Il senatore leghista, Paolo Arrigoni: «Paghiamo il 15% in più della media Ue. L'elettrico favorisce la Cina a scapito della nostra filiera».
Il senatore leghista, Paolo Arrigoni: «Paghiamo il 15% in più della media Ue. L'elettrico favorisce la Cina a scapito della nostra filiera».«L'approccio del governo Draghi e del ministro Roberto Cingolani sta finalmente superando quello ideologico del Conte bis. Si sta abbandonando l'ideologismo che ha bloccato il Paese in questi anni per condividere il pragmatismo tipico della Lega». Paolo Arrigoni, senatore del Carroccio, responsabile del dipartimento energia in via Bellerio, fa il punto sulla situazione del settore nel nostro Paese anche alla luce del Pnrr, che convoglierà sulla rivoluzione verde 59,4 miliardi, oltre un quarto dei 191 miliardi totali. Paolo Arrigoni (iStock) Quindi qualcosa sta cambiando a Palazzo Chigi?«Sulla mobilità sostenibile, oltre all'elettrico occorre anche il sostegno allo sviluppo dei carburanti low carbon per permettere alla nostra filiera della raffinazione di riconvertirsi e per favorire la decarbonizzazione. Poi è sbagliato puntare solo sull'idrogeno verde, a oggi non competitivo, ma nel breve e medio termine occorre sviluppare anche quello blu se vogliamo avere dei benefici ambientali, soprattutto nei settori industriali energivori (Hard to abate). Ma non c'è solo questo, serve anche un approccio di tipo geopolitico in particolare sulla Cina».Che è la prima produttrice di pannelli fotovoltaici e di batterie elettriche, circa il 70%, e che detiene gran parte delle concessioni per l'estrazione di terre rare necessarie per produrre le batterie.«Se si punta eccessivamente sulla elettrificazione dei consumi si corre il rischio di spostare il baricentro della geopolitica mondiale verso gli interessi di Pechino».Oggi le case automobilistiche, anche europee, puntano però forte sull'elettrico.«Serve prudenza, non solo per tutelare la filiera italiana dell'automotive, ma occorre valutare tutto il ciclo di vita di un'auto elettrica, che in base alle percorrenze può risultare anche più impattante rispetto alle nuove macchine con motori Euro 6. Anche l'auto elettrica inquina durante il suo processo di vita, nel produrla, manutenerla, demolirla e alimentarla con energia elettrica in parte è prodotta da fonti fossili. E poi, e c'è il problema dello smaltimento delle batterie che hanno un impatto da non sottovalutare. Senza contare che oggi l'auto elettrica è considerata ancora un bene di lusso e non è alla portata di tutti gli italiani. Basti pensare che degli incentivi statali stanziati da oltre due anni per l'acquisto di auto con la spina, il 60% giace ancora inutilizzato».E il problema della burocrazia che rallenta il nostro Paese?«La burocrazia caratterizza in negativo l'Italia e sta molto rallentando lo sviluppo delle rinnovabili che soffrono per i lunghi iter autorizzativi. Basta vedere l'esito dell'ultimo bando che incentiva gli impianti fotovoltaici, eolici e idroelettrici. Il confronto con un analogo bando della Spagna è risultato impietoso. In Italia meno del 25% dei 1.880 Mw di potenza incentivabili è stato oggetto di domanda finita in posizione utile. In Spagna, dove avevano una gara per 3.000 Mw, sono state fatte domande per 9.700 Mw, ossia tre volte di più. Mentre noi abbiamo aggiudicato con incentivi medi di 68 euro a megawattora, che poi gli italiani pagano come oneri sulle bollette, in Spagna vista l'ampia concorrenza, si sono fermati a 25 euro, un terzo. Così non possiamo continuare».Siamo ancora in attesa del Pitesai.«È in ritardissimo e questo sta minando la reputazione del nostro Paese. Da oltre due anni gli investimenti nel settore sono congelati. Ho chiesto al ministro Cingolani di impegnare al massimo la sua struttura per approvare il Piano entro settembre. Bisogna dare certezze agli operatori. La transizione ecologica prevede l'abbandono delle fonti fossili, ma questo avverrà gradualmente e il gas avrà un ruolo fondamentale di accompagnamento almeno fino al 2050».Gas che noi importiamo soprattutto dall'estero.