Una piccola luce si inizia a scorgere in fondo al tunnel di contagio e morte dove siamo piombati da un mese a causa del coronavirus. I numeri presentati ieri da Angelo Borrelli, commissario per l'emergenza Covid-19, mostrano, per il secondo giorno consecutivo, una crescita contenuta: sono guarite 7.423 persone, 408 ieri. Attualmente i positivi hanno raggiunto 50.418 unità (+3.780) con la metà in isolamento domiciliare e 3.204 (il 6%) in terapia intensiva. I 6.077 decessi totali comprendono i 602 di ieri (dato in calo rispetto alle 651 persone scomparse domenica). «Non mi sento di considerarlo un trend», ha dichiarato Silvio Brusaferro, presidente dell'Istituto superiore di sanità, durante la conferenza stampa giornaliera. «Servono più dati e questa è una settimana importante», ha sottolineato. Qualche buona notizia arriva proprio dalla Lombardia. Nel focolaio più grande a livello nazionale in numeri non crescono bensì, per il secondo giorno consecutivo, sono in lieve calo. È un incoraggiamento a continuare a stare a casa, per consolidare tali risultati, come invita a fare - in un audio diffuso dalla Regione - anche Mattia, il «paziente 1» di Codogno, che proprio ieri è stato dimesso dopo settimane di lotta contro Covid-19. In «un mese durissimo», ha detto Giulio Gallera, assessore al Welfare della Lombardia in conferenza stampa, «forse è la prima giornata positiva», visto che i dati sono abbastanza in linea con il giorno precedente. «Non c'è da cantar vittoria», ha osservato l'assessore, ma «vediamo una crescita minore». Ci sono 28.761 positivi, (+1.555 nelle ultime 24 ore, però furono +1.691 e +3.200 nei giorni precedenti). Sono calati di 173 unità i ricoverati, il dato più bello: il primo in riduzione su questo fronte. I contagi a Bergamo hanno raggiunto quota 6.471 (+255) ma il giorno precedente erano cresciuti di 347 unità. A Brescia i 5.505 positivi sono stati 588 in più ieri, in linea con i 581 del giorno precedente. Cremona ha un calo importante con 30 nuovi infetti. Un rallentamento si registra anche a Milano, che ha 5.326 positivi, ma ieri sono aumentati di 230 unità contro i 424 di domenica. Anche in città il dato segna un +137 rispetto a +210 e +279 dei giorni precedenti. «Lo sforzo dei milanesi sta producendo risultati», ha concluso Gallera, «è il momento per essere più determinati» nel continuare con il rimanere a casa, anche perché crescono, anche se meno, i decessi: sono 3.366, di cui 320 ieri (erano 361 e i 546 nei giorni precedenti). Anche in Veneto la curva di aumento dei contagi non sembra essere più lanciata verso l'alto come qualche giorno fa. Le persone infette sono 5.505. I casi di positività registrati ieri mattina mostrano un aumento di 233 persone. I decessi salgono a 192 (+5). In isolamento (positivi più loro contatti) ci sono 15.376 veneti. I ricoverati meno gravi sono 1.206 (+29), quelli in terapia intensiva sono 281 (+13) e le persone dimesse sono 327. Nel presentare i numeri, Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, in un punto stampa ha annunciato l'avvio del progetto di «sorveglianza attiva» che punta ad arrivare in un paio di settimane a effettuare 20.000 tamponi al giorno per «stanare» e isolare le persone contagiate da coronavirus e asintomatiche e così diminuire progressivamente i ricoveri nella regione dove è stato scoperto (e spento), a Vo', il secondo focolaio di Covid-19 in Italia. Nelle altre regioni i numeri dei contagi, pubblicati dalla Protezione civile, sono 7.220 in Emilia-Romagna, 4.529 in Piemonte, circa 2.300 nelle Marche e in Toscana, attorno ai 1.500 in Liguria e Lazio, intorno a 900 in Campania, 800 in Puglia, intorno a 600 in Sicilia e Abruzzo, sotto 500 tutte le altre regioni (con il minimo in Molise dove sono 50). Nel Lazio, in particolare, sono stati 157 i nuovi contagiati, ma nei tre giorni