
Come annotano i carabinieri, l’indagato Andrea Sempio ha telefonato a casa Poggi pochi giorni prima del delitto, pur sapendo che il fratello di Chiara, suo amico, era in vacanza. Da qui parte la nuova inchiesta. Che ora mira a far luce su alcune impronte.«Andrea Sempio in otto mesi non ha mai chiamato l’abitazione dei Poggi, se non tra il 7 e l’8 agosto». Due chiamate. Di pochi secondi. Esattamente quando in casa c’era solo Chiara Poggi. Mancano cinque giorni al delitto che dal 2007 ha trasformato la tranquilla Garlasco in una tormentata cittadina noir. L’annotazione dei carabinieri del Nucleo investigativo di Milano, della quale La Verità è entrata in possesso, è alla base delle nuove ipotesi investigative a carico dell’amico di Marco Poggi (che è già stato risentito): Andrea, che è di nuovo indagato per concorso in omicidio (una tesi, quella del doppio killer, già smontata in passato dal gip che archiviò l’indagine). Le ipotesi, che ancora non si sono trasformate in indizi, sono tre: le tracce del Dna sotto le unghie di Chiara potrebbero essere di Sempio (che ieri si è presentato nel laboratorio del Raggruppamento scientifico dei carabinieri per il prelievo coatto del suo Dna), come alcune impronte lasciate in casa Poggi; il ticket di un parcheggio di Vigevano del giorno dell’omicidio consegnato agli investigatori un anno dopo potrebbe essere servito per precostituirsi un alibi; le telefonate a casa di Chiara quando Marco era in vacanza con i genitori in Trentino sarebbero sospette.L’informativa analizza tutti e tre gli aspetti. Con un nucleo centrale: l’analisi delle telefonate. E se dall’utenza cellulare di Sempio sono partite diverse chiamate verso casa Poggi, l’unica volta in cui la chiamata parte dal numero fisso di Sempio e non dal cellulare è nel giorno in cui Chiara è sola a casa. «Le giustificazioni di Sempio emergono dalle sue dichiarazioni», valutano gli investigatori. Il 18 agosto 2007 il ragazzo (all’epoca diciannovenne, oggi ha 37 anni) ai carabinieri racconta di aver chiamato «per errore». Ecco le sue parole: «Ho sbagliato a inviare la chiamata, per cui ho comunicato con il numero di casa Poggi. Nella circostanza ho parlato con Chiara, alla quale chiedevo di Marco e lei mi rispondeva che era in vacanza». Versione che ribadisce il 4 ottobre 2008: dice di aver confuso i numeri salvati in rubrica e di aver parlato con Chiara per sapere quando Marco sarebbe rientrato. Ma è nell’interrogatorio del 10 febbraio 2017, quando gli investigatori cominciano a occuparsi di lui, che le sue spiegazioni sembrano cominciare a vacillare. «Non riuscendo a contattare Marco sul cellulare», afferma Sempio, «ho richiamato a casa dal mio numero fisso chiedendo di lui (Marco, ndr) e mi ha risposto Chiara che mi ha detto che il fratello era in vacanza». E infine: «Fra il 7 e l’8 ho provato più volte a contattare Marco sul suo cellulare ma non ci sono mai riuscito, anche perché so che nella zona dove andavano c’era poca copertura». Una versione che, per i carabinieri, sembra stridere con la logica: «Sempio conferma di sapere dove si trovasse Marco. Infatti, precisa che in quelle date aveva più volte provato a chiamare invano l’amico poiché “sapeva che nella zona dove andavano c’era poca copertura”». Ed ecco la domanda rimasta finora senza risposta: «Perché Sempio chiama casa Poggi il 7 e l’8 agosto quando già è consapevole che non troverà Marco, sapendo che è in vacanza in Trentino?». Ma questa sembra non essere l’unica anomalia. A proposito del ticket del parcheggio fornito agli investigatori, Sempio, intercettato mentre parla col padre (la conversazione è stata riportata ieri dal Tempo) dice: «Ne abbiamo cannata una, che io ho detto che lo scontrino era stato ritrovato dopo che ero stato sentito, che tu hai detto che l’abbiamo ritrovato prima. Io ho detto che l’abbiamo trovato dopo essere stato sentito, già la prima volta... ero stato sentito e poi l’abbiamo trovato». «La motivazione relativa alla decisione di conservare lo scontrino del parcheggio in previsione di un’imminente audizione del figlio, per dimostrare che non era a Garlasco la mattina dell’evento», valutano infatti i carabinieri, «contrasta con il fatto che in realtà Andrea era già stato ascoltato». «Tutti elementi superati», sentenzia il difensore di Sempio, l’avvocato Massimo Lovati, che bolla