«È il 93 % di quello che usiamo. Ecco perché è importante sfruttare le nostre georisorse anche per ridurre la nostra dipendenza energetica dall'estero. Nel governo ci sono visioni discordanti: i 5 stelle vorrebbero azzerare immediatamente l'utilizzo delle fonti fossili ma senza il gas non si va da nessuna parte. Non riusciremo mai a raggiungere gli obiettivi, sfidanti, della transizione ecologica e metteremmo a rischio la sicurezza del nostro sistema energetico nazionale. Bisogna abbandonare queste posizioni ideologiche e ragionare con concretezza».C'è anche l'obiettivo di spegnere le centrali a carbone entro il 2025.«Facile a dirsi ma difficile a realizzarsi, visto che siamo in ritardo con le rinnovabili, il cui funzionamento peraltro non è programmabile, che dovrebbero sostituirle producendo altrettanta energia elettrica per soddisfare la domanda delle utenze. Anche qui, forse servirebbe un po' più di realismo, evitando di cercare di essere sempre i primi della classe. La Germania spegnerà le ultime sue centrali nel 2038. Questo significa molto e in negativo a livello di competitività per le nostre imprese, visto che l'energia prodotta con il carbone costa molto di meno. In generale sulla decarbonizzazione e sul taglio della CO2 non può solo l'Europa darsi obiettivi sfidanti ma anche il resto del mondo deve fare la propria parte. Ursula von der Leyen ha alzato l'asticella del taglio di CO2 dal 40 al 55% entro il 2030, ma nel mondo, a partire dalla Cina, non si sono minimamente posti questo obiettivo».Restano poi i nodi dell'efficientamento energetico e i costi dell'energia in Italia. «Per la Lega abbattere questi costi è fondamentale. Le famiglie ma soprattutto le nostre imprese pagano l'energia il 15% in più rispetto alla media europea. Il Superbonus è uno strumento che può contribuirvi, oltre a rilanciare l'edilizia che dal 2008 è in ginocchio, ma è ancora troppo farraginoso e porta con sé diversi problemi. Affinché possa decollare occorre però decidere subito la proroga al 2023, poi semplificarlo e magari estenderlo anche alle attività economiche a partire dagli alberghi».
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Il ministro dell'Economia sulla legge di bilancio sottolinea l'obiettivo di tutelare e andare incontro alle famiglie e ai lavoratori. Tenendo conto degli altri fattori che incideranno sulla programmazione.
Giorgetti ha poi escluso la possibilità di una manovra correttiva: «Non c'è bisogno di correggere una rotta che già gli arbitri ci dicono essere quella rotta giusta» e sottolinea l'obiettivo di tutelare e andare incontro alle famiglie e ai lavoratori con uno sguardo alle famiglie numerose». Per quanto riguarda l'ipotesi di un intervento in manovra sulle banche ha detto: «Io penso che chiunque faccia l'amministratore pubblico debba valutare con attenzione ogni euro speso dalla pubblica amministrazione. Però queste sono valutazioni politiche, ribadisco che saranno fatte solo quando il quadro di priorità sarà definito e basta aspettare due settimane».
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Il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il direttore de La Verità Maurizio Belpietro
Il terzo panel dell’evento de La Verità ha approfondito la frontiera dell’eolico offshore con l’intervista condotta dal direttore Maurizio Belpietro a Riccardo Toto, direttore generale di Renexia. L’azienda, nata nel 2012 e attiva in Italia e all’estero nel settore delle rinnovabili, del fotovoltaico, delle infrastrutture e della mobilità elettrica, ha illustrato le proprie strategie per contribuire alla transizione energetica italiana.
Toto ha presentato il progetto di eolico offshore galleggiante al largo delle coste siciliane, destinato a produrre circa 2,7 gigawatt di energia rinnovabile. Un’iniziativa che, secondo il direttore di Renexia, rappresenta un’opportunità concreta per creare nuova occupazione e una filiera industriale nazionale: «Stiamo avviando una fabbrica in Abruzzo che genererebbe 3.200 posti di lavoro. Le rinnovabili oggi sono un’occasione per far partire un mercato che può valere fino a 45 miliardi di euro di valore aggiunto per l’economia italiana».
