Nel video un jihadista con accento siriano levantino si riprende nel Nagorno Karabakh mentre insulta e offende militari armeni da poco uccisi. Li chiama maiali e infedeli e ringrazia Allah per la vittoria. «Guardate li abbiamo ammazzati in quantità, quelli sono gruppi di armeni» e poi ripete più volte infedeli.
Ansa
- Sul Web gli islamici sostengono che l'epidemia sia una punizione per l'oppressione del regime nei confronti della minoranza uigura e ne gioiscono: «Ciò che si semina si raccoglie, hanno fatto del male ai nostri fratelli». Dai social network però non arrivano censure.
- Il delirio antirazzista finisce col mettere alla berlina persino la comprensibile cautela.
Lo speciale contiene due articoli.
Dalla peste nera del 1346, che arrivò - coincidenza - proprio dalla Cina e uccise un terzo della popolazione europea, sono trascorsi 674 anni. Troppo pochi, evidentemente, dal punto di vista dell'evoluzione, considerato quel che si legge sulla pagina Facebook «Siamo fieri di essere musulmani», che conta oltre 94.000 seguaci. Dove la pandemia del coronavirus è stata salutata come la punizione di Allah per gli infedeli dagli occhi a mandorla proprio come l'epidemia del XIV secolo era stata spiegata come il castigo di Dio per i peccati dei cristiani. «Vedo che certa gente ha la memoria corta», ha scritto il moderatore della pagina sul social network. «Cina, 1 milione di musulmani Uighuri sono detenuti in campi di concentramento. La Cina ha trasformato la regione autonoma Uighura dello Xinjiang in qualcosa che assomiglia a un enorme campo di internamento avvolto nella segretezza - una sorta di zona senza diritti». E ancora: «(I cinesi, ndr) hanno bruciato il Corano e demolite le moschee e nei campi di detenzione i musulmani vengono torturati e costretti al lavoro forzato». Post che hanno raccolto oltre un migliaio di like e centinaia e centinaia di condivisioni e che sono sfuggiti al solitamente occhiuto algoritmo di Menlo Park sempre pronto a censurare forme di odio e di discriminazione. A spaventare di più sono però i commenti degli utenti che non solo si riconoscono nella interpretazione della vendetta divina, ma gioiscono per le centinaia di cadaveri che l'influenza sta seminando all'ombra della Grande Muraglia. Vittorio S. dà questa contorta spiegazione: «In effetti è vero, è una punizione di Allà (sic): il virus è originario del serpente, animale associato al demonio. Perciò è collegato anche ad Allà». Lule C. va oltre: «Per trattare gli animali in modo umano e uccidere la metà musulmana della fede sono stati uccisi. Questa è la penalità...». Per avere contezza del contesto bisogna ricordare che i musulmani uiguri vivono nella regione dello Xinjiang, nel nord ovest della Cina, al confine con la Russia, la Mongolia e il Kazakistan. Quella che chiamano East Turkestan. Secondo alcuni documenti pubblicati dal consorzio internazionale di giornalisti investigativi, le autorità di Pechino avrebbero rinchiuso un milione di islamici turcofoni in campi di rieducazione di stampo maoista (definiti «centri vocazionali») senza aver commesso alcun reato e solo perché, stranieri in una terra sotto dittatura, sospettati di slealtà verso il Politburo. Carmela D. non a caso ribadisce: «Ciò che si semina si raccoglie e ora e il momento che devono raccogliere dopo tutto il male che hanno fatto verso i nostri fratelli e sorelle e verso le creature di Allah diceva sempre la mia Nonna a Allah la vendetta a noi la retribuzione». Errori grammaticali a parte, il sentire è quasi unanime. Erika R. rincara: «Povera gente... ma Dio è grande infatti pagheranno i cinesi come già sta succedendo Dio vede e provvede». Diversi iscritti commentano in arabo. Traducendo, il pensiero di Mammati Yousef E. S. diventa: «Allah gli ha mandato un virus che sta uccidendo un sacco di persone...». Malik R. è più greve: «Allah li guarda e vederanno il potere di Allah sti figli di puttana cinese». Il pensiero di Ilma H. è ridotto all'osso: «Ci si raccoglie ciò che si semina!». Mentre Mirko A. è a sua volta tagliente: «Dio ritarda ma non scorda...». Una donna, di nome Tereza U. C., malgrado la sintassi zoppicante è sicura che «Allah li farà tutto queste sofferenza prima di crepare».
