e senza pagare gli oneri di urbanizzazione - non rappresentava una violazione delle regole, punita dal Codice penale con due anni di carcere, ma era semplicemente una possibilità consentita dalla legge. E l’interpretazione - sbagliata - data dai pm andava corretta da un’apposita legge, la Salva Milano. Ma l’ordinanza di custodia cautelare con cui la Procura ha disposto l’arresto dell’ex dirigente dell’ufficio urbanistica del Comune ha strappato il velo di ipocrisia con cui fino a ieri si è parlato di questa faccenda, rottamando una proposta di legge che non serviva a fare chiarezza sulle norme in vigore, già sufficientemente chiare, ma era necessaria per salvare funzionari e imprenditori dalle accuse, mettendo una pietra tombale sull’inchiesta per decine e forse centinaia di abusi, con un danno enorme alle casse pubbliche.
Infatti, è sufficiente leggere la trascrizione delle conversazioni fra alcuni dei protagonisti di questa storia per rendersi conto che dirigenti, architetti e costruttori erano perfettamente a conoscenza dell’anomalia milanese e sapevano che quei condomini tirati su con una semplice comunicazione di inizio lavori, al posto di una regolare concessione edilizia, non erano nella norma. Le frasi tra il presidente della commissione Paesaggio, Marco Prusicki, e il presidente dell’Istituto nazionale di urbanistica sezione Lombardia, Marco Daniele Engel, sono illuminanti. I due, al telefono, parlano delle torri sorte al posto di due capannoni (edifici di uno e due piani trasformati in palazzi di 16 e 23 piani, al limitare di un parco, con un indice di densità edilizia triplo di quello previsto senza sborsare un euro di oneri di urbanizzazione). Il secondo, ovvero Engel, dice al primo: «Che cazzo… è una roba che grida vendetta! Obiettivamente… cioè, come è possibile? Abbiamo distorto la norma in maniera che un intervento di questa dimensione possa essere un intervento di ristrutturazione con Scia e atto d’obbligo… Abbiamo sbagliato. È chiaro che se un magistrato vede una roba così dice: ma non è possibile. Come fai a spiegarglielo? O meglio: come fai a convincerlo?». Prusicki, a questo punto, dice che è tutta una questione di significato delle parole, «come sta succedendo per quanto riguarda i Paesi sicuri».
Cioè, basta intendersi: dire che una ristrutturazione può essere anche una demolizione di un garage alto due piani per poi costruire un grattacielo di 23. Solo una faccenda semantica, che richiede un’interpretazione autentica, come diceva Sala fino all’altroieri? Macché. Sentite che cosa sosteneva Engel, l’architetto alla guida dell’Istituto nazionale di urbanistica, sezione lombarda: «È successo solo a Milano. Io ho provato a chiedere in giro a quelli che conosco… e nessuno si sarebbe fidato, ma neanche con il permesso di costruire, a lasciar fare le torri di Crescenzago». E subito dopo, dalla conversazione fra i due, si capisce che la norma che avrebbe dovuto regolarizzare gli abusi non serviva al Paese, come pure ci è stato detto e ridetto, ma soltanto a Milano e alle persone coinvolte nell’inchiesta. Engel, infatti, spiega che solo il capoluogo lombardo si sentiva tanto forte da poter ignorare le norme e dire «chi se ne fotte», state tranquilli, va tutto bene, abbiamo sempre fatto così. «Rappresenta perfettamente l’idea che avevano in testa i comunali milanesi e, quindi, la fragilità di chi sostiene che è tutto giusto. Probabilmente non c’è un’altra città in Italia, non in Lombardia. Io ho fatto quattro telefonate in giro, Bergamo, Brescia, Pavia e potrei andare avanti con tutti i capoluoghi di Provincia, ma è chiaro che non è successo in nessun altro luogo della Lombardia. È successo altrove in Italia? Ne dubito fortemente».
E nelle carte si scopre anche altro, ovvero che perfino Giovanni Oggioni, arrestato l’altro ieri, alla lettura della lettera con cui la Corte dei conti contesta ai funzionari comunali la perdita di gettito per le casse comunali (per aver consentito che le nuove costruzioni fossero qualificate come ristrutturazioni) dice che la missiva dei magistrati contabili è inattaccabile, per il rigore logico delle valutazioni. «Per questo motivo ci vuole subito una norma di interpretazione autentica, il solo rimedio che li possa salvare». Sala e compagni, in sostanza, stavano per far approvare una legge che non solo premiava gli abusi, ma danneggiava il Comune, salvando funzionari e costruttori dalle accuse. E non hanno nemmeno il coraggio di chiedere scusa e ammettere le porcate.