L’intervento ha sottolineato l’importanza di integrare le rinnovabili nel mix energetico, senza prescindere dal gas, dalle batterie e in futuro anche dal nucleare: elementi essenziali non solo per la sicurezza energetica ma anche per garantire crescita e competitività. «Non esiste un’economia senza energia - ha detto Toto - È utopistico pensare di avere solo veicoli elettrici o di modificare il mercato per legge». Toto ha inoltre evidenziato la necessità di una decisione politica chiara per far partire l’eolico offshore, con un decreto che stabilisca regole precise su dove realizzare i progetti e investimenti da privilegiare sul territorio italiano, evitando l’importazione di componenti dall’estero. Sul decreto Fer 2, secondo Renexia, occorre ripensare i tempi e le modalità: «Non dovrebbe essere lanciato prima del 2032. Serve un piano che favorisca gli investimenti in Italia e la nascita di una filiera industriale completa». Infine, Toto ha affrontato il tema della transizione energetica e dei limiti imposti dalla legislazione internazionale: la fine dei motori a combustione nel 2035, ad esempio, appare secondo lui irrealistica senza un sistema energetico pronto. «Non si può pensare di arrivare negli Usa con aerei a idrogeno o di avere un sistema completamente elettrico senza basi logiche e infrastrutturali solide».
L’incontro ha così messo in luce le opportunità dell’eolico offshore come leva strategica per innovazione, lavoro e crescita economica, sottolineando l’urgenza di politiche coerenti e investimenti mirati per trasformare l’Italia in un hub energetico competitivo in Europa.
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2025-09-15
Il Made in Italy alla prova della sostenibilità: agricoltura, industria e finanza unite nella transizione
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Da sinistra, Leonardo Meoli (Group Head of Sustainability Business Integration), Marzia Ravanelli (direttrice Quality & Sustainability) di Bonifiche Feraresi, Giuliano Zulin (La Verità) e Nicola Perizzolo (project engineer)
Dalla terra di Bonifiche Ferraresi con Marzia Ravanelli (direttrice Quality & Sustainability), ai forni efficienti di Barilla con Nicola Perizzolo (project engineer), fino alla finanza responsabile di Generali con Leonardo Meoli (Group Head of Sustainability Business Integration): tre voci, un’unica direzione. Se ne è discusso a uno dei panel dell’evento de La Verità al Gallia di Milano.
Al panel su Made in Italy e sostenibilità, moderato da Giuliano Zulin, vicedirettore de La Verità, tre grandi realtà italiane si sono confrontate sul tema della transizione sostenibile: Bonifiche Ferraresi, la più grande azienda agricola italiana, Barilla, colosso del food, e Generali, tra i principali gruppi assicurativi europei. Tre prospettive diverse – la terra, l’industria alimentare e la finanza – che hanno mostrato come la sostenibilità, oggi, sia al centro delle strategie di sviluppo e soprattutto della valorizzazione del Made in Italy. «Non sono d’accordo che l’agricoltura sia sempre sostenibile – ha esordito Marzia Ravanelli, direttrice del Gruppo Quality & Sustainability di Bonifiche Ferraresi –. Per sfamare il pianeta servono produzioni consistenti, e per questo il tema della sostenibilità è diventato cruciale. Noi siamo partiti dalla terra, che è la nostra anima e la nostra base, e abbiamo cercato di portare avanti un modello di valorizzazione del Made in Italy e del prodotto agricolo, per poi arrivare anche al prodotto trasformato. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di farlo nel modo più sostenibile possibile».
Per Bf, quotata in Borsa e con oltre 11.000 ettari coltivati, la sostenibilità passa soprattutto dall’innovazione. «Attraverso l’agricoltura 4.0 – ha spiegato Ravanelli – siamo in grado di dare al terreno solo quello di cui ha bisogno, quando ne ha bisogno. Così riduciamo al minimo l’uso delle risorse: dall’acqua ai fitofarmaci. Questo approccio è un grande punto di svolta: per anni è stato sottovalutato, oggi è diventato centrale». Ma non si tratta solo di coltivare. L’azienda sta lavorando anche sull’energia: «Abbiamo dotato i nostri stabilimenti di impianti fotovoltaici e stiamo realizzando un impianto di biometano a Jolanda di Savoia, proprio dove si trova la maggior parte delle nostre superfici agricole. L’agricoltura, oltre a produrre cibo, può produrre energia, riducendo i costi e aumentando l’autonomia. È questa la sfida del futuro». Dall’agricoltura si passa all’industria alimentare.