Per essere ancora più chiaro, il moderatore ha pubblicato anche foto e video. Uno di questi mostra un uomo nella città di Wuhan lasciato morire sull'asfalto nell'indifferenza dei passanti. Altre immagini ritraggono cittadini cinesi costretti a coprirsi con mascherine e veli di plastica. A margine di queste, sono state lasciate parole di fuoco: «Il governo cinese ha costretto le donne musulmane con la forza a togliere l'hijab (il velo). Ma Allah […] li ha costretti indossare il velo, ma sotto forma di tortura». Aggiungendo, subito dopo: «Il governo cinese ha messo il divieto dell'hijab per le donne musulmane e ha isolato 1 milione di musulmani. Allah ha isolato 20 milioni di cinesi. La Cina ha chiuso 1 milione di musulmani uiguri in campi di concentramento, per questo Allah li ha puniti con un virus che ha isolato quattro città con una popolazione di oltre 20 milioni di cinesi. Allah l'altissimo dice: «E non credere che Allah sia disattento a quello che fanno gli iniqui. Concede loro una dilazione fino al Giorno in cui i loro sguardi saranno sbarrati». Non poteva poi mancare l'occasione per attaccare lo Stato ebraico. Majid Nemsi M. N. esulta sotto la foto di un soldato di Tel Aviv intervenuto a soccorrere un possibile contagiato: «Il virus Corona (sic) viene trasmesso in Israele... gli auguriamo un buon viaggio». E Shihab B. rilancia: «Dio sa quello che fa». Per fortuna c'è anche chi si ribella a questa visione delle cose. Sono pochi coraggiosi che sfidano la comunità islamica arrabbiata per ribadire (Alessandro L.) che «i cinesi fanno ai musulmani quello che voi fate ai cristiani». Mohamed A. Z. è diretto: «Questa è conoscenza dell'invisibile e solo Allah la possiede. Nessuno è autorizzato a sostenere che ciò sta accadendo perché Allah è arrabbiato con loro e li sta punendo! Può essere un test per alcuni e una punizione per altri». Ancor più tranchant è la domanda che pone Riccardo F.: «Siamo nel 2020, terrei a precisare, ancora credete alle punizioni divine?». Evidentemente, sì. Malgrado i tempi della peste nera siano passati da un bel po'.
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Orrore nella banlieue parigina: due sedicenni compiono violenza sessuale su una minorenne, citando più volte il Corano e la Mecca. Ma gli esponenti del governo francese se la prendono solo con Twitter.
Le aggressioni nelle banlieue francesi fanno di nuovo notizia al di là delle Alpi. Giovedì sera, una ragazza minorenne è stata stuprata, a Morsang-sur-Orge, nel dipartimento dell'Essonne a Sud di Parigi. La violenza è stata filmata dagli autori e twittata. Poi è stato condivisa ampiamente sui social network. Grazie all'intervento di un giovane hacker, gli inquirenti hanno potuto risalire rapidamente all'identità di due sedicenni, di origine africana, presunti autori della violenza e della diffusione del video su internet. I due stupratori sono stati arrestati sabato.
Nel frattempo, sono emerse varie informazioni sulla dinamica dell'aggressione sessuale, consumata nell'androne di uno di quei palazzoni delle periferie francesi, dove trionfano violenza, spaccio, degrado.
Il video della violenza sessuale dura poco meno di un minuto e mezzo. Oltre alle immagini, drammatiche, si possono sentire le voci dei due stupratori proferire frasi di una violenza inaudita. Il sito Fdesouche.fr ha ricostruito il video senza diffonderlo per rispetto nei confronti della vittima. All'inizio del video la giovane viene inseguita e insultata dai due sedicenni i quali minacciano «(giuro, ndr) sul Corano della Mecca, grida e vedrai il ceffone che ti do».
