
Gianni Rezza, capo Prevenzione del ministero, segnala una sfiducia diffusa verso gli esperti. Per forza, gli scienziati che occupano da mesi le tv stanno inanellando una sfilza di gaffe e fake news. E la loro autorevolezza crolla.«C'è una perdita di autorevolezza diffusa e c'è una sfiducia nei confronti di chi ha responsabilità e in qualsiasi professione. È palese l'importanza dei social media, una volta ci lamentavamo dei giornalisti, e abbiamo scavalcato qualunque forma di intermediazione delle informazioni». Così ha detto ieri il direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza, intervenendo a un forum sulla sanità nella Capitale.Chissà da dove arriva tutta questa sfiducia, questa perdita di autorevolezza. Chissà se Rezza segue i talk show, legge le interviste dei virologi sui giornali. Chissà se anche Rezza fa il cosiddetto debunking di quello che dicono gli alfieri mediatici della guerra al Covid. Intanto basterebbe leggere La Verità, dove ieri in un editoriale il direttore Maurizio Belpietro ha smontato con i numeri le parole del virologo Fabrizio Pregliasco che su La 7 ha spiegato che l'80% dei ricoverati per Covid è costituito da persone non vaccinate. Peccato che i dati diffusi dall'Istituto superiore di sanità dicano tutt'altro: nel mese di ottobre, in corsia sono finiti 2.890 pazienti non vaccinati, 144 vaccinati con una sola dose, 1.774 vaccinati con ciclo completo entro sei mesi, 618 vaccinati con ciclo completo dopo più di sei mesi e 17 persone che avevano ricevuto anche la terza dose. Lo stesso Pregliasco qualche giorno fa, nel programma condotto da Paolo Del Debbio su Rete 4, rispondendo a un ospite che parlava di anticorpi per spiegare come mai non fosse stato vaccinato, aveva detto che «il test sierologico è un'indicazione quantitativa, ma non standardizzata e vediamo il calo di efficacia su studi rispetto al numero di persone che si reinfettano passando il tempo». Tradotto: il sierologico per appurare gli anticorpi anti Covid serve a poco. Poi però cambiando canale si trovava Massimo Galli intento a spiegare che «stiamo basando tutte le decisioni su studi che riguardano la risposta anticorpale. Bisogna avere il coraggio di dire che il sierologico è indispensabile». Il 6 novembre anche il coordinatore del Cts, Franco Locatelli, è inciampato su una fake news quando ha detto che «fino a 59 anni nessun vaccinato è finito in terapia intensiva». Ma nel mese che precede il 27 ottobre, nella fascia di età indicata da Locatelli (12-59) gli intubati non vaccinati sono stati 142, quelli vaccinati con ciclo incompleto 7 e quelli che avevano ricevuto sia la prima che la seconda dose 16. Ossia, circa il 10% dei contagiati che rischiano la vita. Confusione. Caos. Esperti che danno i numeri. Risultato, se ne è accorto pure Rezza: la sfiducia aumenta. E aumentano anche i balletti di percentuali, gli errori e le amnesie di chi si è sempre mostrato col mantello da esperto in prima linea a denunciare le fake news sul Covid.Prendiamo gli ultimi giorni. A Omnibus su La 7 interviene Massimo Andreoni, primario di infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma. Durante il suo intervento, Andreoni spiega: «È vero, abbiamo anche pazienti che si ricoverano che sono vaccinati, ma che sono persone che non muoiono». E invece è falso perché secondo il rapporto dell'Iss del 10 novembre negli ultimi 30 giorni risultavano decedute 384 persone vaccinate con ciclo completo. Sempre in tv è gettonatissima l'immunologa Antonella Viola. L'altra sera a Otto e mezzo ha dichiarato che «Non ci sono persone giovani sane vaccinate che finiscono in ospedale». Non è così. Nella fascia 12-39, negli ultimi 30 giorni sono finite in ospedale 97 persone. Erano già malate da prima? Ad alimentare confusione sono anche scambi un po' surreali come quello avvenuto nel salotto di Agorà su Rai 3 tra l'infettivologo Matteo Bassetti, convinto che l'obbligo vaccinale «evidentemente non è possibile farlo», dimenticandosi che l'obbligo esiste già per i medici e per gli operatori sanitari, e il governatore della Liguria, Giovanni Toti, per il quale l'obbligo vaccinale significherebbe «vedere l'esercito tradurre verso gli hub vaccinali con i camion e le manette le persone che non si vogliono vaccinare». Nel frattempo, dopo la lezione sui tamponi svolta dalla cattedra televisiva di Fabio Fazio, Roberto Burioni si è meravigliato del clamore suscitato dal suo intervento. Che, ricordiamolo, era il seguente: «I tamponi per altro sono anche costosi e fastidiosi, e come tutte le pratiche mediche non sono privi di rischio: ci sono studi secondo cui ogni milione di tamponi ci sono 12 eventi avversi non lievi, come emorragie o se si rompe c'è bisogno di un intervento chirurgico, in un caso una persona ha perso del liquido cerebrale». Su Twitter Burioni ha quindi cinguettato: «Qualcuno è rimasto sorpreso del fatto che a seguito di un tampone si sia verificata una lesione grave che ha portato alla perdita di liquido cefalorachidiano», con tanto di link all'articolo sul caso pubblicato dal Journal of the american medical association il primo ottobre 2020. Una settimana dopo, l'8 ottobre del 2020, lo stesso Burioni rispondeva così sempre su Twitter a Claudio Borghi (Lega) che definiva il tampone un esame invasivo per essere di routine: «Onorevole, il tampone rinofaringeo può essere fastidioso (specie in pazienti con ipertrofia dei turbinati o deviazione detto nasale) ma non è considerato invasivo. Invasiva è una biopsia epatica, per esempio». Una menzione speciale va però all'epic fail di Belardino Rossi, direttore dell'Asl di Aprilia, che ieri è stato intervistato da una giornalista di Agorà (Rai 3), davanti alla sede dell'azienda. Tema: l'efficacia della mascherina all'aperto. «È una misura importante per dare il segnale che l'epidemia non è passata», risponde Rossi. Ma per dirlo si toglie la mascherina e viene rimproverato dalla giornalista.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





