L’adesione allo sciopero generale a scartamento ridotto proclamato da Cgil e Uil non è stata davvero esaltante come dimostrano le percentuali, forse perché la protesta «tutta politica» voluta da Maurizio Landini contro una manovra finanziaria «prudente» ma promossa dall’Ue non è stata condivisa né compresa da lavoratori e cittadini. Un comparto in fibrillazione è certamente quello della sanità che però ha scelto un’altra strategia: dialogo con il governo su alcuni capitoli della manovra, in particolare sul taglio delle pensioni, e tre date per scendere in piazza. E infatti venerdì ha incrociato le braccia soltanto il 3% degli addetti. Restano altri due giorni già decisi, il 5 e il 18 dicembre, ma intanto arrivano aperture da parte dei ministeri competenti. Il titolare del Mef Giancaro Giorgetti era stato chiaro sul capitolo pensioni: «Una tendenza c’è ed è che si va verso il sistema contributivo sulle pensioni anticipate. Nello specifico nell’articolo 33 sui medici, vedremo come dare una risposta perché evidentemente è un problema che noi ci poniamo». Nelle ultime ore il governo Meloni ha avviato un dialogo interno per cercare di limitare gli effetti della misura sulle pensioni dei medici ospedalieri. «Ho incontrato Giorgetti e lo rivedrò insieme alla ministra Calderone», ha detto il ministro della Salute, Orazio Schillaci, «c’è la volontà di risolvere le criticità sulle pensioni perché credo che sarebbe impensabile che in un momento come questo operatori lascino il Servizio sanitario nazionale. Potrebbe essere il tassello finale di un disastro che noi non vogliamo far sì che avvenga». «Apprezziamo l’apertura arrivata dal Governo, per voce del sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, sulle pensioni dei medici. Valutiamo positivamente l’impegno per trovare una soluzione concreta a una questione complessa, tramite un maxiemendamento che dia risposte reali ai professionisti in tema di diritti acquisiti. In assenza di queste risposte, lo sciopero è giusto e inevitabile», ha detto il presidente della Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici, Filippo Anelli. «Se non sarà modificata la conseguenza sarà, come denunciato dai sindacati Anaao-Assomed e Cimo-Fesmed, l’abbandono del sistema sanitario nazionale da parte dei medici ospedalieri, che il sindacato Anaao-Assomed stima essere almeno 6.000, che hanno maturato i requisiti per andare in pensione e che prevedevano invece di rimanere ancora per qualche anno. Questo, a sua volta avrà fortissime ricadute sulle liste d’attesa, che il governo, al contrario, si propone di ridurre, proprio attraverso la Finanziaria. È necessario e urgente, quindi, un correttivo. Serve, anzi, un segnale in più, per proseguire in quel percorso virtuoso intrapreso dal ministro Schillaci volto a valorizzare i professionisti e ad aumentare l’attrattività del sistema sanitario». Anelli appare ottimista: «Ci sono tutti i presupposti perché il Governo, già con questa manovra, torni a puntare sulla sanità, sui suoi professionisti, per garantire ai cittadini il diritto alla tutela della salute». E ieri anche Papa Francesco, rivolgendosi ai membri dell’associazione otorinolaringologi ospedalieri italiani e della federazione italiana medici pediatrici, ha lanciato il suo appello: «La situazione della sanità in Italia si trova ad attraversare una nuova fase di criticità che sembra diventare strutturale. Si registra una costante carenza di personale, che porta a carichi di lavoro ingestibili e alla conseguente fuga dalle professioni sanitarie». E ricordando poi che «il diritto alla salute fa parte del patrimonio della dottrina sociale della Chiesa e che è sancito dalla Costituzione italiana quale diritto dell’individuo, cioè di tutti, nessuno escluso, specialmente dei più deboli, e quale interesse della collettività, perché la salute è un bene comune», ha elogiato i presenti. «Insieme ai tanti professionisti della sanità, costituite una delle colonne portanti del Paese», ha voluto evidenziare il Pontefice.
