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2024-04-24
Il Niger sta svendendo il suo petrolio alla Cina
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10 ottobre 2023: le truppe francesi lasciano Niamey (Ansa)
Durante l’inaugurazione del gigantesco oleodotto Agadem nel novembre 2023, il primo ministro nigerino Ali Mahaman Lamine Zeine ha affermato che Niamey utilizzerà le risorse derivanti dallo sfruttamento petrolifero per «garantire la sovranità e lo sviluppo del Paese sulla base di un’equa condivisione tra le popolazioni». Belle parole. Tuttavia, la promessa oggi sembra difficile da poter mantenere. Dopo diversi mesi di sanzioni imposte dalla Comunità economica degli Stati dell'Africa Occidentale (Ecowas) hanno portato il Niger in una situazione economica a dir poco complessa, in seguito al colpo di Stato del 26 luglio 2023.
Nonostante la riapertura dei confini e dello spazio aereo del Niger la ripresa delle transazioni finanziarie con i paesi dell'Ecowas e lo sblocco dei beni statali del paese, la giunta guidata dal generale Abdourahamane Tiani si trova in una situazione di scarsa liquidità e affronta difficoltà nel pagamento dei suoi dipendenti pubblici. Secondo l'ultimo rapporto di Moody's il paese ha accumulato debiti di quasi 500 milioni di dollari, perdendo la fiducia di banche e donatori internazionali. Di conseguenza, nel giro di pochi mesi, il suo rating è stato declassato da Caa2 a Caa3. Di fronte a questa situazione, dopo il colpo di Stato, la giunta ha fatto affidamento sui proventi del petrolio per coprire i propri costi. Secondo quanto riferito da un operatore locale a Jeune Afrique, «è con i fondi raccolti dalla Nigerien petroleum products company (Sonidep) che la giunta riesce a pagare gli stipendi dei militari e di alcuni dipendenti pubblici». Questa è diventata l'unica fonte di denaro stabile e ricorrente per il regime. È così che il Primo ministro ha avviato le trattative con i commercianti di petrolio come la BB Energy degli Emirati e la turca BGN International. Tuttavia, l'offerta della China national petroleum corporation (Cnpc), che offre un tasso di interesse inferiore a quello dei suoi concorrenti, che hanno annunciato la cifra del 9%, è stata favorita dal generale Tiani.
Secondo i termini del contratto firmato lo scorso 12 aprile, la Cnpc si è impegnata a versare un anticipo di 400 milioni di dollari sulle future vendite di petrolio del Niger. Questa somma sarà rimborsata dallo Stato nigerino in 12 mesi con un tasso di interesse del 7% sui ricavi della vendita del petrolio dei giacimenti Agadem. Quindi tutto risolto? Per l’economista maliano Modibo Mao Makalou «quando un paese è a corto di soldi sono necessarie misure drastiche per mobilitare denaro ma questo approccio non è necessariamente la migliore scelta economica o finanziaria». Anticipare denaro sulla futura commercializzazione congiunta delle risorse petrolifere non è un fatto nuovo nel settore, ma non è necessariamente una soluzione dato che il tasso è comunque molto elevato, anche perché il Niger avrebbe potuto ottenere un prestito a condizioni preferenziali nel quadro dell’iniziativa per i paesi poveri fortemente indebitati [Hipc del Fmi]. I cinesi della Cnpc sono stabilmente in Niger dal 2008 grazie all’ottenimento di due permessi di estrazione per il giacimento petrolifero di Agadem, nella regione di Diffa, nella parte orientale. Ora con questa manovra la Cnpc rafforza il controllo della Cina sul petrolio nigerino e la società cinese da diversi anni fa di tutto per ottenere la commercializzazione della quota nigerina dei barili estratti dall'oleodotto Agadem. Qui è bene fare un passo indietro. L’ex presidente Mohamed Bazoum si è sempre opposto alla richiesta cinese ma c’è di più, perché per ridurre il monopolio della Cnpc il presidente deposto prevedeva di affidare la commercializzazione del petrolio nigerino a grandi commercianti di petrolio, la maggior parte dei quali ha sede a Ginevra e non è certo un caso che i cinesi non abbiano fatto nulla quando Bazoum è stato prima arrestato e poi deposto dalla giunta golpista.