Nicola Perizzolo, project engineer di Barilla, ha sottolineato come la sostenibilità non sia una moda, ma un percorso strutturale, con obiettivi chiari e risorse ingenti. «La proprietà, anni fa, ha preso una posizione netta: vogliamo essere un’azienda di un certo tipo e fare business in un certo modo. Oggi questo significa avere un board Esg che definisce la strategia e un piano concreto che ci porterà al 2030, con un investimento da 168 milioni di euro».Non è un impegno “di facciata”. Perizzolo ha raccontato un esempio pratico: «Quando valutiamo un investimento, per esempio l’acquisto di un nuovo forno per i biscotti, inseriamo nei costi anche il valore della CO₂ che verrà emessa. Questo cambia le scelte: non prendiamo più il forno standard, ma pretendiamo soluzioni innovative dai fornitori, anche se più complicate da gestire. Il risultato è che consumiamo meno energia, pur garantendo al consumatore lo stesso prodotto. È stato uno stimolo enorme, altrimenti avremmo continuato a fare quello che si è sempre fatto».
Secondo Perizzolo, la sostenibilità è anche una leva reputazionale e sociale: «Barilla è disposta ad accettare tempi di ritorno più lunghi sugli investimenti legati alla sostenibilità. Lo facciamo perché crediamo che ci siano benefici indiretti: la reputazione, l’attrattività verso i giovani, la fiducia dei consumatori. Gli ingegneri che partecipano alle selezioni ci chiedono se quello che dichiariamo è vero. Una volta entrati, verificano con mano che lo è davvero. Questo fa la differenza».
Se agricoltura e industria alimentare sono chiamate a garantire filiere più pulite e trasparenti, la finanza deve fare la sua parte nel sostenerle. Leonardo Meoli, Group Head of Sustainability Business Integration di Generali, ha ricordato come la compagnia assicurativa lavori da anni per integrare la sostenibilità nei modelli di business: «Ogni nostra attività viene valutata sia dal punto di vista economico, sia in termini di impatto ambientale e sociale. Abbiamo stanziato 12 miliardi di euro in tre anni per investimenti legati alla transizione energetica, e siamo molto focalizzati sul supporto alle imprese e agli individui nella resilienza e nella protezione dai rischi climatici». Il mercato, ha osservato Meoli, risponde positivamente: «Vediamo che i volumi dei prodotti assicurativi con caratteristiche ESG crescono, soprattutto in Europa e in Asia. Ma è chiaro che non basta dire che un prodotto è sostenibile: deve anche garantire un ritorno economico competitivo. Quando riusciamo a unire le due cose, il cliente risponde bene».
Dalle parole dei tre manager emerge una convinzione condivisa: la sostenibilità non è un costo da sopportare, ma un investimento che rafforza la competitività del Made in Italy. «Non si tratta solo di rispettare regole o rincorrere mode – ha sintetizzato Ravanelli –. Si tratta di creare un modello di sviluppo che tenga insieme produzione, ambiente e società. Solo così possiamo guardare al futuro».In questo incrocio tra agricoltura, industria e finanza, il Made in Italy trova la sua forza. Il marchio non è più soltanto sinonimo di qualità e tradizione, ma sempre di più di innovazione e responsabilità. Dalle campagne di Jolanda di Savoia ai forni di Mulino Bianco, fino alle grandi scelte di investimento globale, la transizione passa per la capacità delle imprese italiane di essere sostenibili senza smettere di essere competitive. È la sfida del presente, ma soprattutto del futuro.
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Boldrini ed eurodeputati si inginocchiarono per George Floyd, un nero pluripregiudicato. Per Kirk, un giovane che ha difeso strenuamente i valori cristiani e occidentali, è stato negato il minuto di silenzio a Strasburgo. Ma il suo sangue darà forza a molti.