- Giancarlo Giorgetti difende la norma ma apre a modifiche. Sul 110: «Conto su di altri 4,2 miliardi». Proroga fino al 30 dello stop al payback.
- Allarme sulle risorse per la sanità: «I fondi potrebbero non bastare». Critiche dell’Ufficio parlamentare di bilancio, che però promuove il taglio del cuneo.
Lo speciale contiene due articoli.
Il ciclo di audizioni sulla legge di bilancio è terminato ieri con l’intervento del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che ha sottolineato come nella manovra «c’è austerità nei confronti dei ministeri però è espansiva per i redditi medio bassi», dato che la maggior parte delle risorse sono state destinate al taglio del cuneo, da leggere insieme alla riduzione degli scaglioni Irpef. Misure che infatti hanno agevolato i redditi fino a 28.000 euro. Aspetto evidenziato anche da Bankitaliai. Sulla crescita Giorgetti si dice abbastanza ottimista sottolineando come «se la stima preliminare relativa al terzo trimestre dovesse essere confermata, l’obiettivo di crescita per l’anno in corso, contenuto nel Documento programmatico di bilancio (0,8%) potrebbe essere soggetto a una - sia pur contenuta - correzione al ribasso». Trascurabile sarebbe invece l’impatto sulla crescita per il 2024. Giorgetti ha poi anche voluto ricordare come molto «probabilmente la crescita non dipende nemmeno e soltanto dalle leve che hanno in mano i ministri dell’Economia dei diversi Paesi, quello che accade intorno a noi dipende da scelte e situazioni che sfuggono alla limitata dimensione economica finanziaria», andando a sottolineare il contesto internazionale con cui non solo l’Italia si deve confrontare.
Ad appesantire i conti c’è poi una questione nazionale: il Superbonus. In audizione Giorgetti ha infatti voluto ribadire come questa misura rappresenti un’emorragia che «non smette di toccare la finanza pubblica». Nel solo mese di ottobre c’è stata una spesa «per 4,2 miliardi di euro». Durante l’audizione di ieri, Giorgetti ha poi risposto alle critiche avanzate dal presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, che aveva accusato il governo di aver trascurato le imprese, sottolineando che «la manovra di bilancio deve essere letta in combinato disposto proprio con il Pnrr e che ulteriori risorse per le imprese saranno disponibili in seguito all’approvazione, da parte della Commissione europea, della proposta di revisione del suddetto Piano come integrato con RepowerEu». Il ministro ha poi voluto ricordare come «gli aiuti alle imprese e al settore produttivo non si misurano solo in termini di risorse finanziarie, ma anche di procedure e strumenti a disposizione degli operatori». Il nuovo schema di garanzia, Garanzia Archimede, ha continuato il ministro, si basa su un fondo che «potrà assumere impegni entro un plafond di 60 miliardi relativo al complesso delle misure, con un limite di 10 miliardi per l’anno 2024 relativo alle sole operazioni oggetto della garanzia».
Altro tema critico sui cui il ministro ha risposto sono le pensioni dei medici. In sede di audizioni Giorgetti ha detto che «sulla vicenda dell’articolo 33, vedremo come dare una risposta, evidentemente è un problema che ci poniamo». È da ricordare infatti come la misura in legge di bilancio preveda un taglio sugli assegni spettanti degli operatori sanitari. Una modifica della norma deve dunque essere sì pensata ma in tempi brevi, anche per il problema sempre maggiore dello spopolamento dei medici e infermieri che lasciano il Ssn. Sulla questione ieri è intervenuto anche il ministro della Salute, Orazio Schillaci, che ha ribadito la sua disponibilità al confronto: «Credo nel dialogo con i medici. Credo che parlare sia sempre importante. E, comunque, cerchiamo di trovare soluzioni sul problema delle pensioni. Questo è il mio punto di vista». Schillaci ha poi ricordato che comunque la «questione è in capo al Mef». Dall’altra parte, il segretario nazionale del Nursind, Andrea Bottega, ha sottolineato che la disponibilità non basta. «La rigidità del Mef e del ministero del Lavoro sulle pensioni, infatti, non ci lasciano alternativa: nessun passo indietro, lo sciopero nazionale di venerdì 17 novembre è confermato». L’obiettivo è la revoca totale dell’articolo 33, visto che l’ipotesi di applicare il ricalcolo alle sole pensioni anticipate, escludendo quelle di vecchiaia, «andrebbe ad avvantaggiare sì i medici, ma creando una forte discriminazione con gli infermieri». Bocciata dal sindacato anche la seconda ipotesi sul tavolo del governo, cioè quella di un rinvio triennale dell’applicazione della norma contenuta in manovra: «Significa solo spostare il problema al 2027».