precedenti, in media, si registrava un +187 casi al giorno. Il 47,1% dei casi positivi è residente a Roma, dove ogni giorno si registra una crescita costante nell'ordine di una sessantina di casi. «Al Sud la curva non mostra un'impennata», ha commentato Brusaferro, «ma le foto che vedo nella rassegna stampa di giornali meridionali non mi fanno stare tranquillo». Il presidente dell'Iss ha ricordato che «il virus si trasmette da persona a persona a qualsiasi latitudine e serve un atteggiamento rigoroso e unitario in tutto il Paese» sulle distanze sociali. Cresce purtroppo, e raggiunge quota 22, il numero dei medici deceduti a causa del Covid-19. Sono 17 i camici bianchi lombardi che hanno perso la vita e molti di questi attivi nelle zone più colpite dal virus, come Bergamo, Lodi e Cremona. Le ultime due nuove vittime sono Leonardo Marchi, medico infettivologo e direttore della Casa di Cura San Camillo a Cremona, e Manfredo Squeri, medico ospedaliero in pensione, responsabile del reparto di Medicina alla Casa di cura Piccole Figlie di Parma. Forte la denuncia di Antonio Magi, presidente dell'Ordine dei medici di Roma. Il 13% dei contagi della Capitale sono suoi colleghi: «Non abbiamo le mascherine», dichiara Magi. In Italia, dall'inizio dell'epidemia, secondo l'Iss, sono 4.824 i professionisti sanitari contagiati dal coronavirus (9% dei casi positivi). Anche per questo sono arrivati ieri in Lombardia 52 medici da Cuba.
L'ospedale tascabile arrivato dall'Italia prende forma davanti al Centre hospitalier du Luxembourg. Le squadre di addetti lavorano alacremente con le mascherine e i guanti, lo scheletro in metallo è quasi allestito. Presto verranno installati i 200 letti (100 di terapia intensiva) e i 100 respiratori. A testimoniare la realizzazione di un'opera definita di prevenzione (visto che i decessi da coronavirus nel principato sono finora 10) è il primo ministro Xavier Bettel, che spiega personalmente dal cantiere l'importanza del manufatto, i cui elementi sono stati trasportati dalla compagnia di nolo Cargolux dall'aeroporto di Bari. «Per noi è un supporto importante per aumentare le nostre capacità di prevenzione».
È tutto documentato da un video sul sito del Luxemburger Wort (La Voce del Lussemburgo) che dedica alla storia un lungo articolo, nel quale si sottolinea come l'ospedale da campo che verrà pronto in settimana è stato trasferito dalla sede di Taranto della Nspa (l'agenzia di approvvigionamenti della Nato) e sarà completato con la collaborazione dei militari dell'agenzia della base di Capellen, a 12 chilometri dalla capitale lussemburghese. Così, mentre la Germania fermava le mascherine acquistate regolarmente dall'Italia e altri Paesi si premunivano di blindare le loro strutture sanitarie mobili diventate strategiche, l'Italia epicentro mondiale della pandemia assisteva inerte allo scippo degli elementi essenziali per realizzare l'ospedale, volati via in 56 container con tre voli cargo. Nulla da eccepire dal ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, che risponderà all'interrogazione urgente inoltrata dal parlamentare della Lega, Daniele Belotti. Lo Stato Maggiore della Difesa invece precisa con una nota che «la richiesta alla Nato è arrivata dal governo lussemburghese. Infatti il Soc (Southern operational center), con sede a Taranto, fa parte del Nato support agency (Nspa), agenzia di supporto e approvvigionamento logistico della Nato. Inoltre la richiesta si è limitata ad assetti logistici e non ha riguardato alcun tipo di equipaggiamento medico-sanitario. Nella fattispecie la Nato ha voluto concedere al Lussemburgo il seguente materiale logistico: tende di varie dimensioni; gruppi elettrogeni; bagni e docce campali. Pertanto non si tratta di apparecchiature sanitarie (tipo ventilatori polmonari), bensì solo di strutture logistiche».