I cinesi stanno puntando tutto sulla messa in servizio del gasdotto che collega Agadem al porto di Sèmè, in Benin. La Cnpc ha realizzato un'infrastruttura lunga 2.000 chilometri, investendo 4 miliardi di dollari nel progetto. All'inizio di maggio, i primi flussi di petrolio greggio verranno trasportati in Benin. Con l'entrata in funzione di questo gasdotto, la produzione petrolifera del Niger dovrebbe aumentare da 20.000 barili al giorno a 110.000 barili al giorno. Di questi, 90.000 barili saranno destinati all'esportazione, generando un reddito annuo stimato di oltre 650 milioni di dollari per il paese. A lungo termine la giunta golpista mira a raggiungere una produzione media di 200.000 barili al giorno entro il 2026. In termini di benefici economici, Niamey prevede che Sonidep riceverà il 25,4% dei ricavi derivanti dall'esportazione di 90.000 barili al giorno. Ma non è tutto oro quel luccica perché con la firma di questo «anticipo» sulla commercializzazione del petrolio greggio, la giunta aumenta il suo debito nei confronti del creditore cinese. Nonostante detenga il diritto esclusivo per la commercializzazione del petrolio dal 2011, Sonidep si trova in deficit. Con una produzione di 20.000 barili al giorno, di cui 7.000 destinati al mercato locale, la società incassa circa 30 milioni di dollari al mese. Le prime esportazioni di petrolio dal giacimento di Agadem rappresentano un salvagente per il Niger che potrà così coprire il suo deficit di bilancio, pagare i dipendenti pubblici e saldare i debiti. Tuttavia, è la Cnpc a trarre il maggior beneficio da questo accordo. Nonostante i rapporti tesi con la giunta, che ha revocato il permesso a Bilma a favore di Sonidep e nonostante un investimento di 300 milioni di dollari nella fase di ricerca, il gruppo cinese ha consolidato il suo controllo sull'intero circuito petrolifero. Dal punto di vista della sicurezza la giunta golpista dopo aver cacciato i francesi ha fatto lo stesso con gli americani e lo scorso 19 aprile, diversi funzionari statunitensi hanno rivelato in forma anonima che Washington ha accettato la richiesta del Niger di ritirare dal Paese i suoi 1.100 soldati, in gran parte dispiegati presso la base aerea di Agadez. Questa decisione segna la perdita di un punto strategico per condurre operazioni di intelligence sui gruppi armati in Libia e nell'intera regione del Sahel.
Tutto ciò avviene in un contesto in cui la Russia sta ampliando la sua influenza nel paese e tra i suoi vicini anche grazie alla presenza dei miliziani dell’Africa Korps (ex Wagner Group) che difficilmente potranno proteggere la popolazione dagli attacchi jihadisti mentre le élite al potere li utilizzano come guardie del corpo.
Via i francesi e americani, mentre l'Italia resta e arrivano i russi

Ansa
Lo scorso 12 aprile istruttori militari russi sono giunti in Niger accompagnati da un sistema di difesa aerea e altre attrezzature, in un segno dell'intensificarsi dei legami di sicurezza tra il paese dell'Africa occidentale e Mosca, come riportato dalla televisione di stato. Il governo militare nigerino ha accettato a gennaio di potenziare la collaborazione in materia di sicurezza con la Russia, dopo aver espulso le truppe francesi che erano impegnate nella lotta contro le insurrezioni jihadiste nel Sahel. L'emittente Tele Sahel ha mostrato un aereo da trasporto russo che è atterrato all'aeroporto di Niamey, trasportando gli ultimi equipaggiamenti militari e istruttori del ministero della Difesa russo. Il Niger, uno dei paesi più poveri al mondo, è stato a lungo un alleato chiave dell'Occidente nella lotta contro i jihadisti nel Sahel.