Sempre restando in tema di sanità, ieri il Senato ha approvato un emendamento al dl Proroghe su una mini proroga del payback al 30 novembre per i dispositivi medici. Azione che è stata approvata da Confindustria, che però chiede la messa a terra di una norma definitiva che ne preveda la cancellazione. «Ci auguriamo che il governo colga l’occasione di concludere questa vicenda prima che il Tar si esprima, prendendo politicamente in carico la soluzione al payback», dato che l’incertezza «sta logorando le imprese e sta portando a scelte forzate di riduzione dei posti di lavoro», conclude Confindustria.
Ieri inoltre l’esecutivo ha tenuto un vertice a cui hanno partecipato Giorgia Meloni, Antonio Tajani, Matteo Salvini, i ministri competenti e «in particolare» Giorgetti, «che ha riferito sullo stato della trattativa europea sulle nuove regole del Patto di stabilità».
Allarme sulle risorse per la sanità: «I fondi potrebbero non bastare»
«Il finanziamento del Ssn per il 2024 potrebbe non coprire integralmente le spese, tenendo conto del costo delle misure previste» dalla manovra. Così l’Ufficio parlamentare di bilancio ha bocciato, ieri in audizione, le risorse destinate alla sanità messe in manovra, sottolineando che ci potrebbero essere ulteriori difficoltà, «in relazione alle carenze di personale e all’impatto di eventuali nuove pressioni dei prezzi dei beni energetici sul settore sanitario». Andando avanti nella disamina, l’Upb ha evidenziato che le risorse aggiuntive stanziate sono sì sufficienti a mantenere nel 2024 l’incidenza della spesa sul Pil al livello pre pandemico (6,4 % nel 2019), ma che già allora, in termini di qualità di spesa la situazione non brillava particolarmente. Il Servizio sanitario nazionale appariva infatti già essere sottoposto a forti tensioni. Altro aspetto negativo che l’Upb sottolinea è che al momento «non si assiste ancora a quel potenziamento strutturale del Ssn che sembrava essere diventato un obiettivo condiviso nella fase dell’emergenza sanitaria».
Altri punti critici sono invece anche l’opinione che la manovra sarebbe «improntata a un’ottica di breve periodo, con interventi temporanei e frammentati» con previsioni di crescita raggiungibili «solo sotto l’ipotesi che si rafforzi consistentemente la domanda estera e che avanzino speditamente i progetti del Pnrr».
Positivo è invece il giudizio sulla misura più rilevante, il taglio del cuneo, pari a 10,7 miliardi, finanziato temporaneamente in deficit. La conferma della decontribuzione garantisce un importante supporto ai redditi da lavoro medio bassi, in particolare, sottolinea l’Upb, al reddito degli operai. Aspetti positivi anche per quanto riguarda la revisione dell’Irpef che riduce gli scaglioni da quattro a tre, aumenta la detrazione massima per redditi da lavoro dipendente equiparandola a quella relativa ai redditi da pensione e limita la detraibilità di alcuni oneri non sanitari sopra 50.000 euro di reddito (detrazioni al 19%). Nel complesso la misura, prevista per il solo 2024, assorbe risorse per 4,3 miliardi e prevede, secondo i calcoli dell’Upb, un beneficio di 75 euro annui per i redditi da lavoro dipendente tra 8.000 e 15.000. Da 15.001 a 28.000 il vantaggio aumenta progressivamente con il reddito fino a un massimo di 260 euro. Ovviamente sopra i 50.000 euro il beneficio tende ad azzerarsi per effetto del taglio delle detrazioni.