In sostanza lo Stato Maggiore conferma il trasferimento in Lussemburgo delle attrezzature Nato e smentisce che nel pacco dono ci siano apparecchiature sanitarie. Prendiamo atto, anche se la ditta Arthur Walter Transports incaricata del trasferimento dei materiali dall'aeroporto Findel con 80 veicoli scrive sulla sua pagina Facebook: «I nostri autisti trasportano container pieni di materiale medico destinato a realizzare l'ospedale mobile». Lo Stato Maggiore parla di docce e bagni chimici; la versione fa letteralmente a pugni con quella del primo ministro Bettel, del governo e dei media lussemburghesi che citano espressamente un ospedale da campo e mostrano con orgoglio al mondo mentre lo stanno costruendo. La differenza non è di poco conto perché un ospedale tascabile servirebbe come oro per salvare vite in Italia, mentre la tv inquadra pazienti ammassati nelle sale d'attesa e nei corridoi di ogni struttura accettabile, dalle case di cura alle residenze per anziani. L'importanza del presidio è confermata dalla corsa contro il tempo per realizzare l'ospedale degli alpini a Bergamo, per allestire quello americano a Cremona, per varare quello al San Raffaele grazie alle donazioni Web, e per far partire l'astronave della salvezza da 500 letti alla vecchia fiera di Milano.
Perché quell'ospedale è finito in Lussemburgo? Se lo domanda non senza stupore anche il giornale Le Quotidién («Arriva dall'Italia, un Paese in cui il Covid-19 è debordante») e lo chiede direttamente al premier Bettel, il quale risponde in maniera disarmante. «Abbiamo fatto domanda alla Nspa che ci ha informato che quel materiale era disponibile. E io sono stato contento di potervi ricorrere». La dichiarazione innesca due domande scontate. Perché il governo italiano - un Paese che fa parte della Nato si presume con un peso specifico superiore a quello del Lussemburgo e in presenza di una crisi sanitaria non paragonabile - non ha fatto la stessa domanda? E se l'ha fatta, perché la struttura è stata inviata nelle retrovie del contagio e non in trincea?
Si rimane appesi alle domande mentre il commissario straordinario, Domenico Arcuri, annuncia con soddisfazione di avere emesso un'ordinanza per requisire un farmaco essenziale nell'assistenza ai malati di coronavirus che stava per essere esportato all'estero. Spiega così la decisione: «La profondità e le dimensioni dell'emergenza richiedono l'utilizzo della totalità delle opzioni disponibili nell'interesse dei pazienti». Nello stesso interesse sarebbe stato molto utile anche l'ospedale tascabile finito oltre le Alpi. Ieri il governo lussemburghese ha comunicato che «è ben lontano da ogni ipotesi di saturazione dei posti letto ed è disponibile ad aiutare la Francia». La Francia. I cadeaux italiani servono sempre a qualcosa.
- Bollettino sempre durissimo: 28.000 contagiati, decessi a quota 2.158. I nuovi positivi in 24 ore sono stati 2.470. La crescita mostra flessioni sparse, però il virus rimane dirompente. La Lombardia è ancora nel dramma.
- Il farmaco per l'artrite può evitare l'intensiva, lo spiega Paolo Ascierto, oncologo dell'Istituto Pascale di Napoli: «Nei pazienti seri ma non gravissimi, può stabilizzare il decorso».
Lo speciale contiene due articoli.
