- In Cina gli Wen Shen, demoni che scagliano malattie letali sugli uomini; in Tibet Munpa Zerdan, demone nato dalla miseria nera. Sono tante le storie tramandate da secoli su divinità associate alle pandemie. Conoscerle è considerato di buon auspicio per la sconfitta di ogni male.
- L'Istituto culturale coreano inaugura la mostra «Il regno Joseon e la lotta contro le pandemie» per essere d'ispirazione a superare la pandemia che oggi ha coinvolto il mondo intero.
- Un antico gioco di samurai per testare il coraggio dei più giovani, tra storie di demoni, fantasmi e orchi. Il nuovo libro di Elisa Menini vi porterà tra le tradizioni del Giappone.
- Amabie, una creatura simile a una sirena con i capelli lunghi, un becco e tre gambe, è il simbolo della lotta contro il coronavirus. Il Giappone l'ha trasformato anche in una mascotte che gira per le città e rassicura gli abitanti.
Lo speciale contiene quattro articoli e gallery fotografiche.
Peste. Pandemie. Morte. Nei miti e nelle leggente queste tre parole si rincorrono tra le pagine sbiadite di racconti passati che, prima di essere fissati sulla carta, venivano raccontati di piazza in piazza e di casa in casa, da voci sempre differenti e modificati in base al luogo o all'esigenza.
Quel che è certo è che una costante nella storia delle leggende, soprattutto orientali, è quella di identificare le pandemie con divinità più o meno potenti e affiancarle ad altrettante entità supernaturali in grado di combatterle. Una sorta di binomio bene-male, bianco-nero, che si ripete da secoli.
Partiamo dalla Cina. A pochi giorni dall'esplosione del Covid-19, il presidente Xi Jinping commentò sottolineando come si stesse «lottando contro un demone». Parole non scelte a caso e che si riferiscono a Wen Shen, un demone (o un gruppo di demoni) alla base del folklore cinese. Secondo l'antica religione Han, ancora alla base di molte leggende cinesi, Wen Shen si paleserebbe per punire i misfatti degli esseri umani scagliando su di loro le più letali malattie. Secondo il Li wei xi ming zheng, un commentario mitologico risalente alla dinastia Han (secondo secolo a.C - terzo secolo d.C) Wen Shen sarebbe nato dai tre figli dell'imperatore Zhuan Xu che, morti alla nascita, si tramutarono in spiriti maligni. I primi due dimoravano rispettivamente nei fiumi Yungtze e Ruo, mentre il terzo, con le sembianze di un bambino, si annidava negli angoli bui delle case terrorizzandone gli abitanti. Un'altra leggenda, più diffusa, narra di cinque Wen Shen, uno per ogni stagione e Shi Wenye, il quinto, e comandante di tutti gli altri. Sono numerosi i templi dedicati a queste divinità, soprattutto a Taiwan, dove - dopo la rivoluzione culturale - ne vennero costruiti ben 700. Secondo la tradizione, per placare l'ira di questi dei, bisognerebbe offrire loro canapa, fagioli e pregare. Fino a qualche decennio fa, nell'isola di Taiwan, si usava anche condurre al largo una barchetta vuota che simbolicamente rappresentava l'allontanare il morbo dalla comunità. Legati ai Wen Shen ci sono anche molteplici "esorcismi" della scuola taoista, secondo i quali basterebbe pronunciare tre volte il nome della divinità perché questa la smetta di tormentare gli esseri umani. Semplice? Non proprio. Perché per far si che la supplica funzioni bisogna riconoscere l'entità che si ha davanti ed evitare di adirarla ancora di più. Se nell'epoca Tang (618-907) gli spiriti diventano "umidi" e restano cinque, questa volta quattro corrispondenti ai punti cardinali e un altro che li governa dal centro della Terra, nel precedente periodo Liang (502-557), il testo taoista Taishang yuanyuan shenzhou jing parla di sette dei a capo di un'armata di 250.000 spettri che colpivano l'umanità con i malanni più disparati. In mezzo c'era stata la dinastia Sui, durante la quale i Wen Shen erano tornati cinque ma avevano conservato le loro prerogative militari, tanto che l'imperatore Wen, per placarli, decise di offrire loro il grado di generale, garantendo loro sacrifici il quinto giorno del quinto mese, purché risparmiassero il suo popolo. Per andare sul sicuro, potrebbe essere nondimeno sufficiente avere a portata di mano una mela selvatica, ancestrale talismano contro il flagello dei Wen Shen.
Rimanendo nel Paese del Dragone, in cinese, Tian Hua Niang Niang significa "la fanciulla dei fiori celesti" e si riferisce alla forma divinizzata di tutte le malattie da vaiolo, in particolare il vaiolo. Una delle malattie più mortali della storia cinese, il vaiolo è stato responsabile della morte di innumerevoli cinesi nel corso della storia; responsabile anche del passaggio improvviso degli imperatori Shunzhi e Tongzhi della dinastia Qing. Le credenze folcloristiche cinesi stabiliscono quindi che tutti, specialmente i bambini, dovrebbero adorare Tian Hua Niang Niang quando sono affetti da malattie da vaiolo. Oggi, gli altari della fanciulla celeste continuano ad esistere in vari templi cinesi. Per esempio, all'interno del tempio Mazu della città di Tianjin.
