Ospiti della nuova puntata del talk condotto da Daniele Capezzone negli studi Utopia, Paolo Arrigoni, Commissione ambiente al Senato e responsabile energia della Lega, e Stefano Collina, capogruppo del Partito democratico presso la Commissione industria al Senato.
Ospiti del talk condotto da Daniele Capezzone negli studi di Utopia, il responsabile energia della Lega Paolo Arrigoni e il senatore del Movimento 5 stelle Stanislao Di Piazza. Temi del giorno: il conflitto russo-ucraino, gli effetti sull'energia e l'economia, le riaperture e un quadro politico.
Paolo Arrigoni (Ansa)
Il senatore della Lega: «Alcune regole della Commissione danneggiano l’Italia e favoriscono troppo la Germania».
L’inserimento del gas e del nucleare all’interno della tassonomia Ue sono un buon segno, ma non basta. I limiti imposti da Bruxelles sul gas sono troppo stringenti e a goderne sono solo Paesi poco virtuosi come la Germania. A parlare è il senatore Paolo Arrigoni, responsabile del dipartimento energia della Lega.
Gas e nucleare sono stati alla fine inseriti nella tassonomia Ue degli investimenti sostenibili ed è un bene. Ma non c’è solo da gioire, giusto?
«Bisogna prima di tutto vedere il bicchiere mezzo pieno. Noi siamo soddisfatti di questa inversione di tendenza da parte della Commissione Ue, che su questo si è spaccata. Fino a pochi mesi fa, prima del caro energia, la Commissione intendeva escludere dalla tassonomia nucleare e gas. La Lega su questo era stata chiara e, nell’espressione degli schemi di parere, sono riuscito a far sì che il governo si attivasse in Europa per riuscire a portare all’interno della tassonomia queste due fonti di energia».
Quindi dove sta il problema?
«Il nucleare è fondamentale a lungo termine perché, se vogliamo decarbonizzare, è una fonte che ci permette di produrre energia in modo continuo e non in modo “ballerino”, come fanno fotovoltaico ed eolico, che comunque devono essere sviluppati. Inoltre, anche se in futuro vorremo produrre idrogeno il nucleare sarà fondamentale. La Lega ha più volte ribadito, inoltre, che il gas ha un ruolo strategico nell’accompagnamento alla transizione ecologica e che era sbagliato puntare sul gas senza investimenti sulle infrastrutture. Inoltre, ci sono vincoli troppo stringenti sul gas e questi penalizzeranno Paesi virtuosi come l’Italia che nel corso degli ultimi anni hanno fatto molto per ridurre le centrali a carbone. Al contrario, ci sono Paesi come la Germania che si fanno belli nel dire che abbandonano il nucleare e in realtà producono il 30% della propria energia con centrali a carbone o, ancor peggio, a lignite».
Qual è stato il ruolo dell’Italia in tutto questo?
«L’Italia aveva presentato all’Ue una serie di richieste per addolcire o rimuovere questi vincoli stringenti sul gas, ma non ci sono stati riscontri. Abbiamo quindi un gas azzoppato. Noi potremo solo sostituire le centrali a carbone con quelle a gas o realizzare impianti con limiti molti stringenti attraverso la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica. Se non altro la Commissione ha mostrato pragmatismo, mettendo all’angolo l’ideologia ambientalista degli ultimi anni. Inoltre, la Lega chiede, sulla scorta di questo documenti, di tornare ad aprire un dibattito sul nucleare. Detto ciò, noi speriamo che, come la Commissione ha fatto una svolta di 180 gradi su gas e nucleare, faccia lo stesso sull’idea di non raddoppiare il Tap, il gasdotto trans-adriatico che porta energia dall’Azerbaijan. Questa infrastruttura ha portato sei miliardi di metri cubi nel nostro Paese e ha consentito di diversificare le fonti di energia e contribuire un po’ a ridurre le tariffe energetiche, nonostante questo periodo di alti rincari».
Qual è il ruolo del Gestore servizi energetici in tutto questo?