L'avanzata del coronavirus sembra rallentare: con i nuovi 2.470 contagiati di ieri il numero dei malati di Covid-19 è salito a 23.073. Domenica, però, l'aumento era stato di 2.853 unità. Ora il numero complessivo di contagiati, comprese le vittime e i guariti, ha raggiunto i 27.980. Ci sono infatti 2.749 pazienti guariti dopo aver contratto il coronavirus, 414 in più in 24 ore. Domenica i guariti erano 369. In sostanza: scende il numero di contagiati e sale quello dei guariti. «Mancano i numeri della Puglia e della provincia di Trento», spiega il capo della Protezione civile Angelo Borrelli, «ma il trend complessivo è in ribasso». Lo confermano anche i dati della Lombardia. A Milano il coronavirus frena, anche se Brescia sorpassa Bergamo per numero di nuovi contagiati. A Brescia ieri sono stati registrati 445 tamponi positivi in più rispetto a domenica. A Bergamo, invece, si contano 344 contagiati in più in 24 ore. Solo 42 nuovi casi, invece, a Lodi. «A conferma», ha detto l'assessore lombardo al Welfare, Giulio Gallera, «che la strada intrapresa per contenere il virus è stata giusta». In Lombardia ora ci sono 14.649 positivi al coronavirus. I positivi di ieri: 1.377, «un dato inferiore a quello di domenica», sostiene Gallera, «in linea con quello degli altri giorni». Il dato dei ricoverati, però, cresce: 1.273 pazienti sono entrati ieri in un ospedale lombardo. I decessi invece sono arrivati a 1.420, ossia 202 in più rispetto a domenica. Nelle terapie intensive della Lombardia sono ricoverate 823 persone, 66 in più rispetto a domenica. A Milano città i contagiati sono 813 (domenica erano 711).
All'appello per avere in fretta altro personale sanitario hanno risposto 27 medici e quattro infermieri militari, che da ieri sono al lavoro nel Papa Giovanni XXIII di Bergamo. «A oggi», conferma Gallera, «sono arrivate 2.200 domande e ne sono state selezionate 1.020». L'appello è stato esteso anche ai medici pensionati. E se per l'ospedale alla Fiera di Milano il governatore Attilio Fontana è ottimista e annuncia che sul personale «presto ci saranno novità», ma Borrelli smorza: «Mancano le attrezzature».
Nel frattempo la Sicilia si blinda: stop ai collegamenti con il continente. Da tempo il governatore Nello Musumeci aveva chiesto l'adozione di questa misura ed era stato criticato. Nella notte di domenica, però, il ministro delle infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli, ha firmato il decreto che prevede la sospensione dei collegamenti. In Sicilia i casi positivi sono 213 e rappresentano lo 0,0043% cento del totale degli abitanti nell'isola, pari a 4.999.891 persone. La media nazionale è intorno allo 0,05%. L'isola si trova in basso nella classifica delle regioni, dietro ci sono Molise, Calabria e Basilicata. In quest'ultima regione il governatore di centrodestra, Vito Bardi, ha assunto provvedimenti più stringenti per chi arriva da fuori: 14 giorni di quarantena per chiunque entri nei confini lucani. Crescono in Campania, invece, i comuni chiusi come Codogno: Nel Vallo di Diano, territorio campano della provincia di Salerno, dalla tarda serata di domenica ci sono quattro interi comuni in quarantena. Così ha disposto il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, dopo l'accertamento di 16 casi di positività in un giorno solo a Sala Consilina, Caggiano, Polla e Atena Lucana. La diffusione del contagio, confermano le autorità, è partita dallo svolgimento, tra la fine di febbraio e l'inizio di marzo, di due ritiri spirituali in una chiesa di neocatecumenali. Al primo incontro, svolto in un hotel di Atena Lucana a fine febbraio, hanno partecipato circa 20 persone, tra le quali tre