2019-12-13
Sull’Ilva Patuanelli sogna a occhi aperti. Intanto Tirrenia ne lascia a casa 1.000
Il governo lancia un piano da 1 miliardo senza tener conto dei pm di Taranto. Allarme esuberi nella compagnia di navigazione.«Circa 1 miliardo di euro verrà investito a Taranto». Con queste parole il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, ha aperto l'incontro che si è tenuto ieri al Mise tra governo, commissari straordinari e sindacati sull'ex Ilva. Un appuntamento nel quale il governo avrebbe dovuto presentare un piano di rilancio convincente dello stabilimento ex Ilva di Taranto, oggi in mano al colosso indiano Arcelor Mittal. Il Conte bis avrebbe intenzione di rilanciare la fabbrica tarantina portando la produzione a 8 milioni di tonnellate l'anno attraverso un progetto che ha nel preridotto il suo asso nella manica. Si tratta di minerali di ferro che vengono trattati con un processo di riduzione a idrogeno. Con questo materiale si può ottenere acciaio in forni, nei quali il minerale preridotto può essere miscelato con altri materiali ferrosi. Il progetto comporta un investimento complessivo di 3,3 miliardi di euro.I dettagli del piano sono stati mostrati in un documento durante l'incontro tra il numero uno del Mise, il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo e il ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano. Per i sindacati erano presenti i leader di Cisl e Uil, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo, la segretaria generale della Fiom Cgil, Francesca Re David, il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, e il segretario generale della Fim Cisl, Marco Bentivogli.«Produzione non inferiore a 8 milioni tonnellate all'anno, l'utilizzo non solo dal carbone ma anche di forni elettrici con preridotto, l'accelerazione degli investimenti e delle opere ambientali e la tutela occupazionale». Si tratta degli elementi che l'esecutivo ritiene «intoccabili» e che fanno parte del piano, che «avrà una durata di 4-5 anni, la presenza diretta dello Stato nello stabilimento, con le forme che sta studiando il Mef, e la cassa integrazione nella transizione tra produzione con solo altoforni e produzione con forni elettrici e altoforni». Si tratta di un «piano che prescinde dal nome dell'interlocutore privato che ci sarà», si legge nel documento con i desiderata del governo. «Vorremmo che lo stabilimento di Taranto diventasse un modello di sviluppo per la siderurgia e avesse al centro, oltre alla garanzia occupazionale, l'utilizzo di tutte le tecnologie ecosostenibili», ha aggiunto nel corso dell'incontro il ministro Patuanelli.Al di là dei sogni, il governo sembra aver fatto i conti senza l'oste. Partono oggi infatti le operazioni per la chiusura dell'altoforno 2 dello stabilimento pugliese (della durata di circa tre o quattro settimane), dopo che il giudice Francesco Maccagnano ha rigettato l'istanza presentata dai commissari straordinari lo scorso 25 novembre. Con questa mossa, dunque, la produttività dello stabilimento è inevitabilmente destinata a calare e, non a caso, dopo la sentenza Arcelor Mittal ha chiesto l'avvio di una cassa integrazione straordinaria per 3.500 lavoratori.Per questo l'incontro di ieri è stato piuttosto movimentato. I sindacati, a sentir parlare di cassa integrazione, hanno subito levato gli scudi. «Non siamo d'accordo con un piano che prevede migliaia di lavoratori in cassa integrazione straordinaria per 4-5 anni. Non ci fidiamo perché questi lavoratori non torneranno mai al lavoro dopo questo periodo. Prima si mettano in campo tutti gli investimenti previsti poi si potrà parlare di misure transitorie», ha detto il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, nel corso dell'incontro sull'ex Ilva. L'Ilva non è però l'unica azienda in Italia ad avere problemi. Ieri la Tirrenia, compagnia di navigazione acquisita nel 2015 da Vincenzo Onorato, proprietario anche di Moby, ha fatto sapere che procederà a una riorganizzazione dell'organico e che chiuderà le sedi amministrative di Napoli e Cagliari e ne trasferirà i dipendenti in altri uffici, in particolare a Portoferraio, Livorno e Milano. La decisione è stata comunicata due giorni fa alle segreterie nazionali di Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti. Il gruppo ieri ha reso noto che ci sono circa un migliaio di esuberi (si tratta circa del 20% su un totale di circa 4.000 marittimi), fin da settembre 2020, per quanto riguarda il personale navigante. I tagli al personale sono stati decisi come conseguenza dell'imminente scadenza - luglio 2020 - della convenzione da 72 milioni di euro per le rotte della continuità territoriale marittima della Sardegna e della Sicilia. A seguito di queste scelte, infatti, il governo intende procedere a una nuova gara pubblica. I sindacati, dal canto loro, hanno contestato l'informativa della società, riservandosi azioni di protesta.