Dopo la caduta di Schlein, Gentiloni la sostituirebbe alla guida del Pd, e poi verrebbe lo sgambetto a Giorgia Meloni, assestato prima che passi la riforma del premierato, e il suo posto a Palazzo Chigi toccherebbe al riciclato di Bruxelles, magari con l’aiutino di Mattarella il quale, come si sa, piuttosto di indire elezioni anticipate si farebbe tagliare la mano con cui dovrebbe firmare lo scioglimento delle Camere. Fantapolitica? Può essere, ma di manovre spericolate, che hanno stravolto il quadro istituzionale italiano, arrivando a costringere alle dimissioni altri premier sorretti da un’ampia maggioranza, ne abbiamo già viste e dunque nulla può essere ritenuto impossibile. Neanche un tentativo di scalzare Giorgia Meloni dalla guida del governo. Del resto, lei stessa, durante la conferenza stampa di inizio anno, ha evocato tentativi di condizionarla e di indurla al passo indietro.
Eppoi, vero o falso che sia il piano per sostituire l’attuale presidente del Consiglio, che esista una strategia per liquidare il segretario del Pd e ripescare Gentiloni è un dato di fatto. Basta guardare quello che sta accadendo nel partito in questi giorni. Si era mai visto un pasticcio come quello delle armi all’Ucraina, con una linea ufficiale dettata da Largo del Nazareno per l’astensione, e alcuni dei dirigenti che votano a favore del provvedimento del governo? Tra questi, l’ex ministro Lorenzo Guerini, che della corrente più corposa, quella di Base riformista, peraltro è pure capo. E il pasticcio dell’abolizione del reato di abuso d’ufficio? Il Pd ha votato compatto contro il provvedimento, ma sindaci con la tessera in tasca, tra cui quello di Firenze e quello di Pesaro, si sono schierati a favore della misura proposta dal ministro Nordio. Pensate davvero che in pochi giorni si possano verificare incidenti del genere, con ex ministri che votano con l’esecutivo e sindaci in carica che sconfessano la linea del partito? È ovvio che non si tratta di inciampi, ma semmai di tranelli, per dimostrare che Elly Schlein non controlla né i gruppi parlamentari né gli amministratori locali. Per la segretaria pro tempore sta dunque per scadere il tempo e nei prossimi mesi i segnali di dissenso si moltiplicheranno, perché molti dirigenti di Largo del Nazareno pensano già al dopo, a quando cioè, terminato il mandato in Europa, Gentiloni tornerà alla base.
Insomma, Elly Schlein ha il destino segnato? Probabilmente sì, soprattutto se alle prossime elezioni non riuscirà a portare a casa un risultato con il più davanti. Al momento, le rilevazioni danno il partito inchiodato al 19 per cento, cioè un po’ meno della performance che costò a Enrico Letta la poltrona. Tuttavia, la segretaria ha ancora una carta da giocarsi: la sua candidatura. Se si schierasse come capolista e ottenesse un risultato positivo, potrebbe sempre rimproverare la nomenklatura del partito, dicendo di aver fatto meno di lei. Cioè: portare a casa una gran messe di preferenze sarebbe un modo per sostenere che senza di lei in lista il Pd avrebbe fatto peggio. Per di più, il suo aspirante sostituto, Gentiloni, l’unica volta che si è misurato con il voto, alle primarie per le amministrative di Roma, è arrivato terzo su tre concorrenti, scavalcato nella corsa perfino da Roberto Giachetti, il che dice tutto dell’uomo chiamato Er moviola. Sì, insomma, se Elly vuole salvarsi e sfuggire alle manovre del suo partito e a quel sistema che fa e disfa i governi, deve metterci la faccia. Auguri.