parroci. Uno dei sacerdoti è risultato positivo. All'incontro ha partecipato un anziano di Bellizzi, sempre in provincia di Salerno, morto la settimana scorsa e contagiato dal Covid-19. Ora sono cinque, quindi, i comuni campani in isolamento. Ariano Irpino, il primo paese isolato da De Luca, è chiuso con dei posti di blocco che impediscono ingressi e uscite. Tamponi a tappeto sulla popolazione di Castiglione Messer Raimondo, paesino abruzzese di 2.000 abitanti. Si contano già nove contagiati e il sindaco ha chiesto una misura simile a quella adottata da De Luca in Campania. Anche in Liguria provvedimenti più stringenti: troppe persone a passeggio lungo le scalinate storiche e i sentieri collinari a La Spezia lo scorso weekend. Per questo il sindaco Pierluigi Peracchini ha vietato l'accesso con un'ordinanza in vigore fino al 3 aprile. A Lecce è polemica per un provvedimento, firmato dal governatore pugliese Michele Emiliano, che ha fermato un pezzo del polo d'eccellenza destinato alla gestione delle emergenze proprio poco prima della diffusione dell'epidemia. Conta 40 posti letto, pronti dal 21 dicembre, ma non parte perché è stato bloccato il rifornimento del serbatoio per l'ossigeno. In Piemonte, invece, la Regione ha annunciato l'apertura in pochi giorni del nuovo ospedale di Verduno, nel Cuneese: sarà il centro di riferimento regionale per il Covid-19.
«Un farmaco può evitare l’intensiva»

Paolo Ascierto (Ansa)
Usato tempestivamente, il tocilizumab, farmaco immunoterapico indicato per la cura dell'artrite e degli effetti collaterali di alcuni trattamenti oncologici (Car-T), potrebbe evitare l'intubazione in terapia intensiva per Covid-19. A una settimana dai primi trattamenti all'ospedale dei Colli (Napoli), si accende la speranza di poter ridurre la percentuale - oggi intorno al 10% - di pazienti che finiscono in letti di rianimazione. La battaglia contro il coronavirus potrebbe quindi spostarsi nei reparti di terapia subintensiva dove, accanto ai caschi respiratori - ordinati a migliaia in Lombardia e Veneto - si potrebbe ottimizzare una cura farmacologica innovativa. Anche perché ci vorranno parecchi mesi per testare efficacia e sicurezza del primo farmaco specifico per il coronavirus di Wuhan, sviluppato in questi giorni dall'Università olandese di Utrecht per bloccare in modo specifico una proteina fondamentale del virus Sars-Cov2. Tocilizumab «è stato somministrato in sette pazienti intubati», spiega alla Verità Paolo Ascierto, oncologo dell'Istituto Pascale di Napoli. «Tre hanno avuto un miglioramento, di cui uno importante: la tac ha mostrato un'importante riduzione della polmonite e potrebbe essere presto estubato. Degli altri quattro, tre sono stabili, mentre purtroppo uno è morto dopo poche ore dalla somministrazione del farmaco per un peggioramento del distress respiratorio. Venerdì abbiamo trattato altri tre pazienti non intubati. Erano in reparto con condizioni respiratorie critiche. Due di questi, sabato hanno avuto miglioramenti importanti: uno ha anche tolto l'ossigeno, l'altro è stazionario e ripete il trattamento».
Quanti sono i pazienti trattati?
«Attualmente ne risultano 600. L'azienda produttrice (Roche, rdr) sta fornendo il farmaco gratuitamente per questo impiego, è distribuito praticamente su tutto il territorio nazionale».
Ha già dei dati dagli altri centri?
«Tra i dati molto interessanti ci sono quelli di Fano-Pesaro, ove su 11 pazienti trattati otto hanno avuto un miglioramento. All'ospedale di Padova Sud (quello di Schiavonia, dove è stato scoperto il focolaio di Vo', ndr), su sei pazienti trattati, i primi dati di due mostrano un miglioramento importante dopo 24 ore».
