Il Piano d’azione di Pechino (2025-2027) del Forum sulla cooperazione Cina-Africa (FOCAC) si contraddistingue per il numero record di iniziative legate alla sicurezza, superando tutti i precedenti documenti strategici del FOCAC. Questo evidenzia la volontà di Pechino di rafforzare il proprio ruolo come attore centrale nella sicurezza africana, oltre che nella sfera economica. Al momento del lancio del FOCAC, nel 2000, la presenza cinese nel settore militare africano era marginale: deteneva meno del 5% delle riserve di armamenti del continente, accoglieva meno di 200 ufficiali africani nelle proprie accademie e non conduceva alcuna esercitazione nel territorio. Oggi, la situazione è radicalmente mutata: la Cina forma circa 2.000 ufficiali africani ogni anno e si è imposta tra i principali esportatori di armi verso il continente. Attualmente, circa il 70% degli Stati africani fa uso di mezzi blindati di fabbricazione cinese. Secondo un recente rapporto dell’Africa Center for Strategic Studies, le manovre militari congiunte tra le forze armate africane e quelle cinesi – 20 delle quali si sono svolte a partire dal 2006 – hanno registrato un notevole incremento in termini di scala e sofisticazione. Esempi significativi sono rappresentati dalle esercitazioni terrestri e navali tra Tanzania, Cina e Mozambico nell’agosto 2024 e dalle operazioni aeree congiunte tra l’aviazione militare cinese e quella egiziana del maggio 2025. Queste rappresentano i più consistenti dispiegamenti simultanei di truppe cinesi in Africa via terra, mare e aria. Parallelamente, Pechino ha effettuato 47 missioni navali di scorta a rotazione continua nel Golfo di Aden e ha organizzato 280 scambi in ambito difensivo dal 2007. Nel maggio 2025, cento giovani ufficiali africani provenienti da 40 Paesi hanno preso parte a un programma di familiarizzazione della durata di dieci giorni, promosso dall’Università nazionale di tecnologia della difesa dell’Esercito popolare di liberazione (PLA).
Evidente come la proiezione della potenza cinese in Africa non si limita più alla costruzione di infrastrutture o agli scambi commerciali. Sempre più spesso, l’elemento militare affianca quello economico, evidenziando l’ambizione di Pechino a diventare un attore chiave anche sul fronte della sicurezza del continente. Secondo dati incrociati provenienti da centri di ricerca statunitensi e fonti africane, oggi si stima che oltre 7.300 operatori militari cinesi siano attivi in Africa, tra forze regolari del PLA e consiglieri militari impiegati tramite società private.Il dato più solido riguarda la presenza ufficiale dell’Esercito Popolare di Liberazione (PLA): circa 4.100 militari risultano dislocati tra la base navale strategica di Gibuti – vero avamposto logistico nel Corno d’Africa – missioni ONU di peacekeeping e operazioni anti-pirateria nel Golfo di Aden. Si tratta della più imponente presenza armata cinese fuori dal territorio nazionale, esclusi gli avamposti marittimi del Pacifico. A completare il quadro vi è una galassia meno visibile, ma altrettanto significativa: quella dei contractors militari privati, riconducibili a oltre 20 compagnie di sicurezza cinesi attive in almeno 20 Paesi africani. Il loro personale, composto da ex ufficiali dell’esercito e operatori specializzati, è stimato in circa 3.200 unità. Formalmente incaricati della protezione di siti industriali, impianti estrattivi e infrastrutture strategiche finanziate da Pechino, questi operatori agiscono spesso come veri e propri consiglieri militari, offrendo addestramento, consulenza tattica e supporto operativo alle forze di sicurezza locali. La portata dell’intervento cinese è ulteriormente confermata dal crescente numero di ufficiali africani formati nelle accademie militari cinesi. Oltre 2.000 cadetti all’anno partecipano a corsi di comando, intelligence, logistica e cyberwarfare, rafforzando il legame tra le élite militari africane e l’establishment di Pechino.