Tuttavia, dopo il colpo di stato che ha deposto il presidente eletto il paese ha cercato il sostegno della Russia. Inoltre, il Niger ha collaborato con i suoi vicini Mali e Burkina Faso, entrambi governati da leader militari a seguito di colpi di stato, per formare una forza congiunta volta a contrastare le insurrezioni jihadiste che affliggono la regione da tempo. Sebbene le forze statunitensi non abbiano ancora dismesso le loro basi a Niamey e Agadez, sembra probabile che le uniche presenze militari straniere rimarranno quelle russe e italiane. Questo perché la giunta nigerina non ha manifestato intenzioni di allontanare la Missione Italiana di Addestramento in Niger (MISIN), che conta circa 250 militari italiani impegnati nell'addestramento dell'esercito e della Gendarmeria locale. I solidi rapporti bilaterali sono stati ulteriormente rafforzati dalla recente visita a Niamey del direttore dei servizi segreti esteri italiani (AISE), generale Giovanni Caravelli. Questa visita è stata resa pubblica e ampiamente promossa dai media nigerini, sottolineando l'importanza della collaborazione tra Italia e Niger. Fino a ora, la giunta nigerina non ha delineato un percorso per le elezioni né ha stabilito una data per il ripristino del potere parlamentare. Nonostante questo, la posizione strategica del Niger ha spinto Palazzo Chigi a adottare una strategia di lungo respiro. Questa mossa ha portato l'Italia a trovarsi isolata rispetto agli altri Paesi dell'Unione Europea, ma potrebbe in futuro rafforzare il ruolo dell'Europa nel Sahel e non è cosa da poco per quanto riguarda i flussi migratori. In tal senso il generale Francesco Paolo Figliuolo, al vertice del comando che coordina tutte le missioni all’estero, durante la recente audizione in Parlamento ha affermato: «Non si può lasciare spazio nel Sahel a russi e cinesi, quel Paese è strategico per i flussi di migranti». Poi il generale ha aggiunto: «l’Italia è l’interlocutore privilegiato del Paese, che continua ad essere il crocevia di tutti i flussi migratori sia dal Sahel sia dal Corno d’Africa. Il Niger è pertanto un’area di prioritario interesse nazionale: per tale motivo, e nella considerazione che un’eventuale uscita delle nazioni occidentali lascerebbe «spazi di manovra» all’allargamento della presenza di altri attori nella regione, come avvenuto in Mali e in Burkina Faso, riteniamo di primaria importanza consolidare la nostra presenza».
Il terrorismo del Sahel
Nel 2023 le morti legate al terrorismo in Africa sono cresciute del 20% in un anno, passando da 19.412 nel 2022 a 23.322 nel 2023, secondo un'analisi dell'Africa Center for Strategic Studies (ACSS). Questo numero è quasi il doppio rispetto al bilancio delle vittime del 2021. Burkina Faso, Mali, Niger e Somalia hanno sperimentato il peso maggiore delle morti legate al terrorismo in Africa nel 2023. Questi paesi stanno combattendo insurrezioni guidate da affiliati di al-Qaeda o del gruppo Stato Islamico e rappresentano il 99% delle morti legate al terrorismo in Africa, secondo il rapporto dell'ACSS. Il Burkina Faso da solo è responsabile di due terzi delle 11.643 morti legate al terrorismo nella regione del Sahel. La regione del Lago Ciad ha registrato un numero minore di morti legate al terrorismo, principalmente causate da Boko Haram, con un calo delle morti dal 2020. Inoltre, i colpi di Stato in Burkina Faso, Mali e Niger hanno portato a un aumento della violenza e delle morti, rappresentando circa la metà di tutti i decessi legati al terrorismo nel 2023. Lo scorso 7 marzo, i capi degli eserciti di Niger, Mali e Burkina Faso, attualmente governati dai militari, hanno annunciato la creazione di una forza congiunta per contrastare le ribellioni jihadiste persistenti nei loro paesi. La nuova forza «sarà operativa prima possibile per affrontare le sfide alla sicurezza nel nostro spazio», ha affermato il capo dell'esercito del Niger, Moussa Salaou Barmou, in una dichiarazione rilasciata dopo i colloqui a Niamey. «Siamo convinti che, grazie agli sforzi congiunti dei nostri tre paesi, potremo creare le condizioni per una sicurezza condivisa», ha aggiunto Barmou. Nemmeno il tempo di registrare la notizia che il 22 marzo 2024 ventitré soldati sono stati uccisi in un'imboscata terroristica nel Niger occidentale durante un'offensiva vicino al confine con il Burkina Faso e il Mali, come confermato il ministero della Difesa del Niger. I terroristi erano più di 100 e hanno usato ordigni rudimentali e veicoli imbottiti di tritolo.