Su quali presupposti avete iniziato l'uso di tocilizumab nella Covid-19?
«Quando abbiamo fatto un brain storming in istituto (al Pascale di Napoli, ndr) e c'è venuta questa idea, abbiamo contattato i nostri colleghi cinesi, dato che c'è una partnership tra l'istituto e la Cina. Ci hanno detto che era un'ottima idea: l'avevano usato su 21 pazienti e 20 di loro avevano avuto miglioramenti in 24-48 ore. Questo è stato lo studio che ci ha aperto la strada. Poche ore dopo eravamo all'azienda dei Colli per decidere sui primi due pazienti da trattare».
Quando partirà lo studio?
«A giorni, grazie a un protocollo già presentato ad Aifa. A fianco della sperimentazione continua l'impiego off label, cioè fuori indicazione, visto i risultati promettenti che abbiamo avuto. I dati dei pazienti trattati off label verranno messi insieme a quelli della sperimentazione, per capire quali sono i soggetti che hanno avuto un beneficio maggiore e le tempistiche per la somministrazione».
Alcuni usano il farmaco in terapia subintensiva per evitare l'aggravamento.
«Quello che ci dicevano i cinesi, e che stiamo vedendo anche noi, è che un trattamento fatto prima evita, praticamente, al paziente di andare in terapia intensiva. Dei nostri sette soggetti, tre hanno avuto miglioramento. Fra i pazienti critici in reparto, ma non intubati, che abbiamo trattato, tre hanno avuto miglioramento e l'altro tutto sommato era stazionario, ma siamo fiduciosi che possa rispondere al ritrattamento. Tutte le informazioni che abbiamo dagli altri centri vanno in questa direzione. I pazienti in terapia subintensiva sono quelli che potrebbero avere vantaggi maggiori ed evitare l'intensiva».
Dei medici osservano che ridurre l'attività del sistema immunitario potrebbe favorire l'aggressione del virus. Cosa ne pensa?
«Bisogna conoscere l'immunologia e l'immunoterapia dei tumori, dove usiamo strategie che danno a volte effetti collaterali dovuti all'iperattivazione del sistema immunitario. Quello che avviene nel polmone in seguito a infezione da Covid-19 è una iperattivazione del sistema immunitario che diventa deleteria. L'immunosoppressore serve a ridurre questa iperattivazione e, utilizzato come facciamo noi, e come ci hanno suggerito i cinesi, one shot, cioè un solo trattamento ripetibile la seconda volta dopo 12 ore e non più, non dà questi problemi».
Quanto costa al Paese l'esitazione con cui il governo sta fronteggiando l'epidemia da coronavirus? Beh, i conti definitivi li faremo alla fine, ma già ora possiamo dire che se Palazzo Chigi non avesse traccheggiato per giorni e avesse dichiarato sia Bergamo che Brescia zone rosse, come chiedeva la Regione Lombardia, probabilmente ci saremmo risparmiati un certo numero di vittime.
Invece l'esecutivo fino all'ultimo ha esitato ad adottare le misure straordinarie sollecitate. Giuseppe Conte, colui che in teoria dovrebbe decidere, dichiarò di non essere contrario in linea di principio a provvedimenti di chiusura, ma di aspettarsi delle proposte dalle regioni. Che cosa abbia significato questo balletto istituzionale, lo abbiamo visto con i nostri occhi, nelle corsie degli ospedali e nei cimiteri. Mentre il premier aspettava e chiedeva suggerimenti sul da farsi, scaricando dunque la responsabilità su altri, il virus si diffondeva ancora di più nelle province lombarde e migliaia di persone potenzialmente malate, fuggivano al Sud per sottrarsi al contagio.