«Dopo la nomina del nuovo amministratore unico del Gse, era il luglio 2021, avevo evidenziato la centralità della società nella sfida della transizione ecologica. Proprio per questo motivo avevo sottolineato con rammarico la decisione, inopportuna, di passare da una governance collegiale a un amministratore unico. A distanza di sei mesi, da parte degli operatori che hanno rapporti con la società si percepiscono non pochi mal di pancia. La Lega, in prima linea sull’emergenza del caro bolletta, chiede dunque che il Gse esca dall’immobilismo, puntando ad una organizzazione efficiente basata sulle migliori competenze e chiarisca in che tempi colmerà il ritardo accumulato negli anni nelle varie richieste di incentivazione che gli operatori hanno portato avanti e alle quali non è mai stata data risposta».
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Adolfo Urso (Ansa)
La guida del comitato per la sicurezza va a Fdi, unica forza d'opposizione. Assenti al voto i leghisti Raffaele Volpi e Paolo Arrigoni. Il ritorno all'operatività permette l'avvio della nuova agenzia di cybersecurity e il controllo del cloud di Stato, vero cuore del Recovery plan.
Ieri si è chiusa l'ultima partita rimasta da saldare con il Conte bis. Adolfo Urso, senatore di Fratelli d'Italia, unico partito all'opposizione, è stato eletto presidente del Copasir, il comitato per la sicurezza della Repubblica. Motivo per cui il colonnello un tempo di An ha lasciato tutte le cariche operative nel partito. Ora, con qualche cicatrice, Lega e Fdi si lasciano alle spalle le polemiche che hanno innescato un lungo tira e molla sulla paternità della presidenza, che per mesi è rimasta in capo a Raffaele Volpi, nonostante la legge statutaria del comparto di intelligence e di sicurezza nazionale. Ieri i due rappresentanti del Carroccio, oltre a Volpi anche Paolo Arrigoni (dimessisi il 20 maggio) non si sono presentati alla riunione e non hanno partecipato alla votazione. Gli altri componenti hanno scelto compatti, avendo Urso ricevuto 7 voti. Un buon risultato considerando che l'astenuto probabilmente è stato lui. Da segnalare che anche il senatore di Iv, Ernesto Magorno, avrebbe votato allineato al resto dei gruppi, incrinando l'idillio che si era formato con la Lega negli ultimi mesi. La scelta dell'unità si è però resa necessario dopo la moral suasion di Mario Draghi.
Se la seduta di ieri a Palazzo San Macuto non avesse quagliato un nome, il Copasir sarebbe ripiombato in una difficile situazione. Urso, come scritto sopra, è l'unico rappresentante dell'opposizione. Si sarebbe così dovuto sciogliere il comitato e riavviare la giostra delle nomine. Immaginando la volontà di includere un secondo gruppo di opposizione che al momento non esiste, l'iter di riavvio della macchina burocratica avrebbe richiesto settimane. Se non mesi. Tempo che manca al governo. Infatti, l'elezione del nuovo presidente e il ritorno all'operatività del comitato ha di fatto sbloccato almeno 6 miliardi di euro di investimenti, il cuore del carciofo del Pnrr. Il governo ha fretta di approvare la nuova agenzia per la cybersecurity. Si tratta della vera novità della coppia Draghi-Gabrielli e - per capirsi - sarà molto diversa dalla struttura immaginata da Giuseppe Conte assieme all'ex direttore del Dis, Gennaro Vecchione. Quella era frutto di un blitz e avrebbe affidato al Dipartimento tutti i poteri. Questa invece è una struttura autonoma dalle altre agenzia che dipende direttamente da Palazzo Chigi e necessita della supervisione del Copasir, che diventa il controllore dell'intero meccanismo. Il progetto attingerà almeno 600 milioni dal Pnrr e arriverà a organizzare a breve 800 dipendenti, a cui si aggiungerà una squadra di assunzioni a tempo da 200 persone. Il decreto è già pronto ed era bloccato solo dall'impasse sul Copasir. Non a caso stamattina già si terrà l'audizione del sottosegretario delegato Franco Gabrielli che farà le ultime comunicazioni, raccoglierà le osservazioni e le porterà dirette in Cdm, che potrebbe già riunirsi oggi. Ma con lo sblocco della nuova potente agenzia si può dare il via anche all'intero progetto del cloud, la nuvola di Stato evocata dal ministro Vittorio Colao. L'obiettivo del governo è varare i bandi già a luglio e rendere il tutto operativo in pochi mesi. Qui si tratta di mettere a terra numerosi progetti. Qui è previsto un investimento diretto di 900 milioni, a cui si aggiungeranno man mano pezzi dedicati alla Pubblica amministrazione. Il totalone di spesa, compreso l'avvio dell'Agenzia, vale ben 6,1 miliardi di euro. Senza contare che gli 007 virtuali potranno poi contare su nuovi bandi di gara. A settembre l'Europa renderà operativo Horizon Europe, l'erede del programma Horizon 2020. È un sistema Ue di leva che permette di finanziare singoli progetti. Nel complesso Bruxelles stanzierà 95 miliardi entro il 2027. Sarebbe sciocco non cercare di attingere a questi fondi. Senza dimenticare che nei prossimi anni la versione di contrasto ibrido della Nato permetterà di far circolare specifici fondi anche per la cybersecurity. Insomma, una possibile pioggia di fondi che spiega l'importanza che della controffensiva militare agli hacker e quanto la Difesa Ue si dedicherà al contrasto. Carro armato e caccia francotedesco sono ormai il passato.