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A corto di liquidità, il governo nigerino ha optato per un prestito della China national petroleum corporation per rimpinguare le proprie casse, con l'intenzione di rimborsare il prestito con le future vendite del greggio estratto dal giacimento di Agadem.Mentre francesi e americani abbandonano il Paese africano, la presenza italiana può contribuire a rafforzare il ruolo dell'Europa nel Sahel e non è cosa da poco per quanto riguarda i flussi migratori.Lo speciale contiene due articoli.Durante l’inaugurazione del gigantesco oleodotto Agadem nel novembre 2023, il primo ministro nigerino Ali Mahaman Lamine Zeine ha affermato che Niamey utilizzerà le risorse derivanti dallo sfruttamento petrolifero per «garantire la sovranità e lo sviluppo del Paese sulla base di un’equa condivisione tra le popolazioni». Belle parole. Tuttavia, la promessa oggi sembra difficile da poter mantenere. Dopo diversi mesi di sanzioni imposte dalla Comunità economica degli Stati dell'Africa Occidentale (Ecowas) hanno portato il Niger in una situazione economica a dir poco complessa, in seguito al colpo di Stato del 26 luglio 2023.Nonostante la riapertura dei confini e dello spazio aereo del Niger la ripresa delle transazioni finanziarie con i paesi dell'Ecowas e lo sblocco dei beni statali del paese, la giunta guidata dal generale Abdourahamane Tiani si trova in una situazione di scarsa liquidità e affronta difficoltà nel pagamento dei suoi dipendenti pubblici. Secondo l'ultimo rapporto di Moody's il paese ha accumulato debiti di quasi 500 milioni di dollari, perdendo la fiducia di banche e donatori internazionali. Di conseguenza, nel giro di pochi mesi, il suo rating è stato declassato da Caa2 a Caa3. Di fronte a questa situazione, dopo il colpo di Stato, la giunta ha fatto affidamento sui proventi del petrolio per coprire i propri costi. Secondo quanto riferito da un operatore locale a Jeune Afrique, «è con i fondi raccolti dalla Nigerien petroleum products company (Sonidep) che la giunta riesce a pagare gli stipendi dei militari e di alcuni dipendenti pubblici». Questa è diventata l'unica fonte di denaro stabile e ricorrente per il regime. È così che il Primo ministro ha avviato le trattative con i commercianti di petrolio come la BB Energy degli Emirati e la turca BGN International. Tuttavia, l'offerta della China national petroleum corporation (Cnpc), che offre un tasso di interesse inferiore a quello dei suoi concorrenti, che hanno annunciato la cifra del 9%, è stata favorita dal generale Tiani.Secondo i termini del contratto firmato lo scorso 12 aprile, la Cnpc si è impegnata a versare un anticipo di 400 milioni di dollari sulle future vendite di petrolio del Niger. Questa somma sarà rimborsata dallo Stato nigerino in 12 mesi con un tasso di interesse del 7% sui ricavi della vendita del petrolio dei giacimenti Agadem. Quindi tutto risolto? Per l’economista maliano Modibo Mao Makalou «quando un paese è a corto di soldi sono necessarie misure drastiche per mobilitare denaro ma questo approccio non è necessariamente la migliore scelta economica o finanziaria». Anticipare denaro sulla futura commercializzazione congiunta delle risorse petrolifere non è un fatto nuovo nel settore, ma non è necessariamente una soluzione dato che il tasso è comunque molto elevato, anche perché il Niger avrebbe potuto ottenere un prestito a condizioni preferenziali nel quadro dell’iniziativa per i paesi poveri fortemente indebitati [Hipc del Fmi]. I cinesi della Cnpc sono stabilmente in Niger dal 2008 grazie all’ottenimento di due permessi di estrazione per il giacimento petrolifero di Agadem, nella regione di Diffa, nella parte orientale. Ora con questa manovra la Cnpc rafforza il controllo della Cina sul petrolio nigerino e la società cinese da diversi anni fa di tutto per ottenere la commercializzazione della quota nigerina dei barili estratti dall'oleodotto Agadem. Qui è bene fare un passo indietro. L’ex presidente Mohamed Bazoum si è sempre opposto alla richiesta cinese ma c’è di più, perché per ridurre il monopolio della Cnpc il presidente deposto prevedeva di affidare la commercializzazione del petrolio nigerino a grandi commercianti di petrolio, la maggior parte dei quali ha sede a Ginevra e non è certo un caso che i cinesi non