La violenza verbale non si ferma. Poco dopo i due stupratori intimano alla giovane di seguirli «in nome di Dio, ti giuro sul Corano della Mecca» dicono ancora «è meglio se rifletti nella tua testa e che sali (da noi, ndr) perché sta per arrivare una squadra [...] noi siamo i più buoni, quelli che stanno arrivando faranno rimpiangere [...] su mia madre (ti giuro, ndr): non ne esci viva. Morirai [...]». Poi il video si interrompe per riprendere con l'immagine della ragazza che viene abusata. Il video si conclude con una frase umiliante di uno dei due violentatori che ridendo dice: «Prendete ragazzi».
Le frasi dei due stupratori dell'Essonne mostrano, una volta di più, la diffusione di una sottocultura filo islamista nelle periferie di Francia. Un substrato nel quale le donne sono considerate esseri inferiori, obbligate a soddisfare i desideri, anche sessuali, dei maschi. Ma la diffusione del video su internet conferma che l'indignazione dei gestori dei social network è a geometria variabile. In questo caso, è Twitter a trovarsi sulla graticola.
In effetti, nonostante la polizia abbia ricevuto - attraverso una piattaforma apposita - moltissime segnalazioni dopo la diffusione del video e abbia invitato - proprio su Twitter - a non condividere il video, questo è rimasto in circolazione.
Così, in un'intervista rilasciata al sito del quotidiano Le Parisien, la sottosegretaria alle Pari opportunità, Marlène Schiappa, ha puntato il dito contro social dei cinguettii. «Il video è rivoltante. Non appena ne ho preso conoscenza - ha dichiarato la rappresentante del governo francese - ho immediatamente contattato Twitter per fare in modo che lo rimuovesse». Poi l'affondo: «Delle copie sono ancora in circolazione. Questo social network non è all'altezza, i criminali lo sanno, ecco perché se ne servono», ha concluso il membro dell'esecutivo guidato da Édouard Philippe.
Ma le parole di Schiappa, non hanno evitato le polemiche. L'avvocato Gilles-William Goldnadel, noto polemista per varie testate francesi come Le Figaro o Rmc ha risposto, sempre su Twitter, alla sottosegretaria. «Ancora più rivoltante del video [...] è questo stupro» ha scritto il legale. Secondo lui in Francia esisterebbe una sorta di freno capace di evitare ai «criminali che, si suppone, siano sfavoriti» socialmente, di rispondere dei propri atti.
In effetti il rischio è che, sebbene non esista alcun nesso tra l'attitudine al crimine e le origini degli stupratori, queste vengano prese come «attenuanti» per evitare stigmatizzazioni. D'altra parte, nel novembre 2018, la corte d'assise della Manica aveva assolto un giovane rifugiato del Bangladesh, accusato di aver stuprato una quindicenne. Questo perché, come spiegava il suo difensore, l'autore di quell'aggressione non possedeva «i codici culturali» e considerava tutte le donne francesi come delle meretrici.
Fortunatamente, in questo caso, gli autori dello stupro non sono rimasti impuniti grazie all'intervento tempestivo di alcuni giovani assi dell'informatica. Secondo i media transalpini, la scoperta delle identità dei violentatori sarebbe stata resa possibile in particolare dall'azione di Yazin, un liceale residente vicino a Besançon, meglio noto sui social network con lo pseudonimo di Kobz.
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Ansa
Due agenti colpiti con una sbarra di ferro da un senegalese di 26 anni. È accaduto a Torino, dove aveva trovato rifugio.
«Allah Akbar». E giù sprangate ai poliziotti con una sbarra di ferro. Così si è comportato un senegalese che a Torino ha aggredito due poliziotti e una guardia giurata colpendoli con una spranga di ferro urlando «Allah è grande». Poi ha tentato di fuggire. Il fatto è accaduto in via Cuneo, all'altezza di alcuni capannoni usati dal noto marchio Esselunga come deposito. Da qualche giorno, infatti, l'uomo dormiva in un giaciglio di fortuna nei pressi dei capannoni come avevano denunciato alcuni residenti della zona. All'arrivo della volante, l'uomo ha opposto resistenza aggredendo i poliziotti con una sbarra che è stata sequestrata. L'aggressore è stato immediatamente fermato.
