2023-10-18
Risiko di Xi e Putin in Medio Oriente e Africa
Vladimir Putin e Xi Jinping (Ansa)
La Via della seta è su un binario morto e la Cina cerca un equilibrio con Mosca per pesare di più nel Golfo o accrescere l’influenza nel Continente nero. Il presidente russo è a Pechino con Viktor Orbán per il Forum sui commerci. Il solo italiano presente è Massimo D’Alema...Xi Jinping ha organizzato tutto per bene. Una due giorni per celebrare il terzo Forum sulla Via della seta che per la precisione si chiama The belt and road initiative. L’ospite d’onore è Vladimir Putin, seguito da Viktor Orbán e, a debita distanza, da Massimo D’Alema, come riporta L’Antidiplomatico, unico rappresentante della politica italiana. Ovviamente sono in lista tanti altri leader, ma i tre nomi rappresentano, con le dovute proporzioni, altrettante caselle di un delicatissimo puzzle. Nel primo caso, Putin sbarca in Cina (primo vero viaggio dopo l’invasione dell’Ucraina) nella veste di partner e di antagonista. La Russia ha la necessità di guardare a Pechino per sostenere la propria economia dopo la forte cesura imposta dall’Ue e dagli Usa. I rapporti sono cresciuti esponenzialmente lungo l’autostrada del gas, del petrolio e delle materie prime. Mosca ha bisogno di sostegno per la valuta e di partner tecnologici. Al tempo stesso Xi sa che il rapporto con Putin non potrà dare frutti se non c’è uno sbocco verso Ovest.L’addio Usa all’Afghanistan ha lasciato spazio ai talebani che, a loro volta, hanno avviato un processo di destabilizzazione della Via della seta terrestre. Da qui la necessità cinese di svolgere un secondo percorso che in gergo si chiama Via della seta marittima e in parte ricalca proprio la Belt and road initiative. Questa prevede un ruolo fondamentale dei Paesi del Golfo. Ma soprattutto prevede l’assenza di concorrenti. Ne abbiamo più volte scritto su queste colonne, la concorrenza è fatta dall’India (dal punto di vista commerciale) e dall’Arabia Saudita alleata con Israele, dal punto di vista militare e politico. Non è un caso che, se grattiamo la scritta Hamas sotto compare il nome di Iran e Cina, la quale vuole boicottare a tutti i costi i nuovi equilibri in Medio Oriente. Ed è qui che si sviluppa il conflitto o la complessità del rapporto sino-russo. Putin è un alleato commerciale di Xi, ma non può essere un alleato militare e politico nel Medio Oriente. Mosca ha garantito per anni una stabilità attraverso la presenza in Siria. Nessuno si è mai stupito di vedere mezzi americani e russi nelle stesse foto e non è da escludere che possa accadere di nuovo in futuro. Non è, infatti, fantapolitica immaginare che una fetta della Striscia di Gaza possa finire dopo l’attacco israeliano in una sorta di protettorato russo con l’ok Usa. Nessuno, nemmeno Putin, sembra disposto ad accettare che i cinesi diventino mediatori di pace. Ci hanno provato in Ucraina, ma l’operazione non è riuscita. Difficile avvenga in queste ore in Medio Oriente. Si sfalderebbe anche il Caucaso. Da qui il tentativo di Xi di mischiare commerci e politica. La presenza di Orbán mira a mantenere un partner di peso in mezzo all’Ue e al di qua della nuova cortina di ferro. Nulla in confronto a quanto avrebbe potuto fare l’Italia se avesse deciso di mantenere entrambi i piedi dentro il memorandum sottoscritto nel 2019 da Giuseppe Conte. Il nuovo governo, invece, sta disertando l’evento di Pechino. Uno stringato video messaggio. Nulla più. A indicare che l’accordo è su un binario morto. La presenza di D’Alema ne è la conferma. L’ex premier diessino resta garante di quel mondo, così come negli anni ha mantenuto un dialogo aperto con realtà palestinesi e iraniane che alla luce degli attuali eventi descrivono un perimetro di amicizie che appare borderline. Pechino ha compreso che i rapporti con l’Italia si sono incrinati. Lo comprende dai movimenti sotterranei. Il piano di conquistare Taranto è saltato. A Trieste è arrivata Msc, grande avversaria dello shipping targato Dragone. Nel Mediterraneo si stanno per affacciare nuovi player. Alcuni arrivano dalla Polonia che ricorda tanto l’Italia del Piano Marshall. Ecco che Xi Jinping si sta preparando a cambiare volto. Non più partner benevolo, ma attore ostile. Ai cinesi fa comodo mantenere mondi di riferimento in Italia, ma stavolta in patria opposizione politica. La consapevolezza che il progetto di infiltrazione si sta sgretolando impone ai cinesi di cambiare passo e tono. La guerra arabo-palestinese è perfetta per lo scopo. Da un lato serve a frenare la via del cotone destinata all’India e, dall’altro, a distrarre l’Europa dall’Africa. In questo modo, le capitali europee continueranno a girarsi dall’altra parte ed eviteranno qualunque scontro militare nel Sahel, dove la Cina deve gestire un semplice baratto. Se l’idea di diventare mediatore nel Medio Oriente soccombe a favore di Mosca, allora potrà chiedere sponda militare russa in Africa per finire di papparsi le materie prime. Ma soffiare sulla guerra arabo-israeliana ha un effetto diretto anche sulla politica interna italiana. Il brutale attacco di Hamas agli ebrei dei kibbutz sta portando all’attacco militare su Gaza. Le immagini delle eventuali vittime civili palestinesi saranno usate contro Israele. L’opinione pubblica italiana è poggiata su un sottile e pericoloso crinale. Il mondo legato alla sinistra è filopalestinese, filo Iran e filo cinese. Il perfetto background che rappresenta D’Alema. Al di là del pericolo terrorismo in casa, se pezzi di destra si uniscono a pezzi di sinistra nel tentativo di spingere il governo verso posizioni anti Usa e anti Israle rischiamo la destabilizzazione. La questione è molto più scivolosa di quando si è posto il tema di appoggiare l’Ucraina. Questo lo sa bene la Cina. Che dalla destabilizzazione di questo governo avrebbe grandi benefici.
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