Per quanto riguarda invece la decontribuzione prevista per il triennio 2024-26 in favore delle lavoratrici con figli, gli effetti della misura si intrecciano e con quelli della decontribuzione parziale fino a 35.000 euro di retribuzione lorda «e pertanto il vantaggio risulterà più ridotto di quello che si verificherà dal 2025, quando quest’ultima non sarà più in vigore», sottolinea l’Upb. Nel complesso, la microsimulazione fatta dall’Ufficio parlamentare di bilancio mostra che le lavoratrici madri beneficeranno di una riduzione di contributi di circa 1,5 miliardi: 790 milioni dovuti alla decontribuzione parziale e la restante parte da attribuire invece alla misura specifica. Infine, sulle misure legate alla maggiorazione della deduzione per l’occupazione, l’Upb sottolinea che l’appetibilità della nuova misura dovrà essere valutata alla luce delle già esistenti decontribuzione.
- I 779 milioni sequestrati alla piattaforma, accusata di non aver agito come sostituto di imposta e di non aver versato il dovuto, possono finire nell’emendamento alla manovra. Per non alzare la cedolare secca o per ridurre l’Imu sugli affitti lunghi.
- Il 5 dicembre sciopero dei medici contro la sforbiciata alle pensioni. Nicola Calandrini: «Risorse non infinite. Servono compromessi».
Lo speciale contiene due articoli.
Lunedì sera la notizia dalle agenzie stampa. Per presunta evasione da 779 milioni, maxi sequestro al colosso Usa Airbnb. In sintesi, l’articolazione irlandese del gruppo degli affitti brevi è sotto inchiesta a Milano per omessa dichiarazione della «cedolare secca» su canoni di locazione gestiti con la piattaforma nel periodo compreso tra il 2017 e il 2021. Imponibile contestato, circa 3,7 miliardi di euro. Indagati tre manager irlandesi. I pm hanno dichiarato sempre alle agenzie: «La società ha tenuto un comportamento apertamente ostruzionistico verso l’amministrazione finanziaria italiana». Anche per questo ci è voluto molto tempo per chiudere l’inchiesta e bloccare il denaro. Banalmente la sede di Berlino non rispondeva alle sollecitazioni e l’autorità giudiziaria si è potuta muovere solo quando un avvocato milanese ha ricevuto la delega. A quel punto è scattato il sequestro esecutivo.
In ballo c’è l’attività che comunemente si chiama sostituto d’imposta. Nonostante le norme Ue indichino chiaramente l’obbligo di versare la trattenuta allo Stato per conto del cliente sottostante e nonostante anche il Consiglio di Stato si sia pronunciato in merito, Airbnb continua a fuggire dagli obblighi. Il che apre alla seconda fase del procedimento. L’azienda americana dovrà sicuramente pagare le sanzioni, ma soprattutto adesso è tenuta ad avviare un procedimento a ritroso. Spetta infatti ad Airbnb tracciare le migliaia di transazioni effettuate e fornire le informazioni all’amministrazione fiscale. Può essere che una buona fetta dei clienti (i proprietari degli immobili) abbiano in autonomia versato la propria cedolare secca al termine di ogni anno fiscale. È chiaro che lo Stato non potrà incassare due volte un’imposta per il medesimo servizio, ma è altrettanto chiaro che non spetta né alla Gdf né all’Agenzia delle entrate scavare nelle transazioni passate. Non certo per mancanza di volontà. Ma perché la legge ribalta sul sostituto d’imposta qualunque obbligo. Un po’ come nel rapporto tra lavoratore subordinato e titolare dell’impresa. Tale dettaglio non è secondario. Significa che i 779 milioni non possono essere considerati un assegno circolare, ma una somma abbastanza vicina a quella che potrà essere incassata a tutti gli effetti dal Fisco.