Portato in questura, ha gridato insulti contro il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il ministro dell'Interno Matteo Salvini. Agenti e guardia giurata sono rimasti feriti: medicati con diversi punti di sutura per una ferita alla testa e a una mano, all'ospedale Giovanni Bosco, nella zona nord della città, sono stati dimessi in serata. I poliziotti erano stati chiamati per l'intervento, nel quartiere Aurora, proprio dalla vigilanza privata del supermercato che si era accorto della presenza dello straniero che aveva costruito un giaciglio di fortuna negli spazi destinati ai depositi dell'Esselunga. Le due pattuglie dei commissariati erano intervenute per convincerlo a spostarsi da un luogo in cui non era autorizzato a stare. Classe 1993, il senegalese aveva a suo carico due decreti di espulsione, uno del questore di Cuneo e l'altro del questore del capoluogo piemontese. Ora il ventiseienne è accusato di tentato omicidio. Il senegalese, Ndiaye Migui era già stato arrestato qualche settimana fa. Stesso reato: resistenza. Anche allora aveva reagito con violenza davanti ai poliziotti per tentare di sottrarsi a un controllo. Fermato, era finito davanti al giudice. Ma l'udienza di convalida del fermo si era conclusa con la scarcerazione.
Ad annunciare l'aggressione è stato il ministro Matteo Salvini: «A Torino un uomo, verosimilmente straniero, ha aggredito due poliziotti colpendoli con una sbarra di ferro mentre urlava “Allah Akbar". Portato in questura, ha gridato insulti contro il presidente Mattarella e il sottoscritto». E aveva aggiunto: «Uno dei poliziotti è stato ferito alla testa, l'altro alla mano. A loro vanno il nostro grazie e il nostro augurio di pronta guarigione: sto seguendo personalmente la vicenda. Nessuna tolleranza per balordi e violenti che attaccano le forze dell'ordine».
Il sindaco di Torino, Chiara Appendino, ha espresso «la vicinanza della città ai due agenti di polizia feriti. A loro, insieme agli auguri di pronta guarigione, va il ringraziamento per l'importante e difficile lavoro di presidio del territorio svolto quotidianamente al servizio della comunità cittadina, anche nelle giornate di festa come quest'oggi».
«Esselunga è vicina ai poliziotti e alla guardia giurata rimasti feriti e alle loro famiglie, ringraziandoli per la professionalità e il coraggio mostrati a tutela della sicurezza dei cittadini». Così, in una nota, la società della grande distribuzione ha commentato l'aggressione del senegalese nei confronti delle forze dell'ordine.
Sul caso è intervenuto anche il M5s, che ha lanciato una forte bordata personale all'alleato di governo, Salvini, attraverso le parole del sottosegretario Manlio Di Stefano, che ha ricordato le promesse elettorali del rimpatrio dei clandestini che aveva formulato il leader del Carroccio: «A Torino ha agito un senegalese con due mandati di espulsione, dimostrazione che servono meno parole e più fatti al Viminale sulla sicurezza. Ricordo la frase magica “espellerò 600.000 irregolari". A che punto siamo?».
La cosa più inquietante è che anche questo senegalese aveva precedenti addirittura con decreto di espulsione eppure continuava a restare nel nostro Paese. Immediato il ricordo, infatti, dell'altro senegalese, Ousseynou Sy che malgrado i precedenti per violenza sessuale e guida in stato di ebbrezza, esattamente un mese fa, il 20 marzo scorso, dirottò e diede fuoco all'autobus che guidava con 51 bambini ed alcuni insegnanti a bordo. Libero, dunque, malgrado tutto, anche di lavorare per un'amministrazione. I ritardi o le emergenze della giustizia fanno pensare anche al caso di Said Machaquat, origini marocchine, 27 anni, che lo scorso 23 febbraio uccise ai Murazzi, con un colpo alla gola, inferto con un coltello di 20 centimetri, Stefano Leo, un giovane biellese, colpevole di essere un «italiano felice». Anche Machaquat, quella sera non doveva essere ai Murazzi ma in carcere perché condannato a un anno e 6 mesi per maltrattamenti e lesioni aggravate ai danni dell'ex fidanzata con una sentenza diventata definitiva, come deciso dalla V sezione penale del Tribunale il 20 giugno 2016. Invece la sentenza non è mai stata eseguita per un fatto incredibile: pare, infatti, che a causa di carenza di personale amministrativo in Corte d'Appello gli atti con l'ordine di carcerazione non sarebbero mai stati trasmessi al pm dell'esecuzione della Procura.