le indagini del 2017 come una «macchinazione della difesa». Dallo studio Giarda non si sono fatti attendere e hanno annunciato querela. Tutto sembra riportare al 2017. Davanti al pm di Pavia Sempio fornisce subito una spiegazione per la possibile presenza del suo Dna sotto le unghie di Chiara: «Andavo almeno due o tre volte a settimana a casa sua a giocare ai videogiochi […] il computer era in camera di Chiara […]. Credo che l’ultima volta risalga a due o tre giorni prima della partenza di Marco». Una giustificazione che sembra vacillare di fronte ai risultati di una delle perizie: Chiara non ha più usato quel computer dal 10 agosto. A quel punto il Dna deve essere diventato un tormento per Sempio, che in auto parla da solo: «Questa merda di Dna, ma cosa state dicendo... se c’è il mio Dna allora puoi discutere su tante cose... se era un’aggressione, se era sopra, se era sotto». Poi, un lampo di consapevolezza: «C’è in ballo 30 anni di galera». I carabinieri analizzeranno ogni traccia lasciata sul luogo del delitto, incluse quelle trascurate nelle indagini che hanno portato alla condanna di Alberto Stasi: «I reperti biologici raccolti in casa Poggi (sul dispenser del sapone repertato nel bagno in cui l’assassino, secondo le ricostruzioni ufficiali, si sarebbe lavato le mani erano state esaltate delle impronte papillari, come sulla parete delle scale e in più punti su una porta, ndr) potrebbero rivelare più di un Dna ignoto». Ovviamente il primo passo, però, sarà comparare il Dna trovato sotto le unghie della vittima, all’epoca impossibile da decifrare. Oggi, con nuove tecnologie, si ritiene sia possibile. Non si tratta di un esame in contraddittorio tra le parti, ma se dovessero emergere delle compatibilità si aprirebbe una voragine nelle certezze giudiziarie. E non sarebbe una novità.
2025-11-12
Viale Papiniano, il cantiere finisce sotto sequestro: per la Procura è nuova costruzione abusiva
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Dopo le inchieste dell’estate scorsa, arriva il provvedimento della magistratura: bloccato il palazzo di otto piani che avevamo raccontato su La Verità. Secondo i pm, dietro la Scia di ristrutturazione si nascondeva un intervento fuori scala, privo di piano attuativo e permesso di costruire.
In agosto era soltanto uno dei tanti cantieri finiti sui tavoli della procura di Milano tra le decine di filoni dell'inchiesta urbanistica. Oggi, quelle carte sono diventate un fascicolo giudiziario. E' stato disposto il sequestro preventivo dell’area di viale Papiniano 48, dove la società Papiniano 48 Srl stava realizzando un edificio residenziale di otto piani e due interrati al posto di un vecchio laboratorio commerciale di tre piani.
Secondo il decreto firmato il 10 novembre dal pubblico ministero Giovanna Cavalleri, con la co-firma del sostituto Luisa Baima Bollone e coordinanti dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano, si tratta a tutti gli effetti «di una nuova costruzione in assenza di valido titolo edilizio». Il provvedimento, emesso d’urgenza, ordina il blocco immediato dei lavori «per evitare l’aggravamento delle conseguenze del reato e l’ulteriore avanzamento dell’edificio abusivo».
Gli indagati sono Mauro Colombo, direttore dei lavori e progettista, e Salvatore Murè, amministratore unico della Papiniano 48 Srl e della Murè Costruzioni. Entrambi sono accusati di lottizzazione abusiva e costruzione senza permesso di edificare, in violazione del Testo unico dell’edilizia.
La storia del cantiere — già raccontata questa estate dalla Verità — era iniziata con una Scia edilizia (Segnalazione certificata di inizio attività) presentata nel 2021 come “ristrutturazione con demolizione e ricostruzione”. In realtà, scrive la Procura, l’intervento “consiste nella demolizione integrale di un fabbricato e nella costruzione di un nuovo edificio di otto piani fuori terra e due interrati, con caratteristiche morfologiche e volumetriche completamente diverse”.
In altre parole: non un recupero, ma una nuova costruzione. E non una qualsiasi. L’immobile, una volta completato, avrebbe superato i 25 metri di altezza e i 3 metri cubi per metro quadrato di densità, soglie che — spiega il decreto — obbligano per legge a un piano attuativo o una lottizzazione convenzionata. Nessuno dei due strumenti era stato approvato.