Ne segue che in queste ore e in questi giorni complicati in cui lo stesso governo ammette di dover lavorare a un maxi emendamento alla legge finanziarie, la previsione di un introito può tornare utile. Anche mettendo a budget la metà della cifra si può creare un tesoretto, termine che non ci piace perché nella realtà sono sempre imposte, ma che rende l’idea. Soprattutto nel caso in cui non si tratti di somme di contribuenti italiani ma di un grande contribuente con passaporto irlandese. In ogni caso anche solo 350 milioni si renderebbero utili per gestire la partita delicata del pensionamento dei medici e degli infermieri. Lo schema di tagli previsto per amalgamare le posizioni contributive dei sanitari rispetto agli altri lavoratori pubblici ha l’effetto di avviare una gara alle uscite anticipate e quindi di accelerare lo svuotamento degli ospedali. La norma vale quasi 1 miliardo nel corso degli anni, ma nel prossimo triennio solo 150 milioni.
I soldi posti sotto sequestro potrebbero avere altresì una destinazione ancor più inerente. Nel governo si è scatenata una battaglia sull’aumento della cedolare secca sugli immobili destinati agli affitti brevi. Dal 21% al 26% a partire dal secondo appartamento messo sul mercato turistico. La norma fa felici gli albergatori e tutti gli amministratori locali che sono convinti che alzando le tasse si disincentiva un settore e si incentiva un altro. Il racconto di questi sindaci, ma anche di alcuni ministri come Daniela Santanchè, punta a dimostrare che se si tassano gli più gli affitti brevi, la gente sarà incentivata ad affittare per periodi più lunghi. Magari agli studenti.
La realtà è diversa. Per almeno due motivi. La battagliata attorno all’aumento della cedolare secca porta a regime nelle casse dello Stato solo 8,8 milioni all’anno in più. Se li si volessero destinare a chi è più povero o agli studenti, vorrebbe dire erogare qualche briciola. A questo punto se veramente si volessero incentivare gli affitti a medio termine, magari proprio per gli studenti, ecco che il budget che sarà incassato da Airbnb potrebbe tornare utile per abbassare l’Imu di queste abitazioni. Basta fornire un certificato dell’università e il locatore avrà lo sconto. Questi sono veri incentivi. Il resto - passateci il termine - è populismo fiscale che non porta a risultati concreti. Punire di solito finisce con l’incentivare il nero. A meno che, come sostengono alcune associazioni dei piccoli proprietari di case, dietro non ci sia la strategia di rendere fuori mercato qualunque affitto breve per lasciare il monopolio turistico nelle mani degli alberghi. Il maxi emendamento in Aula sarà una importante cartina di tornasole.
Il 5 dicembre sciopero dei medici contro la sforbiciata alle pensioni
Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio: i medici e i dirigenti sanitari non si accontentano delle buone intenzioni espresse in questi ultimi giorni da esponenti della maggioranza e del governo e proclamano per il 5 dicembre uno sciopero di 24 ore contro la legge di bilancio, che prevede un sostanzioso taglio alle loro pensioni.
«Le misure contenute nella legge di bilancio in discussione al Senato», dichiarano in una nota Pierino Di Silverio, segretario nazionale di Anaao Assomed, e Guido Quici, presidente di Cimo-Fesmed, i sindacati di categoria, «non sono in grado né di risollevare il Servizio sanitario nazionale dalla grave crisi in cui si trova né di soddisfare le richieste della categoria che rappresentiamo. Ci saremmo aspettati», aggiungono Di Silverio e Quici, «uno sblocco, anche parziale, del tetto alla spesa per il personale sanitario e un piano straordinario di assunzioni, e invece nessuno ne fa nemmeno cenno. Dopo tante parole e belle intenzioni, ci saremmo dunque aspettati un vero cambio di rotta che mettesse al centro il Servizio sanitario nazionale, e invece siamo stati bersagliati dal taglio dell’assegno previdenziale compreso tra il 5% e il 25% all’anno, una stangata che colpisce circa 50.000 dipendenti. E non ci tranquillizzano», sottolineano i due leader sindacali, «le dichiarazioni rilasciate negli ultimi giorni da esponenti del governo in merito a possibili modifiche parziali del provvedimento, e non alla sua completa eliminazione. Misureremo nei prossimi giorni la reale disponibilità del governo, non solo a parole, pronti a mitigare o inasprire la protesta anche con altre eventuali giornate di sciopero da proclamare nel rispetto della normativa vigente».
