2022-08-02
Tabacci, il volpone conservatore che ha soccorso l’ex rivoluzionario
Luigi Di Maio e Bruno Tabacci (Ansa)
Il vecchio democristiano ha neutralizzato il delfino mancato di Beppe Grillo (che ora si atteggia a nuovo Andreotti). E, manco fosse il buon pastore, si gode la rivincita accogliendo la pecorella smarrita alla ricerca di poltrone.Alla fine del mese Bruno Tabacci compirà 76 anni, cinquanta dei quali trascorsi a fare politica. Che un tipo del genere facesse da levatrice a un movimento che si chiamava «Insieme per il futuro», con Luigi Di Maio presidente, avrebbe dunque fatto ridere il mondo e perciò il ministro degli Esteri ha scelto di ripiegare su un meno pretenzioso «Impegno civico». Il simbolo è un’accozzaglia di messaggi. Oltre al logo, infatti, vi compare la bandiera italiana, con il nome dell’ex arruffapopolo grillino, più un insetto stilizzato che credo rappresenti un’ape. Che cosa c’entri un imenottero con un lepidottero come Di Maio, capace di trasformarsi da farfalla pentastellata in bruco andreottiano, percorrendo al contrario il ciclo vitale di questi insetti, non è noto. Tuttavia, un dato mi pare certo, ovvero che la sola cosa che conti nel nuovo partito sia il bollino bianco e rosso posto in alto, con la scritta «Centro democratico». Senza quel simbolo, l’ex capo politico dei 5 Stelle sarebbe stato costretto a raccogliere 100.000 firme per potersi presentare alle elezioni. Con quello, lui e il gruppo grillino che lo ha seguito abbandonando Giuseppe Conte non dovranno fare questa fatica.Certo, il prezzo da pagare è costituito dal dover accogliere con tutti gli onori del caso un vecchio dinosauro della politica come Tabacci, passato attraverso la sinistra dc, i consigli di amministrazione dell’Eni e della Snam, la candidatura nell’Udc di Pier Ferdinando Casini e la corte di Carlo De Benedetti. Se c’è un uomo dell’establishment, uno che rappresenti prima e seconda Repubblica, capace di navigare indenne nel mare della politica e del potere per decenni, questo è Tabacci. In altre parole, l’ex presidente della Lombardia (fine anni Ottanta, prima di Tangentopoli) è il simbolo di ciò che il giovane Di Maio, quando entrò in Parlamento, voleva abbattere. Difficile infatti dimenticare gli esordi del capopopolo grillino, quando tra Vaffa day e contestazioni ai comizi del Pd, muoveva i primi passi da guastatore del sistema. Una carriera politica percorsa in poco tempo, da Pomigliano d’Arco a Roma, dichiarandosi estraneo alle logiche del potere, per poi finire direttamente tra le braccia del potere. Fa sorridere l’immagine di Di Maio che applaude Tabacci sul palco della convention del nuovo partito. E strappano più di un risolino ironico le parole del burosauro democristiano scampato alle fine della Dc che commenta l’età del ministro degli Esteri, dicendo che è più giovane dei suoi figli. L’espressione di Tabacci sembra quella del gatto che si è mangiato il topo. E in effetti, quel felino sornione del sottosegretario all’Economia si è pappato in un sol boccone il roditore dell’establishment, ingoiandolo senza alcuna fatica e risputandolo vestito da apparatchik. Il Di Maio che insieme con il suo capo voleva aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno non c’è più. Inghiottito anche il ministro del Lavoro che annunciava dal balcone di aver abolito la povertà. Per non parlare poi del leader politico pronto a stringere la mano ai rappresentanti dei gilet gialli. Il contestatore, l’uomo che si schierava contro la Tav e il Tap, che voleva incriminare Mattarella per alto tradimento, che giurava che non avrebbe mai governato insieme con il partito di Bibbiano, oggi è un trentenne che non si rassegna all’idea di dover mollare la poltrona e di dover tornare a una vita normale. Anzi, a cercarsene una, visto che quando arrivò in Parlamento alle spalle non aveva che lavori precari e di normale