Il Comune di Milano aveva già sospeso i lavori nel maggio 2024, rilevando «caratteristiche dimensionali e morfologiche eccedenti i limiti consentiti» e avviando un procedimento di annullamento d’ufficio della Scia. La società, tuttavia, ha ripreso il cantiere nell’autunno di quest’anno, dopo aver tentato — invano — di trasformare la pratica in un permesso di costruire convenzionato tramite un accordo con Palazzo Marino.
Il 16 ottobre scorso la Papiniano 48 Srl ha comunicato la ripresa dei lavori “a prescindere dall’esito del procedimento”, e pochi giorni dopo gli agenti della Polizia Locale hanno documentato la gettata del primo piano in cemento armato. Da qui l’intervento urgente della Procura.
Nel decreto si parla esplicitamente di una vicenda “sovrapponibile” ad altri cantieri già finiti sotto sequestro — come quelli di via Crescenzago e via Cancano — e di una “prassi illegittima” consolidata negli anni, in cui opere edilizie ad alto impatto urbanistico venivano impropriamente qualificate come ristrutturazioni per evitare piani attuativi e permessi di costruire.
La Procura ricorda anche la circolare comunale del 2023, sospesa la scorsa primavera, che aveva aperto la strada a interpretazioni “elastiche” dell’articolo 41-quinquies della legge urbanistica, quello che impone limiti di altezza e densità. «Tale disposizione — scrivono i magistrati — esprime un principio fondamentale della pianificazione, non derogabile da circolari o leggi regionali».
Il terreno di viale Papiniano 48, inoltre, è sottoposto a vincolo paesaggistico e rientra nel “Nucleo di Antica Formazione” del Comune, oltre che nel vincolo regionale “Naviglio Grande – Nucleo rurale di interesse paesaggistico”. Per la Procura, la trasformazione dell’area «comporta una lesione irreversibile dei beni tutelati dalla normativa urbanistica e ambientale».
L’edificio preesistente era basso, a uso commerciale, compatibile con il tessuto storico. Il nuovo, con otto piani e due interrati, cambierebbe completamente la morfologia dell’isolato.
Il sequestro di viale Papiniano arriva in un momento cruciale per l’amministrazione milanese, ancora alle prese con le inchieste sull’urbanistica che hanno toccato anche dirigenti comunali, professionisti e imprenditori. La stessa delibera di Giunta del maggio 2025 — citata nel decreto — era nata per fare chiarezza dopo mesi di indagini e polemiche.
Ora, con questo nuovo provvedimento, la magistratura sembra consolidare una linea: la stagione delle “Scia creative” è finita.
E quel palazzo che in agosto sembrava solo “troppo alto per essere vero” diventa oggi un simbolo giudiziario del nuovo corso milanese, dove i confini tra ristrutturazione e nuova costruzione non sono più soltanto una questione tecnica, ma un banco di prova per la legalità urbanistica della città.
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Sommati, fanno 700.000 l’anno, un guadagno paragonabile a quello dei giocatori di Serie A e paurosamente vicino alle cifre ottenute da crimini come spaccio, prostituzione e tratta di esseri umani. Indagine a Venezia: 23 provvedimenti cautelari.
Ogni tanto una buona notizia: prime borseggiatrici finalmente in cella. Venti donne e tre uomini, tutti senza fissa dimora. Dopo due anni di inchieste, per la prima volta, si è superato quel continuo entra ed esci dalla galera che aveva caratterizzato questo tipo di figure, beccate di continuo in flagranza e arrestate per poi essere scarcerate poco dopo.
Ecco #DimmiLaVerità del 12 novembre 2025. Il nostro esperto di economia Tobia De Stefano spiega il paradosso dei tassi di interesse che scendono ma il costo dei mutui sale.
2025-11-11
Atp Finals, Musetti si rialza e infiamma Torino: battuto De Minaur ed è ancora in corsa per le semifinali
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Lorenzo Musetti (Ansa)
Alla Inalpi Arena il carrarino conquista la sua prima vittoria alle Atp Finals superando in tre set Alex De Minaur dopo quasi tre ore di battaglia. «La più emozionante della mia carriera». Ora la qualificazione passa dal match con Alcaraz.
Non è stata una partita, ma una prova di resistenza. Lorenzo Musetti ha battuto Alex De Minaur nella seconda gara delle Atp Finals di Torino al termine di quasi tre ore di gioco, imponendosi 7-5, 3-6, 7-5. Un successo che lo mantiene in corsa per la semifinale e, soprattutto, segna un passo in avanti nella sua maturazione sportiva.