Una delle divinità più importanti e popolari della religione indù, Shiva è coinvolta in alcune delle storie più importanti che descrivono la creazione del mondo, compresa la creazione di malattie. Daksha, suocero di Shiva, aveva organizzato un sacrificio di cavalli invitando tutti gli dei a partecipare alla cerimonia, tranne Shiva. Sati, figlia di Daksha e moglie di Shiva, vide il dio seduto da solo e chiese perché non ci andasse. Quando lo scoprì, si vergognò, dicendo «tra tutte le cose (lui) era superiore». Arrabbiata oltremodo per le parole della moglie, Shiva attaccò il sacrificio di Daksha inseguendolo con arco e frecce con l'aiuto dei suoi terrificanti servitori. Durante l'inseguimento, una goccia di sudore gli cadde dalla fronte e colpì il terreno, trasformandosi in un uomo dagli occhi rossi e corti di nome Malattia (Febbre, in alcune altre versioni della leggenda). Gli altri dei cedettero, permettendo a Shiva di unirsi al sacrificio, a patto che dividesse questa nuova creazione, perché il mondo non sarebbe stato in grado di sopportare una tale malattia. Shiva accettò, dividendo la malattia in diversi pezzi diversi, creando malattie diverse per le diverse creature.
Nella mitologia tradizionale tibetana, il mondo è nato da due grandi uova cosmiche, formate dall'unione di cinque elementi primordiali. Una delle uova si chiamava Radiant ed era fatta di luce bianca; l'altra si chiamava Black Misery ed era composta di oscurità. Il dio della saggezza colpì Radiant, creando diverse divinità nel processo, il mondo e i suoi esseri viventi. Una divinità chiamata Munpa Zerdan nacque dalla Miseria Nera, e portò nel mondo la pestilenza, l'ignoranza, la follia e i demoni. Alcune versioni del mito dicono che la Miseria Nera produsse l'oscurità del non essere da un unico grande uovo cosmico, formato dai cinque elementi primordiali (durezza, fluidità, calore, movimento e spazio). Poi ha riempito l'oscurità di tutte le cose cattive. Essendo il suo opposto, la Radianza ha riempito il mondo di tutte le cose buone, comprese diverse divinità benevole.
In senso stretto, è impreciso, e ingiusto, considerare la divinità scintoista Sugawara no Michizane come un dio della malattia. Chiedete a qualsiasi giapponese e questi vi dirà che Sugawara è il dio scintoista degli studi, venerato in tutto il Giappone in numerosi santuari di Tenjin. Le piaghe, tuttavia, sono state ciò che ha portato Sugawara no Michizane ad essere ampiamente venerato. In origine era uno studioso e ufficiale dell'era Heian, Sugawara fu vittima della politica di corte e alla fine morì in esilio nel 903 d.C. Dopo la sua morte, il Giappone fu assediato da epidemie e disastri. Anche il Palazzo Imperiale di Heian-Kyo (Kyoto) fu ripetutamente danneggiato da un fulmine. Credendo che queste catastrofi fossero la vendetta messa in atto dallo spirito furioso dello studioso, la corte imperiale giapponese restaurò i titoli di Sugawara e costruì un santuario per placarlo. Decenni dopo, Sugawara fu persino divinizzato come il dio scintoista dell'apprendimento. Oggi, il più famoso santuario scintoista a lui associato è Dazaifu Tenmangu nella prefettura di Fukuoka. Degno di nota, i moderni adoratori giapponesi oggi a Sugawara no Michizane per il successo scolastico. Pochissimi lo fanno per la salute o per l'immunità dalle malattie.
«Il regno Joseon e la lotta contro le epidemie» in mostra all'Istituto Coreano di Roma
In occasione della Korea Week 2020, un evento online organizzato dal’Istituto Culturale Coreano di Roma è stata inaugurata la mostra «Il regno Joseon e la lotta contro le epidemie».
L’esposizione - che vi può visitare online grazie a Youtube - racconta la malattia che colpì il regno Joseon attorno al 1612. Il poeta Ku Sang Duk ha raccontato di come «l’epidemia trascinò con sé innumerevoli morti». Nel suo Seung Chong Myung Rok, scrive: «Senza neanche una goccia di pioggia e un freddo glaciale durante tutto l’inverno, quello fu un gelo mai vissuto prima».
Il virus da combattere in quel periodo si chiamava vaiolo e sono tanti i ritratti di quel tempo che mostrano le cicatrici causate dalla malattia. Tra i documenti del periodo, la mostra presenta anche l’epitaffio del primogenito del re, morto improvvisamente a causa del vaiolo, che i coreani definivano «baeksaechang» ovvero malattia dermatologica dei cent’anni, perché si diceva che tutti, senza distinzione di ceto sociale, avrebbero sofferto questa malattia almeno una volta nella vita.