non aveva nulla. Certo, allora nessuno poteva immaginare che per restare a galla, per non essere portato via dalla risacca populista, Di Maio avrebbe fatto qualsiasi cosa, anche baciare un rospo democristiano. Forse non lo sapeva neppure Tabacci. Tuttavia, la foto che lo ritrae con Di Maio mostra tutto il sarcasmo del sottosegretario, il quale dopo essere stato tenuto a distanza per anni, in quanto rappresentante dell’odiata Casta, oggi si gode la rivincita, accogliendo la pecorella smarrita Di Maio manco fosse il buon pastore. Il rivoluzionario salvato da un vecchio conservatore: se qualcuno avesse studiato un’operazione del genere non gli sarebbe venuta così bene.Non so come andranno le elezioni per Di Maio, con il suo Impegno civico. Non so se alleandosi con il Centro democratico riuscirà a superare lo sbarramento del 3% imposto dalla legge elettorale per entrare in Parlamento. Né sono a conoscenza della possibilità che gli ostacoli per dare via libera all’ammucchiata fra Pd, Italia viva, Azione e grillini scappati di casa vengano rimossi. Ma in questa corsa alle alleanze per impedire alla destra di vincere le elezioni, mi pare che ci sia uno che ha già vinto. Quell’uomo è Tabacci, il quale in questi anni non ha dovuto fare altro che stare fermo ad aspettare che il cadavere di chi ne voleva prendere il posto passasse. Certo, dev’essere una bella soddisfazione offrire una scialuppa di salvataggio a chi ti voleva annegare. E dev’essere anche uno scherzo del destino vedere un grillino che per salvarsi la pelle si traveste da Andreotti. A noi resta la soddisfazione di leggere quello che Di Maio diceva. Maggio 2014: «Farage è un leader lungimirante e ci garantisce libertà di voto».Dicembre 2014: «Se non ci liberiamo dall’euro, il Mezzogiorno d’Italia diventerà una terra desolata e spopolata. Fuori dall’euro!».Settembre 2016: «Renzi? Come Pinochet in Venezuela», anche se il dittatore era cileno.Gennaio 2017: «Per il Movimento 5 stelle, se uno vuole andare in un partito diverso da quello votato dagli elettori si dimette e lascia il posto a un altro come accade ad esempio in Portogallo, ma anche per consuetudine nella civilissima Gran Bretagna». Marzo 2017: «L’euro non è democratico. Bisogna prevedere procedure per uscirne».Gennaio 2018: «Il Pd è un partito di miserabili che vogliono soltanto la poltrona».Febbraio 2018: «Escludo categoricamente qualsiasi alleanza col Pd. Spero di avere i voti per ignorarli».Settembre 2018: «Abbiamo abolito la povertà, noi siamo il vero cambiamento».Dicembre 2018: «La regola dei due mandati non è mai stata messa in discussione e non si tocca. Né quest’anno, né il prossimo, né mai. È certo come l’alternanza delle stagioni».Gennaio 2019: «Lo stop alle trivelle è una battaglia per la sovranità nazionale. Io alla mia terra ci tengo, all’Italia ci tengo, al mio mare ci tengo. Non ho alcuna intenzione di svendere nulla ai petrolieri del resto del mondo».Febbraio 2019: «Il vento del cambiamento ha valicato le Alpi. Ripeto. Il vento del cambiamento ha valicato le Alpi» (sui Gilet gialli, che evocavano un colpo di stato militare in Francia, proprio mentre Di Maio incontra a Parigi, assieme a Di Battista, il loro leader, Christof Chalencon).Maggio 2019: «Il Pd non rappresenta la sinistra. Ha scambiato la questione morale di Berlinguer con l’omertà».Luglio 2019: «Io con il partito di Bibbiano non voglio averci nulla a che fare. Con il partito che in Emilia Romagna toglieva alle famiglie i bambini con l’elettrochoc per venderseli, io non voglio avere nulla a che fare».Gennaio 2020: «I peggiori nemici sono quelli che al nostro interno non lavorano per il gruppo ma per la loro visibilità. Qualcuno è salito sul nostro carro solo per convenienza, qualcuno ha tradito la fiducia per interessi personali ».Sì, ha proprio ragione Tabacci a ridersela.
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