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L'iniziativa «Pro integrazione» è sempre più in voga nelle scuole. Ma molti protestano, in un Paese che un tempo era un simbolo dell'Occidente per libertà e felicità.
L'Olanda, almeno dal secondo dopoguerra, è divenuta una nazione simbolo in Occidente. Simbolo di libertà, di felicità, di trasgressione perfino, anche a causa della legalizzazione precoce di fenomeni diversi e libertari come la droga, il sesso a pagamento, il nudismo e l'assenza di legami.
Ora però è stato pubblicato un dossier di 60 pagine (curato dall'associazione olandese Cultuur onder Vuur, cioè La cultura sotto attacco) in cui si mette il dito sulla progressiva, benché silente, islamizzazione culturale del Paese, proprio a partire dalle scuole dei più piccoli. La battagliera giornalista cattolica Jeanne Smits ha riportato e ampiamente commentato l'esplosivo documento di cui sopra, il quale non a caso porta il titolo di Classi in ginocchio davanti all'islam.
Oltre alle faccende già note delle piscine a orari separati per uomini e donne, soprattutto nei Comuni in cui la presenza musulmana è forte, ora si fa notare una realtà più recente ma non meno significativa. Le scuole olandesi, salvo eccezioni, propongono sempre durante l'anno scolastico la visita culturale e religiosa alla moschea più vicina: e già qui non si sa dove finisca l'aspetto «cultura» e dove inizi l'ambito «religione». Ma poi, come dimostrano video e fotografie in gran quantità presenti in rete, gli alunni sono invitati/obbligati a prostrarsi more islamicum, ovvero rivolti alla Mecca e completamente a terra.
A volte poi, la maestrina più aperta e integrata, fa recitare ai bambini della classe qualche formula in arabo per identificarsi meglio con il coetaneo di fede islamica. E tra queste, pronunciano anche quell'Allah Akbar che è divenuto tristemente noto in tutta Europa per fatti di sangue più che di devozione spirituale. È ovvio che il ragazzino che per ragioni diverse (fede cristiana, indifferenza religiosa o ateismo, legittima antipatia per l'islam e l'immigrazione) non volesse prostrarsi, sarebbe malvisto dai compagni e dalla scuola, e passerebbe per razzista o almeno per provocatore. E così sarebbe lui, la vera minoranza, a essere discriminato!
È proprio per rimediare a questa discriminazione, detta a volte per giustificarla moralmente «discriminazione positiva» (sic), che l'associazione Cultuur onder Vuur è scesa in campo, e il suo dossier servirà alle famiglie a non restare passive di fronte a questa islamizzazione soft della prole.
La semplice visita culturale a una moschea di rilievo artistico, come quelle del Cairo o di Istanbul, sarebbe un fatto in sé anodino e anzi positivo: la cultura per essere autentica richiede conoscenza, libertà e curiosità intellettuale. Ma quando essa si trasforma in un rituale obbligatorio, allora il discorso cambia. Un conto è Marco Polo o il teologo medievale Raimondo Lullo, che da cristiani consapevoli e aperti, apprezzavano certi elementi dell'islam, come invita a fare la Chiesa, e già da prima della svolta conciliare. Un conto è un contesto completamente diverso come il nostro, in cui il terrorismo islamico si diffonde anche grazie all'islamicamente corretto, che vieta a tutti di emettere la minima riserva sulla figura di Maometto o sulle possibili interpretazioni violente del Corano.
Le stesse scuole private dei Paesi Bassi sentono sempre più il dovere morale di propagandare l'accoglienza senza limiti e organizzare queste visite «culturali», che magari sarebbero mal viste e bocciate dal collegio dei docenti se fossero rivolte a chiese e abbazie. Ci domandiamo: uno studente arabo, magari ben integrato in Europa o in Italia, accetterebbe mai dopo aver visitato San Pietro o le catacombe, di mettersi in ginocchio davanti a un altare?
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