Ma in un mondo virtuale in cui tutto si tiene anche il progetto di cloud nazionale non sarebbe potuto partire se gli altri tasselli non fossero stati incardinati. Senza agenzia cyber niente garanzie e senza Copasir operativo, niente agenzia. Adesso, tirata la linea e archiviati i problemi del comparto fermentati durantie l'era di Giuseppe Conte si parte a spron battuto. Certo, non bisogna correre il rischio di accelerare troppo. Gli operatori cloud italiani hanno già scritto a Colao per avere chiarimenti sull'accessibilità ai bandi. D'altra parte l'organizzazione degli stessi potrebbe già far pendere l'ago della bilancia verso un sistema più che un altro. Al momento si ipotizzano due schemi. Il primo sul modello francese nel quale l'infrastruttura è essenzialmente nazionale con la partecipazione di un player unico (Tim con Leonardo?). Il secondo è il modello israeliano dove colossi stranieri investono in loco a condizioni rigide. Ora il ministero dovrà scegliere, tenendo anche conto del fatto che si sono già formate le alleanze. Giuseppe Bono, ad di Fincantieri, ha tirato la volata alleandosi con Amazon e Almaviva. In tutto ciò resta da capire chi si occuperà del cloud dedicato alla Difesa e a quello della giustizia. Ad esempio negli Usa Amzon ha sviluppato delle «secret region» nel cloud usate dalla Cia. Progetti molto costosi. Troppo per l'Italia che tra un fondo e l'altro potrebbe comunque arrivare a spendere per la sicurezza Web ben più di 10 miliardi.
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Il senatore leghista, Paolo Arrigoni: «Paghiamo il 15% in più della media Ue. L'elettrico favorisce la Cina a scapito della nostra filiera».
«L'approccio del governo Draghi e del ministro Roberto Cingolani sta finalmente superando quello ideologico del Conte bis. Si sta abbandonando l'ideologismo che ha bloccato il Paese in questi anni per condividere il pragmatismo tipico della Lega». Paolo Arrigoni, senatore del Carroccio, responsabile del dipartimento energia in via Bellerio, fa il punto sulla situazione del settore nel nostro Paese anche alla luce del Pnrr, che convoglierà sulla rivoluzione verde 59,4 miliardi, oltre un quarto dei 191 miliardi totali.

Quindi qualcosa sta cambiando a Palazzo Chigi?
«Sulla mobilità sostenibile, oltre all'elettrico occorre anche il sostegno allo sviluppo dei carburanti low carbon per permettere alla nostra filiera della raffinazione di riconvertirsi e per favorire la decarbonizzazione. Poi è sbagliato puntare solo sull'idrogeno verde, a oggi non competitivo, ma nel breve e medio termine occorre sviluppare anche quello blu se vogliamo avere dei benefici ambientali, soprattutto nei settori industriali energivori (Hard to abate). Ma non c'è solo questo, serve anche un approccio di tipo geopolitico in particolare sulla Cina».
Che è la prima produttrice di pannelli fotovoltaici e di batterie elettriche, circa il 70%, e che detiene gran parte delle concessioni per l'estrazione di terre rare necessarie per produrre le batterie.
«Se si punta eccessivamente sulla elettrificazione dei consumi si corre il rischio di spostare il baricentro della geopolitica mondiale verso gli interessi di Pechino».
Oggi le case automobilistiche, anche europee, puntano però forte sull'elettrico.