abbiano fatto nulla quando Bazoum è stato prima arrestato e poi deposto dalla giunta golpista. I cinesi stanno puntando tutto sulla messa in servizio del gasdotto che collega Agadem al porto di Sèmè, in Benin. La Cnpc ha realizzato un'infrastruttura lunga 2.000 chilometri, investendo 4 miliardi di dollari nel progetto. All'inizio di maggio, i primi flussi di petrolio greggio verranno trasportati in Benin. Con l'entrata in funzione di questo gasdotto, la produzione petrolifera del Niger dovrebbe aumentare da 20.000 barili al giorno a 110.000 barili al giorno. Di questi, 90.000 barili saranno destinati all'esportazione, generando un reddito annuo stimato di oltre 650 milioni di dollari per il paese. A lungo termine la giunta golpista mira a raggiungere una produzione media di 200.000 barili al giorno entro il 2026. In termini di benefici economici, Niamey prevede che Sonidep riceverà il 25,4% dei ricavi derivanti dall'esportazione di 90.000 barili al giorno. Ma non è tutto oro quel luccica perché con la firma di questo «anticipo» sulla commercializzazione del petrolio greggio, la giunta aumenta il suo debito nei confronti del creditore cinese. Nonostante detenga il diritto esclusivo per la commercializzazione del petrolio dal 2011, Sonidep si trova in deficit. Con una produzione di 20.000 barili al giorno, di cui 7.000 destinati al mercato locale, la società incassa circa 30 milioni di dollari al mese. Le prime esportazioni di petrolio dal giacimento di Agadem rappresentano un salvagente per il Niger che potrà così coprire il suo deficit di bilancio, pagare i dipendenti pubblici e saldare i debiti. Tuttavia, è la Cnpc a trarre il maggior beneficio da questo accordo. Nonostante i rapporti tesi con la giunta, che ha revocato il permesso a Bilma a favore di Sonidep e nonostante un investimento di 300 milioni di dollari nella fase di ricerca, il gruppo cinese ha consolidato il suo controllo sull'intero circuito petrolifero. Dal punto di vista della sicurezza la giunta golpista dopo aver cacciato i francesi ha fatto lo stesso con gli americani e lo scorso 19 aprile, diversi funzionari statunitensi hanno rivelato in forma anonima che Washington ha accettato la richiesta del Niger di ritirare dal Paese i suoi 1.100 soldati, in gran parte dispiegati presso la base aerea di Agadez. Questa decisione segna la perdita di un punto strategico per condurre operazioni di intelligence sui gruppi armati in Libia e nell'intera regione del Sahel. Tutto ciò avviene in un contesto in cui la Russia sta ampliando la sua influenza nel paese e tra i suoi vicini anche grazie alla presenza dei miliziani dell’Africa Korps (ex Wagner Group) che difficilmente potranno proteggere la popolazione dagli attacchi jihadisti mentre le élite al potere li utilizzano come guardie del corpo.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/il-niger-sta-svendendo-il-suo-petrolio-alla-cina-2667837199.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="via-i-francesi-e-americani-mentre-l-italia-resta-e-arrivano-i-russi" data-post-id="2667837199" data-published-at="1713969065" data-use-pagination="False"> Via i francesi e americani, mentre l'Italia resta e arrivano i russi Ansa Lo scorso 12 aprile istruttori militari russi sono giunti in Niger accompagnati da un sistema di difesa aerea e altre attrezzature, in un segno dell'intensificarsi dei legami di sicurezza tra il paese dell'Africa occidentale e Mosca, come riportato dalla televisione di stato. Il governo militare nigerino ha accettato a gennaio di potenziare la collaborazione in materia di sicurezza con la Russia, dopo aver espulso le truppe francesi che erano impegnate nella lotta contro le insurrezioni jihadiste nel Sahel. L'emittente Tele Sahel ha mostrato un aereo da trasporto russo che è atterrato all'aeroporto di Niamey, trasportando gli ultimi equipaggiamenti militari e istruttori del ministero della Difesa russo. Il Niger, uno dei paesi più poveri al mondo, è stato a lungo un alleato chiave dell'Occidente nella lotta contro i jihadisti nel Sahel.Tuttavia, dopo il colpo di stato che ha deposto il presidente eletto il paese ha cercato il sostegno della Russia. Inoltre, il Niger ha collaborato con i suoi vicini Mali e Burkina Faso, entrambi governati da leader militari a seguito di colpi di stato, per formare una forza congiunta