Il paradigma della sicurezza globale promosso da Pechino, noto come Iniziativa di Sicurezza Globale, rappresenta il motore dell’espansione cinese nel settore della sicurezza in Africa. Questa strategia è parte integrante di un piano più ampio volto a consolidare l’appoggio politico ai partiti al governo e a diffondere i modelli di sicurezza e le pratiche amministrative del Partito Comunista Cinese (PCC). Attraverso tali strumenti, la Cina mira a conquistare il favore delle élite politiche locali, a garantire condizioni vantaggiose per le proprie aziende e ad assicurarsi il sostegno africano alle sue aspirazioni strategiche sul piano internazionale. Tuttavia, l’intensificarsi dell’impegno cinese in ambito securitario ha generato anche diverse criticità. Armi prodotte in Cina sono state talvolta intercettate da gruppi armati in aree instabili come il Mali, il Darfur, il Sud Sudan e la Repubblica Democratica del Congo. In contesti privi di solide regolamentazioni, armamenti e sistemi di sorveglianza cinesi sono stati impiegati da alcuni governi africani per esercitare pressioni, intimidazioni e repressioni nei confronti dell’opposizione politica. Questa dinamica, strettamente legata all’espansione del ruolo cinese nella sicurezza africana, sta alimentando un crescente malcontento in alcuni ambienti dell’opinione pubblica del continente. Pechino viene accusata di aver favorito modelli autoritari e di aver contribuito al rafforzamento di pratiche antidemocratiche. Emergono così tensioni tra le aspettative dei cittadini africani e le sempre più marcate ambizioni geostrategiche e di sicurezza perseguite dalla Cina nel continente.
Oltre 40 Stati africani hanno firmato intese con le autorità cinesi preposte alla sicurezza pubblica. Tali accordi includono operazioni congiunte contro attività illecite, la tutela delle infrastrutture strategiche legate alla Nuova Via della Seta e patti bilaterali per l’estradizione. Numerose accademie e corpi di polizia cinesi collaborano con Paesi africani attraverso programmi di addestramento, tra cui l’Università Popolare per la Sicurezza Pubblica, l’Università Popolare di Polizia e l’Accademia di Polizia dello Shandong.
Tra il 2018 e il 2021, circa 2.000 membri delle forze dell’ordine africane hanno partecipato a corsi di formazione in Cina. L’apertura di molti governi africani alla cooperazione in ambito di sicurezza con Pechino è motivata da vari fattori. In particolare, la Cina viene vista come un fornitore di armamenti più economico, con vincoli all’esportazione meno rigidi e linee di credito più flessibili rispetto ai Paesi occidentali. Alcuni governi africani considerano il legame con la Cina un modo per rafforzare il controllo interno e garantire la stabilità del potere. Altri, invece, vedono in Pechino un alleato strategico nell’ambito di politiche di diversificazione della sicurezza.Negli ultimi anni, è aumentato il numero di Paesi africani che collaborano attivamente con la Cina nello sviluppo delle proprie capacità industriali in ambito militare. L’Algeria, ad esempio, è impegnata in un progetto con imprese cinesi per la produzione locale delle corvette Tipo 056 destinate alla Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione. In Uganda, è stata avviata una collaborazione con il colosso NORINCO per la costruzione di droni militari. Anche la Nigeria, tramite la Defense Industries Corporation (DICON), ha avviato insieme a NORINCO un programma congiunto per la fabbricazione di munizioni militari. Queste alleanze nel campo industriale e della difesa delineano un nuovo fronte dell’impegno cinese nella sicurezza africana, in continua espansione.
È previsto che la Cina intensifichi ulteriormente il proprio coinvolgimento nel settore della sicurezza in Africa nei prossimi anni, nel quadro delle sue ambizioni geostrategiche in espansione e con l’obiettivo dichiarato di colmare il vuoto lasciato, secondo Pechino, dalla ridotta presenza occidentale nel campo della sicurezza. Sarà compito delle società africane affrontare e contenere le possibili ricadute negative di questo processo. Numerosi analisti africani sollecitano una più attenta gestione del rischio, per evitare che il rafforzamento del ruolo cinese nel settore della sicurezza comprometta gli interessi delle popolazioni locali, accresca le tensioni e generi instabilità. I governi del continente sono chiamati a svolgere un ruolo determinante, assicurando maggiore trasparenza sugli accordi sottoscritti e garantendo che tali intese siano realmente funzionali al benessere e alla sicurezza dei cittadini.In quanto esportatore di armamenti, la Cina è tenuta a esercitare con rigore i propri meccanismi di controllo sulle esportazioni, soprattutto nei casi in cui vi sia un elevato rischio che tali forniture vengano impiegate contro la popolazione civile africana ma sull’impegno cinese è lecito avere dubbi.








