Per il momento Report non tornerà sulle attività del Garante della privacy. Ieri il conduttore della trasmissione, Sigfrido Ranucci, ha dichiarato che quella di domenica prossima sarà «una puntata molto delicata che riguarderà un caso di traffico di armi». Ranucci ha definito la vicenda del Garante della privacy «una delle pagine più brutte della democrazia degli ultimi anni», sostenendo poi che «non è vero che noi abbiamo fatto questa inchiesta in seguito alla sentenza». «Erano due anni che stavamo dietro al Garante», ha detto Ranucci.
Secondo il conduttore di Report «bisognerà prendere coscienza che la politica ha scoperto di aver creato un mostro, perché in questo momento non è in grado neppure di mandarli a casa, di licenziarli. Paradossalmente c’è l’imputazione di impeachment per il presidente della Repubblica, ma chi fa gli impicci in un’autorità garante non si riesce a mandarlo via per legge. È un paradosso». Ma lo stop ai servizi sul Garante nella trasmissione Rai non ha fermato la polemica politica, con l’opposizione che continua a chiedere l’azzeramento del collegio dell’Autorità stesso e gli esponenti della maggioranza che alternano posizioni di apertura all’azzeramento, a difese dell’operato del Garante nei confronti di Report. È il caso di Federico Mollicone, presidente della commissione Cultura della Camera, che durante la trasmissione L’aria che tira di La7 ha spiegato che, dal suo punto di vista, il soggetto vigilato dal Garante della privacy «è stato multato perché ha mandato in onda un messaggio personale (in realtà si tratta di uno spezzone di una conversazione telefonica, ndr) dell’allora ministro Gennaro Sangiuliano e della moglie». Per Mollicone, «la sanzione poteva arrivare al 4% del fatturato, un’iperbole, ma il comportamento» del Garante «è stato equilibrato». Mollicone ha poi ricordato che «l’authority era stata nominata dalla maggioranza di sinistra guidata da Pd e 5 stelle, che oggi ne chiede le dimissioni. Un contesto surreale». In un’intervista al Corriere della Sera, inoltre, ha criticato Report («giornalismo militante») e i suoi redattori («analfabeti istituzionali»). «Se noi abbiamo la fedina penale ancora pulita è perché le leggi le conosciamo bene», ha replicato Ranucci. Più diplomatiche le dichiarazioni del ministro per gli Affari Europei e Pnrr, Tommaso Foti, secondo il quale «se si ritiene che non vi siano i dovuti doveri di equilibrio, rassegnino le dimissioni e si chiedano le dimissioni. Però quella è un’authority che è stata eletta dal Parlamento quando Fratelli d’Italia era all’opposizione». Tra gli esponenti del centrosinistra spicca invece la dichiarazione di Stefano Patuanelli, capogruppo al Senato del M5s. Secondo il parlamentare del Movimento, Il collegio del Garante della privacy «non ha più credibilità per andare avanti, è il momento di fare un passo indietro», ma con un’eccezione: quella di Guido Scorza, nominato nel collegio nel 2020 e considerato in quota M5s. «Lo abbiamo scelto come professionista indipendente», ha detto Patuanelli, «e da quando è stato nominato non abbiamo mai avuto interlocuzioni con lui. Nella misura in cui non gli abbiamo mai chiesto nulla come membro del collegio, non gli chiediamo oggi un passo indietro». In un’intervista concessa al Tg1, il presidente dell'autorità Garante della Privacy, Pasquale Stanzione, ha però affermato: «Il collegio non presenterà le proprie dimissioni […]. Le accuse sono totalmente infondate: non c'è stata mai una decisione assunta per una ragione diversa dall'applicazione rigorosa della legge in piena indipendenza di giudizio. La narrazione di un Garante subalterno alla maggioranza di governo è una mistificazione che mira a delegittimarne l'azione specie quando le decisioni sono sgradite o scomode».






