2021-03-10
Quando Super Mario era un proletario a caccia di capitalisti
Aleksej Pajitnov (Getty Images/Istock)
Un nuovo libro ricostruisce l'epopea dei videogiochi sovietici tra propaganda marxista e giocatori schedati dalla polizia.È notizia di questi giorni che, in seguito a un aumento dei furti d'auto nella città di Chicago, il senatore democratico Marcus C. Evans Jr. abbia avanzato la proposta di vietare la distribuzione di giochi violenti. La proposta introdotta da Evans la scorsa settimana cerca di emendare la legge sui videogiochi violenti. Nel mirino sembra essere finito - e non è la prima volta - Grand Theft Auto, franchise di una serie di videogame in cui il giocatore interpreta un criminale in ascesa dedito soprattutto al furto di veicoli. Sin da quando esistono, i videogiochi hanno avuto a che fare in modi non sempre pacificati con il mondo della politica. L'epoca della guerra fredda non fa ovviamente eccezione. Tutti ricordiamo Wargames, il film del 1983 in cui un giovane hacker interpretato da Matthew Broderick rischiava di causare il terzo conflitto mondiale credendo di partecipare a un gioco di guerra mentre sfidava una vera intelligenza artificiale militare. Resta non indagato, invece, il ruolo dei videogiochi al di là della cortina di ferro. A colmare questa lacuna ci ha pensato Stelio Fergola, con il suo fresco Insert kopeyki. I videogiochi nell'universo comunista, edito da Passaggio al bosco. Un agile libretto che racconta vita, successi, insuccessi e censure dei videogames nel blocco sovietico. Un filone minoritario e sconosciuto, cresciuto all'ombra delle due grandi scuole, quella americana e quella giapponese, che già in quegli anni monopolizzavano il mercato e l'immaginario mondiale. Un aneddoto mai confermato fa risalire l'interesse dell'Urss per questo tipo di intrattenimento a un viaggio di Nikita Chruscev negli Stati Uniti: l'allora segretario generale del Pcus rimase così colpito dai giochi arcade (le classiche macchine cabinate a gettoni dei bar) che volle incrementare, al suo ritorno, lo sviluppo di questo specifico passatempo occidentale anche in Russia. Uno sviluppo non semplice: basti pensare che gli arcade sovietici pesavano fino a cinque volte di più dei loro prototipi oltreoceano a causa della mancanza di disponibilità di materiali più leggeri. Spesso affidati a industrie operanti nel campo militare, inoltre, i videogiochi finivano paradossalmente per vedere la loro tecnologia sottoposta a segreto di Stato (Morkoj Boj, un cabinato costruito nel 1981 di genere «battaglia navale», per esempio, era prodotto da un'azienda che produceva i sistemi di guida dei missili della marina). Anche l'impianto concettuale cambiava radicalmente. Come scrive la studiosa americana Katheryn Weawer, citata da Fergola: «A differenza di molti giochi occidentali della stessa epoca, i giochi sovietici tendono a non impiegare creature fantastiche o un gameplay elaborato. Sono straordinariamente semplici ma ingannevolmente difficili. I giochi, progettati per sviluppare la coordinazione occhiomano, la forza, la velocità di reazione e il pensiero logico e concentrato, sono stati influenzati dall'addestramento militare per produrre cittadini più esperti dal punto di vista militare. Nello spirito dell'ideologia marxista, i giochi non erano programmati per includere una lista dei punteggi più alti. Se hai completato il gioco con successo, sei stato semplicemente ricompensato con un gioco gratuito». Il fine politico dei giochi era fidelizzare i giovani verso il «patriottismo comunista», avvicinarli alla tecnologia, indottrinarli circa la competizione con l'Occidente e spingerli verso le attività «sane», come gli sport. Si trattava inoltre di dare alla gioventù del blocco dell'Est un passatempo «moderno» che non rendesse troppo attraente la vita al di là del muro e, allo stesso tempo, la instradasse verso un'attività controllabile. Il genere, tuttavia, non cessava di essere considerato sospetto. Nella Germania dell'Est, per esempio, la temibile polizia politica segreta, la Stasi, teneva d'occhio da vicino le sale giochi. «Dato che nei club si trattengono anche membri che hanno dimostrato di avere un radicato atteggiamento negativo nei confronti dell'ordine sociale dello Stato socialista, vi è il potenziale pericolo di un'influenza negativa degli stessi club», si leggeva in un rapporto politico dell'epoca. C'era poi il fiorente commercio sotterraneo di giochi occidentali che andava tenuto d'occhio, anche per il rischio che i programmi importati dal «nemico» potessero contenere materiale nocivo o messaggi anti socialisti. Non mancarono comunque clamorosi successi culturali e commerciali. È il caso della Novotrade, azienda sviluppatrice di videogiochi fondata dal governo ungherese nel 1983, che riuscì a piazzare ben 25 giochi sul mercato occidentale. Ma l'apice del gaming sovietico ha sicuramente un nome ben preciso, largamente noto anche al di fuori della cerchia degli appassionati: Tetris. Il noto gioco degli incastri fu creato il 6 giugno 1984 da Aleksej Pazitnov, dell'Accademia delle scienze dell'Urss. Dopo anni di trattative, il prodotto - prodotto inizialmente senza brevetto e circolato quindi nelle più svariate versioni e sui più disparati supporti - sarebbe stato concesso in licenza a due aziende: Atari e Nintendo. La storia dei videogiochi sovietici ha una conclusione simbolica: il gioco chiamato Perestrojka, lanciato nel dicembre 1991, che nella schermata di avvio mostrava il volto di Gorbaciov, e sullo sfondo le mura del Cremlino in stato di sgretolamento. Il gioco godette di grande popolarità sia in Urss che all'estero. Si possono ancora trovare alcune versioni del gioco sviluppate per iPhone e Android, con il nome di Perestrojka revival. Esiste anche una curiosa interpretazione allegorica del gioco, riportata nel libro, per cui la ranocchia che ne è la protagonista sarebbe un democratico, i vari ostacoli incontrati nel suo cammino sarebbero la penuria di scorte alimentari e gli insetti rossi che vogliono uccidere la rana sarebbero i burocrati sovietici.