2022-08-25
Svarione dei medici sulle mascherine. «Servono? Boh. Però voi mettetele»
Il sito Web gestito dall’Ordine ammette: non ci sono evidenze sull’utilità dei bavagli. Per difenderli, allora, s’appiglia alla «buona educazione». E alla faccia dei miliardi buttati, conclude: «Sono misure a basso costo».In dubio pro reo? No, l’antico brocardo latino, in era pandemicamente corretta, sarebbe rivisitato così: in dubio pro bavaglio. Come dire: prima imbavagliatevi, e poi eventualmente capiremo se le mascherine servano a qualcosa. Sembra uno scherzo, e invece è la surreale risposta che abbiamo trovato sul sito www.dottoremaeveroche.it, gestito dalla Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri, dove ieri è comparso ieri il seguente quesito: «Le mascherine sono ancora utili contro il Covid-19?». Il testo si apre in modo disarmante: «La risposta onesta e veloce a questa domanda è “non lo sappiamo”. Non sappiamo se proteggere il viso con una mascherina protegga dal contagio e, se sì, in quale misura». E già dopo questo esordio un lettore di medio buon senso vedrà la propria calma messa a dura prova: ma come? Ci avete fatto andare in giro imbavagliati perfino per strada, e, ora, dopo due anni mezzo, ci dite soavemente che «non lo sappiamo»? Ma è solo l’inizio. Il sito procede infatti all’esame della cosiddetta «revisione sistematica» (cioè un’analisi degli studi già svolti su una certa materia) compiuta dai ricercatori del Pacific Northwest evidence-based practice center di Portland, negli Usa, che si sono concentrati sulla letteratura scientifica pubblicata sul tema. E che è venuto fuori? Tenetevi forte: poiché, giudiziosamente, i ricercatori americani hanno considerato tutto ciò che potesse confondere i risultati, sui 1.600 articoli esaminati «solo uno si riferiva a un nuovo studio […] controllato, e cinque a nuovi studi osservazionali […]. Davvero molto pochi». Chiaro? Siamo stati imbavagliati ma nel frattempo gli studi specifici sarebbero stati pochissimi. Peggio ancora. Il sito ci fa sapere che «nessuno studio era di buona qualità: […] tutti gli studi avevano difetti che non rendevano credibili i risultati ottenuti. Leggere il dettaglio delle mancanze metodologiche […] è sconfortante». Quasi quanto aver vissuto due anni e mezzo di vita con una specie di passamontagna. E qui, superata la potente irritazione, il lettore si attenderebbe qualche conseguenza. E invece no. Alla domanda «in attesa dei risultati di studi più credibili, cosa consiglia di fare?», ecco la sconcertante risposta. Si comincia così: «Il buon senso insegna […] che coprire la bocca e il naso è un modo per ridurre la trasmissione delle goccioline […] e, in effetti, se si ha la tosse è una questione di buona educazione farlo, a prescindere dalle prove che possono essere scaturite da studi clinici». Quindi siamo addirittura allo Stato dispensatore di precetti di buona educazione, perché lo Stato etico non era già abbastanza autoritario, evidentemente. Ma non finisce qui. Il sito prosegue citando un seminario Oms pre pandemia relativo all’influenza tradizionale: «Si era concluso che, sebbene non vi fossero prove della capacità di ridurre la trasmissione, la plausibilità meccanica della potenziale efficacia di questa misura facevano ritenere che in una grave emergenza influenzale sarebbe stato opportuno prendere in considerazione l’uso delle mascherine in pubblico». Avete capito? È stato messo un obbligo in base a un principio di «plausibilità». E allora perché non obbligare tutti anche alla maglia di lana? È plausibile che riscaldi durante l’inverno… Gran finale: «Ritenere inefficace un intervento a basso costo come indossare una mascherina perché non ci sono prove di efficacia dagli studi clinici non sembra un’idea brillante». Avete letto bene: «a basso costo». Dunque, c’è qualcuno che, nell’agosto del 2022, dopo i soldi dei contribuenti buttati dalla finestra per acquistare mascherine di tutti i tipi, e dopo il massacro delle nostre libertà individuali, ci dice che si è trattato di un intervento «a basso costo». Ed ecco il fervorino (a sfondo elettorale): «[…] Le parti politiche dovrebbero essere estremamente attente ai messaggi […] perché potrebbero influenzare le opinioni dei cittadini inducendoli a essere meno scrupolosi nel proteggersi dal contagio. […] È importante che le istituzioni e gli enti che lavorano nella sanità pubblica forniscano messaggi chiari e orientati a un principio di precauzione». E volete sapere chi viene citato a supporto? John Ioannidis, il ricercatore che fu al centro di un caso per i suoi studi per lo meno critici rispetto ai lockdown ultrarigidi (che, sostenne all’epoca Ioannidis, non ottengono «benefici in più rispetto a misure più blande e meno distruttive»). A onor del vero, Ioannidis pone l’accento sul rischio di disorientamento indotto da regole contraddittorie, e infatti osserva: «Vado a un congresso medico e nelle sessioni scientifiche sono obbligatorie le mascherine anche quando le persone si siedono tranquillamente a cinque metri di distanza l’una dall’altra, ma le mascherine non sono più obbligatorie al banco delle iscrizioni dove ognuno ha 50 persone nel raggio di 5 metri». Ma evidentemente qualcuno ne trae lo spunto per ritenere che ci si debba mascherare sempre e comunque, in saecula saeculorum. Poi, non si sa bene quando, ci spiegheranno perché.