L’intersindacale dei dirigenti medici, veterinari e sanitari del Sistema sanitario nazionale, il gruppo di sindacati che comprende i dirigenti medici, veterinari e sanitari del Ssn, Aaroi-emac, Fassid, Fp Cgil medici e dirigenti Ssn, Fvm federazione veterinari e medici, Uil Fpl medici e veterinari e Cisl medici, da parte sua, annuncia «forme di mobilitazione finalizzate a modificare la legge di bilancio», dunque una protesta che assumerà forme diverse dallo sciopero proclamato da Anaao Assomed e Cimo-Fesmed: «In rappresentanza dei 135.000 dirigenti medici, veterinari e sanitari che lavorano nei servizi pubblici», sottolineano le sigle in una nota, «l’intersindacale chiede un incontro al ministro della Salute per rivedere i provvedimenti di questa legge di bilancio». Il rischio è che, se non verrà modificata la norma sul taglio delle pensioni, i medici che ne hanno la possibilità andranno in pensione prima che entri in vigore, sguarnendo gli ospedali.
«Il governo», dice il ministro della Salute, Orazio Schillaci, a Radio24, «sta lavorando per cercare di trovare una soluzione considerando la grave carenza di medici e sanitari. E io sono fiducioso che si trovi un accomodamento».
Equilibrista la dichiarazione del presidente della commissione Bilancio del Senato, Nicola Calandrini di Fratelli d’Italia: «Il governo», argomenta, «sta considerando con attenzione le perplessità in tema pensioni espresse dal comparto sanitario. Qualche aggiustamento in corso d’opera è naturale ma occorre tenere presente il contesto storico complesso, la congiuntura economica difficile e anche le tante risorse stanziate per il comparto, a partire dal rinnovo dei contratti. Questa non è una manovra che taglia ma sono necessari dei compromessi, le risorse non sono infinite. Oggi (ieri, ndr)», aggiunge Calandrini, «sono iniziate le audizioni in Senato e, anche se i margini sono stretti per eventuali modifiche, naturalmente saremo attenti alle istanze presentate dalle varie parti. Per quanto concerne il comparto Sanità, il governo Meloni ha stanziato ben 136 miliardi di euro, un importo ragguardevole che supera le risorse impegnate anche negli anni del Covid, comprensive delle spese dei vaccini. L’obiettivo resta quello di migliorare l’offerta sanitaria e questa passa inevitabilmente per la soddisfazione del corpo lavoratori. Sono fiducioso in una soluzione che contempererà tutte le esigenze sul tavolo».
Dal mondo della politica arriva una chiara richiesta a trovare quanto prima un rimedio alla stretta inserita nella legge di bilancio per i medici che vanno in pensione. «Dobbiamo occuparci del tema specifico delle pensioni dei medici e con gli emendamenti del relatore e del governo ce ne occuperemo, perché questa categoria ha specificità diverse rispetto ad altre, tenendo comunque conto del fardello che il passaggio dal retributivo al contributivo ha creato e di cui ci siamo fatti responsabilmente carico», ha detto ieri Alessandro Cattaneo, vicecoordinatore nazionale e deputato di Forza Italia. Va ricordato, infatti, che nella manovra 2024 le pensioni dei camici bianchi vengono bersagliate su tre fronti. In primis, viene riesumata quota 103 «e mezzo» che introduce sempre il criterio di 62 anni di età e di 41 anni, ma con un incremento del periodo, le finestre, per uscire dal mondo del lavoro. Da tre mesi a sei mesi di scivolo per i dipendenti privati e da sei a nove mesi per i pubblici dipendenti. C’è poi il ricalcolo pensionistico realizzato solo attraverso il sistema contributivo e dicendo addio al metodo «misto» con cui si conteggiavano anche gli anni retributivi di contributi prima del 1996 e imponendo un limite all’importo delle pensioni sino a quattro volte il minimo Inps. Infine, è stata prevista la revisione delle aliquote di rendimento delle pensioni per i dipendenti iscritti ad alcune casse previdenziali.