«Serve prudenza, non solo per tutelare la filiera italiana dell'automotive, ma occorre valutare tutto il ciclo di vita di un'auto elettrica, che in base alle percorrenze può risultare anche più impattante rispetto alle nuove macchine con motori Euro 6. Anche l'auto elettrica inquina durante il suo processo di vita, nel produrla, manutenerla, demolirla e alimentarla con energia elettrica in parte è prodotta da fonti fossili. E poi, e c'è il problema dello smaltimento delle batterie che hanno un impatto da non sottovalutare. Senza contare che oggi l'auto elettrica è considerata ancora un bene di lusso e non è alla portata di tutti gli italiani. Basti pensare che degli incentivi statali stanziati da oltre due anni per l'acquisto di auto con la spina, il 60% giace ancora inutilizzato».
E il problema della burocrazia che rallenta il nostro Paese?
«La burocrazia caratterizza in negativo l'Italia e sta molto rallentando lo sviluppo delle rinnovabili che soffrono per i lunghi iter autorizzativi. Basta vedere l'esito dell'ultimo bando che incentiva gli impianti fotovoltaici, eolici e idroelettrici. Il confronto con un analogo bando della Spagna è risultato impietoso. In Italia meno del 25% dei 1.880 Mw di potenza incentivabili è stato oggetto di domanda finita in posizione utile. In Spagna, dove avevano una gara per 3.000 Mw, sono state fatte domande per 9.700 Mw, ossia tre volte di più. Mentre noi abbiamo aggiudicato con incentivi medi di 68 euro a megawattora, che poi gli italiani pagano come oneri sulle bollette, in Spagna vista l'ampia concorrenza, si sono fermati a 25 euro, un terzo. Così non possiamo continuare».
Siamo ancora in attesa del Pitesai.
«È in ritardissimo e questo sta minando la reputazione del nostro Paese. Da oltre due anni gli investimenti nel settore sono congelati. Ho chiesto al ministro Cingolani di impegnare al massimo la sua struttura per approvare il Piano entro settembre. Bisogna dare certezze agli operatori. La transizione ecologica prevede l'abbandono delle fonti fossili, ma questo avverrà gradualmente e il gas avrà un ruolo fondamentale di accompagnamento almeno fino al 2050».
Gas che noi importiamo soprattutto dall'estero.
«È il 93 % di quello che usiamo. Ecco perché è importante sfruttare le nostre georisorse anche per ridurre la nostra dipendenza energetica dall'estero. Nel governo ci sono visioni discordanti: i 5 stelle vorrebbero azzerare immediatamente l'utilizzo delle fonti fossili ma senza il gas non si va da nessuna parte. Non riusciremo mai a raggiungere gli obiettivi, sfidanti, della transizione ecologica e metteremmo a rischio la sicurezza del nostro sistema energetico nazionale. Bisogna abbandonare queste posizioni ideologiche e ragionare con concretezza».
C'è anche l'obiettivo di spegnere le centrali a carbone entro il 2025.
«Facile a dirsi ma difficile a realizzarsi, visto che siamo in ritardo con le rinnovabili, il cui funzionamento peraltro non è programmabile, che dovrebbero sostituirle producendo altrettanta energia elettrica per soddisfare la domanda delle utenze. Anche qui, forse servirebbe un po' più di realismo, evitando di cercare di essere sempre i primi della classe. La Germania spegnerà le ultime sue centrali nel 2038. Questo significa molto e in negativo a livello di competitività per le nostre imprese, visto che l'energia prodotta con il carbone costa molto di meno. In generale sulla decarbonizzazione e sul taglio della CO2 non può solo l'Europa darsi obiettivi sfidanti ma anche il resto del mondo deve fare la propria parte. Ursula von der Leyen ha alzato l'asticella del taglio di CO2 dal 40 al 55% entro il 2030, ma nel mondo, a partire dalla Cina, non si sono minimamente posti questo obiettivo».
Restano poi i nodi dell'efficientamento energetico e i costi dell'energia in Italia.
«Per la Lega abbattere questi costi è fondamentale. Le famiglie ma soprattutto le nostre imprese pagano l'energia il 15% in più rispetto alla media europea. Il Superbonus è uno strumento che può contribuirvi, oltre a rilanciare l'edilizia che dal 2008 è in ginocchio, ma è ancora troppo farraginoso e porta con sé diversi problemi. Affinché possa decollare occorre però decidere subito la proroga al 2023, poi semplificarlo e magari estenderlo anche alle attività economiche a partire dagli alberghi».
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