volta a contrastare le insurrezioni jihadiste che affliggono la regione da tempo. Sebbene le forze statunitensi non abbiano ancora dismesso le loro basi a Niamey e Agadez, sembra probabile che le uniche presenze militari straniere rimarranno quelle russe e italiane. Questo perché la giunta nigerina non ha manifestato intenzioni di allontanare la Missione Italiana di Addestramento in Niger (MISIN), che conta circa 250 militari italiani impegnati nell'addestramento dell'esercito e della Gendarmeria locale. I solidi rapporti bilaterali sono stati ulteriormente rafforzati dalla recente visita a Niamey del direttore dei servizi segreti esteri italiani (AISE), generale Giovanni Caravelli. Questa visita è stata resa pubblica e ampiamente promossa dai media nigerini, sottolineando l'importanza della collaborazione tra Italia e Niger. Fino a ora, la giunta nigerina non ha delineato un percorso per le elezioni né ha stabilito una data per il ripristino del potere parlamentare. Nonostante questo, la posizione strategica del Niger ha spinto Palazzo Chigi a adottare una strategia di lungo respiro. Questa mossa ha portato l'Italia a trovarsi isolata rispetto agli altri Paesi dell'Unione Europea, ma potrebbe in futuro rafforzare il ruolo dell'Europa nel Sahel e non è cosa da poco per quanto riguarda i flussi migratori. In tal senso il generale Francesco Paolo Figliuolo, al vertice del comando che coordina tutte le missioni all’estero, durante la recente audizione in Parlamento ha affermato: «Non si può lasciare spazio nel Sahel a russi e cinesi, quel Paese è strategico per i flussi di migranti». Poi il generale ha aggiunto: «l’Italia è l’interlocutore privilegiato del Paese, che continua ad essere il crocevia di tutti i flussi migratori sia dal Sahel sia dal Corno d’Africa. Il Niger è pertanto un’area di prioritario interesse nazionale: per tale motivo, e nella considerazione che un’eventuale uscita delle nazioni occidentali lascerebbe «spazi di manovra» all’allargamento della presenza di altri attori nella regione, come avvenuto in Mali e in Burkina Faso, riteniamo di primaria importanza consolidare la nostra presenza».Il terrorismo del SahelNel 2023 le morti legate al terrorismo in Africa sono cresciute del 20% in un anno, passando da 19.412 nel 2022 a 23.322 nel 2023, secondo un'analisi dell'Africa Center for Strategic Studies (ACSS). Questo numero è quasi il doppio rispetto al bilancio delle vittime del 2021. Burkina Faso, Mali, Niger e Somalia hanno sperimentato il peso maggiore delle morti legate al terrorismo in Africa nel 2023. Questi paesi stanno combattendo insurrezioni guidate da affiliati di al-Qaeda o del gruppo Stato Islamico e rappresentano il 99% delle morti legate al terrorismo in Africa, secondo il rapporto dell'ACSS. Il Burkina Faso da solo è responsabile di due terzi delle 11.643 morti legate al terrorismo nella regione del Sahel. La regione del Lago Ciad ha registrato un numero minore di morti legate al terrorismo, principalmente causate da Boko Haram, con un calo delle morti dal 2020. Inoltre, i colpi di Stato in Burkina Faso, Mali e Niger hanno portato a un aumento della violenza e delle morti, rappresentando circa la metà di tutti i decessi legati al terrorismo nel 2023. Lo scorso 7 marzo, i capi degli eserciti di Niger, Mali e Burkina Faso, attualmente governati dai militari, hanno annunciato la creazione di una forza congiunta per contrastare le ribellioni jihadiste persistenti nei loro paesi. La nuova forza «sarà operativa prima possibile per affrontare le sfide alla sicurezza nel nostro spazio», ha affermato il capo dell'esercito del Niger, Moussa Salaou Barmou, in una dichiarazione rilasciata dopo i colloqui a Niamey. «Siamo convinti che, grazie agli sforzi congiunti dei nostri tre paesi, potremo creare le condizioni per una sicurezza condivisa», ha aggiunto Barmou. Nemmeno il tempo di registrare la notizia che il 22 marzo 2024 ventitré soldati sono stati uccisi in un'imboscata terroristica nel Niger occidentale durante un'offensiva vicino al confine con il Burkina Faso e il Mali, come confermato il ministero della Difesa del Niger. I terroristi erano più di 100 e hanno usato ordigni rudimentali e veicoli imbottiti di tritolo.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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