In effetti la situazione appare complessa. Secondo un sondaggio lanciato dal sindacato dei medici Federazione Cimo-Fesmed (che riunisce le sigle Anpo-Ascoti, Cimo, Cimop e Fesmed) a cui hanno risposto 1.000 camici bianchi, il 58,5% dei medici non è disponibile a lavorare di più per abbattere le liste d’attesa, nemmeno in caso di un aumento delle retribuzioni delle prestazioni aggiuntive.
Particolarmente interessanti appaiono le motivazioni avanzate dai medici: il 29% dichiara di lavorare già molte ore oltre il proprio orario e non intende dunque sacrificare ulteriormente la propria vita privata; il 21,5% ritiene che non sia questa la soluzione al problema delle liste d’attesa; solo il 3,5% preferisce prolungare il proprio orario lavorando in intramoenia o privatamente mentre il 4,6% ritiene insufficiente l’aumento delle tariffe previsto. Il 18% invece lavorerà di più per abbattere le liste d’attesa perché sente il dovere di farlo, mentre il 23,4% aderirà alla richiesta per arrotondare lo stipendio.
«Sono numeri che non ci stupiscono», spiega Guido Quici, presidente Cimo-Fesmed, «da una parte i risultati mettono in luce ancora una volta il grande spirito di abnegazione dei medici, che vengono poi ringraziati con aumenti contrattuali ben al di sotto del tasso inflattivo e con vergognosi tagli alle pensioni; dall’altra confermano quanto abbiamo sostenuto nelle ultime settimane. Chiedendo ai medici già dipendenti di lavorare di più si continua a raschiare il fondo del barile dove, da raschiare, non c’è più nulla. I medici sono stremati da condizioni di lavoro insostenibili. Hanno difficoltà ad andare in ferie o a prendersi qualche ora di permesso perché, a causa della carenza di personale, lascerebbero i servizi svuotati e i pazienti senza cure». «Il taglio dei rendimenti delle pensioni future dei dipendenti pubblici non riguarda solo gli interessati: è una questione di credibilità e di reputazione del sistema», aggiunge il segretario generale Cosmed Giorgio Cavallero riferendosi proprio alle misure della legge di bilancio in tema di pensioni. «Non si fanno leggi retroattive, non si manomettono i rendimenti concordati e pagati con contratti e riscatti. Sarebbe come se il governo decidesse di ridurre il rendimento dei titoli di Stato a tasso fisso concordati: si produrrebbe il disastro finanziario», conclude il sindacalista.
C’è chi chiede una rivalutazione delle pensioni adeguandole all’inflazione e chi non vuole l’abolizione del vantaggio pensionistico maturato per i dipendenti pubblici e chi vuole la non applicazione della «nuova» quota 103. Le associazioni sindacali di medici o, più in generale, che si occupano di sanità, sono oggi tutte unite nel combattere una battaglia comune. Evitare in ogni modo che dal 2024, a seguito di alcune norme inserite nella manovra, molti camici bianchi perdano una fetta importante della propria pensione.
D’altronde, le pensioni dei medici vengono bersagliate su tre fronti. In primis, viene riesumata quota 103 «e mezzo» che introduce sempre il criterio di 62 anni di età e di 41 anni, ma con un incremento del periodo, le finestre, per uscire dal mondo del lavoro. Dai tre mesi di scivolo ai sei mesi per i dipendenti privati e da 6 mesi a 9 mesi per pubblici dipendenti. C’è poi il ricalcolo pensionistico realizzato solo attraverso il sistema contributivo e dicendo addio al metodo «misto» con cui si conteggiavano anche gli anni retributivi di contributi prima del 1996, e l’imposizione di un limite all’importo delle pensioni sino a quattro volte il minimo Inps. Dulcis in fundo, è stata prevista la revisione delle aliquote di rendimento delle pensioni per i dipendenti pubblici iscritti ad alcune Casse previdenziali.