Per contrastare la pandemia, in quegli anni vengono fondati due centri medici nazionali: il Hwalinseo e il Hyeminseo. Anche nel regno di Joseon i cittadini della Corea investono tutte le loro speranze di guarigione nella medicina, ma appare evidente anche l’importanza per la fede ed è per questo che tra i documenti in esposizione troviamo una mappa che segna il luogo preciso in cui veniva effettuato il rito ai «Yeogui», spiriti in solitudine la cui cupezza sarebbe stata causa delle pandemie.
Il «Duchangshin» ovvero la divinità del vaiolo andava scacciata nel tredicesimo giorno della malattia con uno specifico rituale chiamato «Hogugeori» in cui il vaiolo veniva “restituito” alla divinità Mama. L’Hogugeori è il rituale eseguito nel tredicesimo giorno da quando si è preso il vaiolo per mandare via restituendo rispettosamente la divinità Mama.
Il Buddha Bhaisajyaguru è invece il Buddha che salva da tutte le malattie e sofferenze. La convinzione che memorizzare il nome del Buddha Bhaisajyaguru e pregare per la sua benedizione eliminerà tutti i disastri e farà guarire dalle malattie, è stata tramandata fin dai tempi antichi.
L’Istituto culturale coreano si augura che questa mostra con i casi di superamento delle malattie infettive nella Corea del passato, possa essere d’ispirazione per superare la pandemia che oggi ha coinvolto il mondo intero.
Nippon Yokai. Il gioco delle dieci storie
Nippon Yokai è il nuovo libro di Elisa Menini, già candidata al Premio Micheluzzi per il suo Nippon Folklore. Edito da Oblomov, il volume conquisterà i cultori della tradizione i giovani appassionati della cultura giapponese.
Nippon Yokai è un libro suggestivo che vi trasporterà tra le tradizioni giapponesi con i suoi dragoni, mostri e fantasmi, in una veste tutta nuova. Elisa Menini è infatti da ritenersi una vera e propria innovatrice del fumetto internazionale, già considerata una maestra in un mondo tradizionalmente maschile.
Il suo nuovo libro si ispira a un gioco. Un antico gioco del periodo Edo, inventato da alcuni samurai come prova di coraggio, che prevede che in una stanza, in piena notte, si accendano tante candele quanti sono i partecipanti al gioco. Ciascuno, a turno, deve poi raccontare una storia di fantasmi, e alla fine del racconto spegne una candela. La stanza si fa quindi più buia con il procedere del gioco, e spenta l’ultima candela, si manifesta uno yokai, uno spirito potente, a volte benevolo, altre malvagio.
Orchi, diavoli, alberi parlanti, ragni, dragoni, gatti magici, popolano questi racconti che attingono dalla tradizione e dalle leggende giapponesi per essere raccontati con un linguaggio nuovo e contemporaneo.
Amabie: la mascotte giapponese contro la pandemia diventata virale
Tra sacro e profano.
Da marzo scorso sui social network è iniziato a comparire Amabie una creatura simile a una sirena con i capelli lunghi, un becco e tre gambe. Secondo la leggenda, nell'Ottocento, lo yokai (un qualche cosa simile a uno spettro, a un mostriciattolo, ndr.) apparve al largo delle coste di Kumamoto, in Giappone. Secondo la storia, nella metà di maggio del 1846, un funzionario della città oggi situata sull'isola di Kyushu, scese in mare per indagare sulle segnalazioni di luci incandescenti. Lì incontrò una strana creatura simile a una sirena. «Io sono Amabie che vive nel mare», disse. «Per i prossimi sei anni, ci saranno abbondanti raccolti in tutta la terra, ma ci saranno anche epidemie. Mostra la mia foto alla gente appena puoi». Poi Amabie se ne andò.
La storia circolò sui giornali, divenne una vera e propria leggenda. Amabie venne rappresentata, negli anni a seguire nelle storie del maestro Shigeru Mizuki, fumettista ed esperto di demoni e yokai. Sebbene Mizuki sia morto nel 2015, la sua casa di produzione ha twittato il 17 marzo il suo disegno di Amabie con le parole: “Che l'epidemia moderna scompaia».
Questo semplice messaggio ha fatto esplodere su Twitter, Instagram e Facebook due hashtag: #amabiechallenge e #amabieforeveryone. Mentre alcuni utenti, tra cui artisti manga come Mari Okazaki, hanno condiviso dipinti e disegni di Amabie, altri utenti di Twitter sono stati più creativi, pubblicando immagini di ricami, ciotole di udon (spaghetti di grano denso) e cestini da pranzo bento, tutti ispirati dall'apparizione. Alcuni si sono persino travestiti (o hanno agghindato i loro animali domestici) come Amabie e hanno twittato le foto insieme ai loro messaggi di speranza.
Il richiamo al folklore nipponico è stato così forte che durante la prima ondata Covid il Ministero della Salute, del Lavoro e del Welfare giapponese ha arruolato Amabie per un volantino di sensibilizzazione in cui il demone esorta tutti a «fermare la diffusione dell'infezione».