Del resto non c'è da stupirsi: fin dal primo giorno dell'emergenza il governo ha adottato la politica dell'attesa, ma forse sarebbe meglio dire del giorno dopo. Quando i governatori del Nord sollecitavano la quarantena per i ragazzi tornati dalla Cina, l'esecutivo bollò la richiesta come un'idea pericolosa e discriminatoria. Qualcuno, ovviamente di sinistra, addirittura parlò di fascioleghismo, quasi che le misure precauzionali avessero un colore politico. Qualsiasi persona di buonsenso avrebbe capito che per arginare il contagio era indispensabile bloccare gli ingressi e, se del caso, chiudere le scuole, e con esse tutto ciò che poteva favorire la propagazione del virus. Ma i vertici del governo hanno voluto pensarci un po'.
Anche sul commissario straordinario Palazzo Chigi ha a lungo tentennato. Forse temendo che un super esperto con pieni poteri commissariasse anche lui, Conte ha respinto fino all'ultimo l'idea, gestendo la lotta al Covid 19 come se dovesse affrontare la trattativa per l'Alitalia o per l'Ilva. Il risultato anche in questo caso è davanti a tutti noi, con quelle mascherine di carta igienica sventolate dall'assessore alla Salute della Lombardia. I medici in prima linea non hanno guanti e strumenti per proteggersi perché a Palazzo Chigi pensano che la guerra al coronavirus si possa combattere per via ordinaria e non con provvedimenti speciali. Creare un super ospedale per ricoverare i malati non si può, perché prima bisogna fare il bando, poi i concorsi, quindi serve il giudizio di ministeri, capi di gabinetto e burocrati vari. Nel frattempo la gente muore e i mezzi scarseggiano.
Conte è l'uomo delle quarantott'ore dopo, delle conferenze stampa della sera, dei proclami a mezzo stampa col ciuffo scompigliato sulla fronte, ma mai delle decisioni quando queste sono da prendere. Egli è sempre pronto a rinviare a domani, perché il verbo che ama più di ogni altro è aspettare. Come chi non abbia l'attitudine al comando, il nostro presidente del Consiglio teme sempre di sbagliare e purtroppo, nella lotta a un'epidemia, attendere equivale sempre a un errore.
Anche sulle tasse il nostro ha dimostrato tutta la sua indecisione. A sera, mentre scrivo questo articolo, ancora non sono chiari i provvedimenti adottati per le imprese e le partite Iva, ma si annuncia un dossier di 200 pagine. In Francia, Emmanuel Macron - cioè non proprio un esempio di pugno fermo, visto come ha affrontato i gilet gialli - ha comunicato con un provvedimento di una riga che fino a nuovo ordine le imposte saranno sospese. Da noi, invece dei decreti, si fanno i comunicati e si lasciano trapelare le indiscrezioni. Risultato: fino alla sera di domenica né le imprese né i commercialisti sapevano se le scadenze fiscali di oggi fossero da rispettare o meno, se i contributi previdenziali fossero da pagare oppure no. Mentre altri Paesi annunciano la chiusura di frontiere e lo stanziamento di fondi per sostenere le strutture sanitarie e l'economia, noi ci siamo limitati alle promesse. Invece dei respiratori negli ospedali sono state distribuite parole, le mascherine chieste da infermieri e medici le hanno sostituite con le chiacchiere e le serenate condominiali.
Nei giorni scorsi ho scritto che l'epidemia, oltre a portarsi via molte vite, sta mietendo anche altre vittime e tra queste inserivo la globalizzazione e l'idea stessa di Europa, perché gli egoismi nazionali, il divieto (ieri mitigato) di esportare strumenti sanitari, rappresentano la fine di un'unione solidale fra gli Stati Uniti d'Europa. Tuttavia, lo scontro fra Regioni del Nord e Palazzo Chigi sta sotterrando anche l'autorevolezza del governo, perché è difficile farsi guidare da un esecutivo che nell'ora più buia brancola nell'oscurità.