«Chi va in pensione nel 2024 viene penalizzato se non viene cambiata la norma», spiega Roberto Bonfili, coordinatore nazionale area medico-veterinaria Uil-Fpl (Federazione Poteri Locali), la categoria della Uil che rappresenta i lavoratori della sanità (pubblica e privata), delle autonomie locali, del terzo settore. «Siamo fortemente preoccupati e sdegnati per la norma di adeguamento al ribasso delle aliquote di rendimento delle gestioni previdenziali dei medici e dirigenti sanitari previste nella legge finanziaria per il 2024, che taglierà gli assegni pensionistici fino al 30%». Come spiega Bonfili, abbiamo chiesto, «una flessibilità di accesso al pensionamento intorno ai 63 anni, come avviene in tutti i Paesi Ue. Per le pensioni in essere, abbiamo chiesto la piena rivalutazione all’inflazione».
«Riteniamo che nei rapporti tra Stato e cittadini sia fondamentale il mantenimento degli impegni assunti; le modifiche dovrebbero essere piccoli aggiustamenti, piuttosto che modifiche di parametri decisi 27 anni prima», spiega Alessandro Garau, segretario nazionale CoAS Medici Dirigenti. «Non possiamo che chiedere che queste modifiche di tipo retroattivo, vengano emendate, o del tutto cassate, nel passaggio parlamentare». Il riferimento è tutto alla nuova introduzione di quota 103. «Come mi ha detto pochi giorni fa un collega, ci hanno promesso Quota 100, ma sono riusciti a peggiorare persino la Legge Fornero», spiega. «Il peggioramento dei servizi sanitari è già in atto da anni senza tema di smentita per la carenza di medici nelle diverse specialità, in particolare quelle afferenti i Dea (Dipartimenti di Emergenza Urgenza). Anche Servizi squisitamente pubblici come quello della Prevenzione o della Psichiatria hanno già ridotto il loro output».
«Le restrizioni sul sistema pensionistico potrebbero essere temperate nel medio-lungo periodo restituendo libertà di scelta al dipendente su requisiti e metodo di calcolo al momento della pensione. Eliminando decadenze e irrevocabilità di opzioni che negli anni sono intervenute», aggiunge Tiziana Cignarelli, segretario generale confederazione Codirp, la confederazione di dirigenti della Repubblica che rappresenta i dirigenti delle Funzioni centrali, dell’area di istruzione e ricerca e della sanità.
«Siamo molto preoccupati», spiega alla Verità, Mauro Mazzoni, segretario nazionale medici del territorio Simet e coordinatore nazionale Fassid. L’associazione, come spiega Mazzoni, prevede «un’ecatombe di presenze (50.000), che si somma alla già drammatica carenza di personale e alla fuga dei medici dal Servizio sazionale, a rischio default».
«Per quanto riguarda i medici e gli infermieri e le penalità previdenziali previste in manovra, l’Ugl ritiene fondamentale raggiungere gradualmente una posizione più equa rispetto ad altre categorie professionali, riequilibrando la rivalutazione delle pensioni sulla base di criteri ispirati all’equità e alla giustizia sociale», ribadisce Gianluca Giuliano, segretario nazionale Ugl Salute. «Sarebbe opportuno, in tal senso, bloccare innanzitutto l’approvazione di questa norma e, in secondo luogo, aprire un tavolo per discutere di tale materia all’interno di una riforma complessiva del sistema previdenziale».
«Il tema della penalità previdenziale», Rosaria Iardino, presidente della Fondazione the Bridge, che si occupa di politiche sanitarie e sociali, «è solo l’ultimo anello di una catena di problematiche che si sommano, e la cui soluzione richiede un approccio sistemico. Prendiamo ad esempio il caso delle borse di specialità, che hanno più domande di quanto siano i posti disponibili, o del decreto Calabria, grazie al quale gli ospedali possono assumere specializzandi già a partire dal secondo anno, a scapito di un’adeguata formazione del personale medico».






